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Corriere di Gela | I frati mafiosi di Mazzarino tra cronaca e storia
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notizia del 22/12/2008 messa in rete alle 21:44:45
I frati mafiosi di Mazzarino tra cronaca e storia

Non c’è una sola persona in Italia che non sappia che negli anni cinquanta quattro frati di Mazzarino in collusione con la mafia, si sono resi colpevoli di numerose estorsioni e di vari delitti gravi. Ma è una grossa menzogna orchestrata da una stampa disonesta, specialmente di sinistra. Mi consta personalmente. Quella domenica, dopo la partita di calcio della mia squadretta, mi ero recato al convento dei padri Cappuccini per invitare il Padre Vittorio, gelese, a venire a predicare gli esercizi spirituali nella Chiesa di S. Agostino. Era proprio quello il periodo cruciale in cui stavano maturando i famosi fatti dei frati di Mazzarino. Bussai alla porta del convento: nessun segno di vita. Non riuscendo a capacitarmene, bussai con maggior vigore. All’improvviso, quando ormai pensavo di desistere, ecco che vedo aprirsi uno spiraglio nel portone ed apparire il Lo Bartolo, il famigerato ortolano che per tanto tempo terrorizzò i frati rendendoli succubi delle sue diaboliche trame. Con voce sgarbata mi disse: “Non vede che non c’è nessuno? Perché continua a bussare?”. Gli risposi:” Lei è un villano: è questo il modo di trattare con la gente? Non si può dire che non c’è nessuno dal momento che è venuto lei stesso ad aprirmi”. Fu questo il primo e l’unico incontro col Lo bartolo e divenne subito uno scontro. Mi colpì il suo agire circospetto e misterioso e l’aver voluto lasciare l’uscio appena appena aperto con uno spiraglio. Me ne andai quindi borbottando, ma la sera stessa volli telefonare al P. Vittorio. “Ma come fate a tenere in portineria quel cafone? Quando vi deciderete a licenziarlo?”. L’avessero fatto! Quanti guai si sarebbero risparmiati! Discutendo assieme ad amici su questa strana vicenda facevo loro, per celia, questa maliziosa osservazione: “Se quei frati invece che a Mazzarino fossero nati a…Canicattì, dopo le prime avvisaglie si sarebbero subito insospettiti e con una buona dose di frustate avrebbero scoperto tutti i misteri”. Invece per la loro dabbenaggine sono finiti in pasto di giudici prevenuti e di certa stampa disonesta. Ancora nel 1988 il giornale La Sicilia avallava queste indegne menzogne e scriveva: “La vicenda dei Cappuccini estortori. Il miracolo dei frati mafiosi e gli oboli dei fedeli divennero taglie”. E su una rivista seria come le “Cronache parlamentari Siciliane” leggo; “Sono le storie dei monaci di Mazzarino, autori di una serie di estorsioni”. La stampa del Nord, si sa, ha tutto l’interese a buttare fango sulla Sicilia, ma la stampa isolana quale interesse poteva avere? Speculazione politica: nient’altro! Io non sono affatto tenero con l’istituzione ecclesiastica, ma mi indigno di fronte a tante calunnie. Chi come me conosce l’ambiente monastico sa molto bene che i frati non potevano avere nessuno stimolo ad estorcere denaro. Il denaro estorto fu trovato addosso al Lo Bartolo che col malloppo stava riparando in Francia.

