A conclusione di complesse indagini dirette e coordinate dalla Procura della Repubblica – D.D.A. di Caltanissetta, agenti della Sezione criminalità organizzata della Squadra Mobile di Caltanissetta e del Commissariato PS di Gela stanotte hanno eseguito 8 Ordinanze di Custodia Cautelare In Carcere, emesse dal G.I.P. del Tribunale di Caltanissetta dr. Giovanbattista Tona, su richiesta della Procura della Repubblica - D.D.A. di Caltanissetta (Procuratore dr. Sergio Lari, Proc. Agg. dr. Domenico Gozzo, Sost. Proc. dr. Roberto Santi Condorelli). Le persone colpite dal provvedimento giudiziario sono (
in alto, da sinistra a destra e poi in basso, da sinistra a destra):
1. BURGIO Salvatore, nato a Gela il 6 gennaio 1966, ivi residente via Guido delle Colonne nr. 19, pluripregiudicato;
2. MORTEO Francesco, nato a Gela il 3 dicembre 1964, ivi residente via San Carlo nr. 31 (ex via C.1), pluripregiudicato;
3. MAGANUCO Enrico, nato a Gela il 19 dicembre 1963, ivi residente via Grosseto nr. 22, pluripregiudicato;
4. GUELI Vincenzo, nato a Gela il 15 febbraio 1965, ivi residente via Romolo nr. 1, pluripregiudicato;
5. GIOVANE Francesco, nato a Gela l’1 marzo 1986, ivi residente via Socrate nr. 5;
6. ALFERI Giuseppe, nato a Gela il 26 giugno 1963, ivi residente Contrada Scavone Pal. A snc, pluripregiudicato;
7. ALFERI Nunzio, nato a Gela il 10 febbraio 1987, ivi residente via Arica nr. 9;
8. ALFERI Giuseppe Claudio, nato a Gela il 12 gennaio 1980, ivi residente in via Attica nr. 13.
Sono tutti ritenuti responsabili di estorsione, aggravata dall’avere agevolato le consorterie mafiose di stidda e cosa nostra operanti a Gela. Le vittime sono imprenditori edili di Gela.
L’attività investigativa confluita in quest’ultima operazione di Polizia, denominata in codice “Scorpione”, ha permesso di raccogliere nuovi e incontrovertibili elementi probatori a carico dei suddetti criminali affiliati alle famiglie mafiose di “cosa nostra” e della “stidda”, che nel periodo di tempo compreso dal 1995 al 2006, si sono alternati nel portare a termine pesanti taglieggiamenti in danno di imprenditori edili gelesi.
L’indagine scaturisce da una costante operazione di monitoraggio effettuata dalla Polizia di Stato sui cantieri della costruenda “Cittadella”, tra le contrade Marchitello e Catania-Casciana, a Gela; si tratta di una serie di villette e palazzine costruite da più di venti cooperative edilizie che sono state autorizzate nell’ambito del piano comunale per l’edilizia economica, in zona Peep.
In particolare, sarebbe emerso che a partire dal 2003, il Commissariato di Gela e la Squadra Mobile di Caltanissetta hanno monitorato le aperture dei cantieri in questione, inizialmente in relazione alla misteriosa scomparsa di un piccolo imprenditore edile gelese, Salvatore TOMASI (nato a Gela nel 1956), che si era aggiudicato, a trattativa privata, una parte dei lavori edili della zona, per un importo totale di 800 milioni di vecchie lire, per la costruzione di fognature e delle strade di un costruendo complesso residenziale, commissionato da quattro cooperative.
Il Tomasi, della cui scomparsa si era occupata anche la redazione della trasmissione televisiva nazionale “Chi l’ha visto?”, si era improvvisamente allontanato dalla sua abitazione gelese l’11 dicembre 2003. Il cadavere dell’imprenditore venne ritrovato, alcune settimane dopo, annegato, nel mare dinanzi contrada Manfria a Gela. Le indagini, che esclusero eventi dolosi ai danni del Tomasi, proseguirono per individuare gli interessi della criminalità organizzata mafiosa sui complessi residenziali che stavano sorgendo.
Ed in effetti, i lavori in questione, per importi di svariati milioni di euro, non potevano non attirare l’”appetito” delle organizzazioni criminali mafiose di Gela che, da un lato hanno imposto il pagamento di un tangente proporzionale all’importo dei lavori e dall’altro, hanno preteso la “guardiania”, facendo assumere dalle imprese edilizie che operavano nella zona soggetti legati ai clan che percepivano una sorta di stipendio mensile.
In cambio gli imprenditori era quasi certi di non subire danneggiamenti e furti di attrezzatura e di materiale di alto valore. E’ stato anzi accertato che spesso i furti e i danneggiamenti hanno costituito la prima fase di approccio con i citati imprenditori, che poi ricevevano la visita degli emissari dei clan, che chiedevano un riscatto in denaro per restituire il maltolto, ovvero imponevano la guardiania, con vero e proprio stipendio mensile a soggetto di loro fiducia, e rassicuravano sul prosieguo tranquillo e senza problemi dei lavori edili.
Le investigazioni, esperite nel territorio gelese con servizi di pedinamento e video osservazione, hanno consentito di raccogliere elementi probanti che sono stati poi puntualmente riscontrati dalle dichiarazioni rese dagli stessi imprenditori, avvalorate ed arricchite da quelle rese dagli ultimi collaboratori di giustizia, già affiliati alle consorterie mafiose di Gela (tra cui Rosario Trubia, Emanuele Terlati, Nunzio Licata per “cosa nostra”, Marcello Orazio Sultano per la “stidda”), e hanno permesso di squarciare il velo vessatorio ed intimidatorio al quale da tempo le vittime erano sottoposte.
Uno dei collaboratori, Nunzio Licata, ha fornito particolari importanti sul taglieggiamento esercitato sui cantieri di Marchitello, in quanto, in un periodo di libertà (nel 2006) era stato alle dipendenze di una delle imprese edili vittime del racket.
Le attuali risultanze investigative, fatte proprie dalla locale D.D.A., hanno fatto emergere che la sottoposizione al “pizzo”, aldilà delle cifre estorte, costituiva anche un eccezionale sistema di controllo del territorio, realizzato dai clan mafiosi operanti sulla città di Gela, e che permetteva a quelle consorterie criminali-mafiose, di conoscere l’esatto importo dei lavori edili o di altra natura realizzati, in modo tale da imporre agli imprenditori locali la percentuale da richiedere, nonché le forniture, o i lavori di sbancamento e movimento terra, ovvero, come già detto, la cosiddetta “guardiania” sui cantieri aperti. Su questi aspetti sono in corso ulteriori e approfondite indagini.
Tra gli arrestati, Giuseppe ALFERI, Nunzio ALFERI, Giuseppe Claudio ALFERI e Sebastiano GIOVANE, farebbero parte integrante di un pericoloso sodalizio criminale autonomo, ma comunque legato al clan mafioso di cosa nostra di Gela, dedito, oltre che alle estorsioni, anche ai danneggiamenti a mezzo incendio, ai furti di materiale di alto valore (rame, acciaio, impalcature edili), sovente con richieste di riscatto.
Le indagini sulle estorsioni nel settore edile monitorato sono tuttora in corso.
Dopo gli adempimenti di rito gli indagati liberi sono stati ristretti nella Casa Circondariale di Caltanissetta, a disposizione dell’A.G. di Caltanissetta.
(Fonte: Squadra Mobile Questura di Caltanissetta)