Secondo i colpevolisti i frati furono così potenti da raggiungere il Lo Bartolo in carcere e farlo uccidere. Falso! Poco dopo i frati diventano così deboli da farsi chiudere in carcere a loro volta! Ma vediamo chi sono i quattro protagonisti della “scandalosa” vicenda. Il P. Vittorio c’entra come i cavoli a merenda. Una sola la sua colpa: da guardiano possiede una macchina dattilografica che tiene a disposizione di tutti fuori la porta della sua stanza. Di questa macchina il Lo Bartolo si serve per scrivere le sue lettere minatorie. Secondo protagonista il P. Agrippino due volte ricoverato in ospedale psichiatrico, psicologicamente labile e giustamente terrorizzato in precedenza per una fucilata esplosa nella sua stanza dalla porta semiaperta. I frati esporgono regolare denuncia, ma dai carabinieri ricevono solo dolci parole di conforto. Terzo protagonista l’ottantenne P .Carmelo. Già la stessa età giustifica la debolezza e il cedimento di fronte a precise minacce. L’unico neo, se di neo si può parlare, quando il giudice dal carteggio di P. Carmelo viene a scoprire una sua relazione amorosa con una signorina. Il giudice ha guazzato in questo campo che nulla ha a che vedere con le estorsioni. Quarto protagonista il P. Venanzio, il più esperto e, forse, il più compromesso. Ma anche lui è una vittima. Le minacce di ritorsioni più che a lui erano rivolte ai suoi fratelli proprietari di un mulino a Mazzarino. Il torto più appariscente del P. Venanzio è quello che, vistosi arrivare una tegola sul capo, cercò non solo di scanzarla ma, pare, che cercò di farla ricadere sul capo di altri suoi confratelli con i quali non era in buoni rapporti.

L’ortolano Lo Bartolo era un fervente comunista e i frati avevano cercato di “convertirlo” procurandogli un lavoro presso di loro e sistemandogli i figli in vari collegi. Tutto questo non fece nascere la gratitudine nel cuore del Lo Bartolo che invece architettò ai loro danni una diabolica macchinazione. Cominciò a mandare lettere di estorsione proponendo come intermediari proprio i frati e per dimostrare che faceva sul serio uccise il possidente Cannata che aveva reagito alle minacce. Con i frati si finse anche lui una vittima e li supplicava ad accettare l’ingrato compito. Quando il P. Agrippino avrebbe voluto rifiutare, il farmacista Colaianni gli disse: “Padre lei non può rifiutare. Questi fanno sul serio. Ha visto come hanno ucciso Cannata?”. I frati sono stati condannati, il Colaianni istigatore no. La violenza contro i frati durò a lungo e, volendo, avrebbero potuto sottrarsi da essa, ma restano sempre vittime. Non per niente l’avv. Carnelutti disse rivolto ai frati: “Se dovreste trovarvi in una situazione simile, quell’errore rifatelo”. Il suicidio del Lo Bartolo in carcere è la chiave di volta per scoprire il mistero: scoperto in flagranza e vinto dai rimorsi si tolse la vita. Come risulta dalle indagini bancarie i frati i soldi non li hanno presi, ma li hanno sborsati. Quando chiesi notizie al mio confessore P. Sebastiano, provinciale in quei tempi, mi disse: “Io so solo che fui costretto a pagare il pizzo ed ho sborsato L. 1.300.000”. Venni poi a sapere che anche il guardiano di Gela, il P. Enrico, che io e molti altri ancora ricordiamo con stima, dovette consegnare agli estortori un milione e mezzo. Altri cappuccini furono taglieggiati. I frati finirono in carcere nel 1960. Nel primo processo furono assolti. Contro di loro l’avv. Leone, divenuto poi presidente della repubblica, fu durissimo. Il pm si appellò e nel 64 fu celebrato il processo di secondo grado che si concluse con la condanna a 12 anni di reclusione. Poi la Cassazione annullò questa sentenza e la Corte di Appello nel ‘67 emanò la condanna a otto anni di carcere, ma giustizia non è stata fatta. Sono prevalse ragioni politiche. I frati sono stati dati in pasto alla pubblica opinione creando il mito dei frati di Mazzarino ladri e mafiosi, mentre in effetti essi non sono altro che povere vittime del loro maledetto ortolano. Ingenui sì, ma ladri e mafiosi assolutamente no.


Autore : Antonio Corsello

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