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notizia del 13/11/2006 messa in rete alle 23:06:21
Sulla bestemmia la laicità e la tolleranza
La bestemmia in TV? L'attore ha violato una clausola contrattuale ed è stato espulso. Punto. Non c'è alcun dibattito da sviluppare. Lo Stato Italiano è laico nella sua aconfessionalità. L'aconfessionalità è una voce dello Stato che non offende nessuna religione, preservandone i valori e, soprattutto, identificandoli come tali: ossia religiosi.
Forse la domanda corretta da porre (con tanto di dibattito) era: se quel personaggio televisivo bestemmiava contro Allah (al momento improbabile, ma non impossibile), sarebbe stato bandito lo stesso dal programma?
Dice bene il “laico individualista” Trainito (non ritengo di offendere la sua sensibilità ed intelligenza laddove leggo altrettanto risentimento nella sua reazione alla “polemica” risposta del “cattolico” Cassarino, se è così, me ne scuso anticipatamente. Forse, però, definire “concordatario”, tralascio il termine “fascistoide”, il giudizio di Landolfi sulla vicenda, ha conferito un accento politico, quasi di parte, all’articolo, non so se voluto o meno ma tanto quanto basta per trarre in inganno il lettore): agnostico ed ateo non sono la stessa cosa. L'agnostico, di fatto, non si esprime. Egli sospende il proprio giudizio sull’esistenza o meno di Dio, poichè la ragione non spiega logicamente nè l'una nè l'altra (L'agnosticismo è una posizione di principio. In fondo, tutti noi nasciamo agnostici ma non riusciamo a rimanere coerentemente tali nell'apprendimento e crescendo maturiamo convinzioni o scelte di campo) .
Rispetto all'agnostico, l'ateo compie un passo ulteriore: la ragione non spiega l'esistenza di Dio? Quest'ultimo non esiste. Quella dell'ateo è una convinzione, o meglio, un credenza. L'ateo “crede” nella non esistenza di Dio. Ma se il credente non riesce a spiegare l'esistenza di Dio attraverso la logica, e quindi compie un atto di fede (un irrazionale salto nel vuoto affidandosi al dogma), c’è chi come Tommaso d'Aquino ed Anselmo d'Aosta, ritiene che l'esistenza di Dio possa essere provata logicamente: in tal caso, la fede non è più un qualcosa d'irrazionale, ma una scelta razionale conseguenziale.
Qual'è allora la differenza fra credente e fedele? E' tutta nella differenza tra credenza e fede. La credenza è una convinzione temporanea suscettibile di variare perché lascia una porta aperta al dubbio. La fede è una convinzione assoluta, un assunto che poggia su dogmi incontestabili. Sotto un profilo filosofico, l'impostazione di Sant'Agostino e San Tommaso è impeccabile (a prescindere se contestabile o meno nei risultati): se io affermo che Dio esiste, devo provarlo logicamente. L'onere della prova, invero, spetta a chi esprime un’affermazione e non a chi la nega. Ecco perchè considero non meno "spettacolare" del credente, l’acrobazia nel nulla di ciò che definisco “iper-ateo”, il quale poggia sulla fiducia (una fiducia nei risultati delle proprie congetture che è molto prossima ad essere una “fede”) in una logica che non si limita a non dimostrare l'esistenza di Dio, ma che vuole dimostrarne la non esistenza (in realtà, c'è solo l'ambizione di voler provare proprio ciò di cui si nega l'esistenza: se non è irrazionale, è uno spropositato uso della ragione che vorrebbe dimostrare l’inconoscibile). La differenza è palese. Ateismo è semplice constatazione: osservo la realtà e non scorgo segni divini. Da qui a volerlo dimostrare, mi sembra un’assurdità.
Ma cosa c’entra tutto questo col laicismo?
Il “laicismo” non è più una questione filosofica, da tempo. E’ una questione politica. Il “laicismo” intende promuovere l'indipendenza di pensiero dall’influenza delle autorità ecclesiastiche: in linea di principio, essa è propria degli anticlericali, atei o credenti che siano. Il laicismo diventa un’impostazione di comodo ed opportunistica nel momento in cui lo si vuole riferire esclusivamente ai non credenti, oscurando la considerazione secondo cui ci sono molti credenti anche anticlericali, cioè contrari al funzionariato religioso ed alla sua traduzione (con tanto d’influenza) politica.
Sicchè anticlericale è diventato un termine “bruttissimo” ed il laicismo è diventato una battaglia politica di chi dietro un lessico più morbido (laicismo, appunto) vuole nascondere l'anticonfessionalismo che, con il Vaticano a Roma, coincide (almeno in Italia) con l'anticattolicesimo. Ma la pretesa laicista (cioè proprio di chi è laico) è un qualcosa che possono vantare sia credenti che atei: a rigore, il laico è chiunque non sia chierico.
Incontestabilmente, in Italia, la vicinanza col Vaticano ha messo in seria difficoltà l’aconfessionalità statale. Ma è mia opinione che la Costituzione, i Patti Lateranensi ed il nuovo Concordato del 1984, ne hanno ridotto i termini. Magari non c'è nulla nel concordato che giustifichi interventi ingerenti di Papi e Cardinali: magari è l'attuale classe dirigente politica italiana a mostrare il fianco e non la natura pattizia di quel concordato.
E’ vero: rimangono alcune questioni aperte. Inutile negarlo, soprattutto, il “laico” non può. Ma egli deve anche sottacere al fatto che c’è stato un Papa, Giovanni Paolo II, che ha attaccato prima il comunismo e poi il capitalismo direttamente a casa loro? Deve anche sottacere al fatto che quel Papa andò a parlare a Cuba con la figura di Gesù Cristo dietro e quella di Che Guevara davanti, perchè ciò significherebbe riconoscere una capacità di dialogo ed interlocutoria?
Se con “laicità” intendiamo autonomia di giudizio da ogni costruzione mentale ideologica (religiosa o non), il “laico” non è chi nega o meno l'esistenza di Dio, ma chi cerca di ragionare anche al di fuori dell'esistenza di Dio ed all'interno dei confini del conoscibile. L’essere laico non è prerogativa dei non credenti. Se tale è la pretesa, ancor più forte è il sospetto che si giochi sulla differenza fra diritti, libertà e battaglie ideologiche, col rischio di confondere di nuovo le acque: lo Stato Italiano è costituzionalmente uno Stato di Diritto e non “laico” che è altra cosa.
E poi chi sono i cosiddetti laici, oggi, in Italia? L'ala radicale, estremista e minoritaria, che ingaggia battaglie politiche e soprattutto referendarie improbabili: tanto chiassosa quanto inconcludente? Oppure quella che, in contrapposizione alla prima, definiremmo reazionaria: che va per la maggiore ed ha rappresentanti nelle istituzioni (Pera) e nei mezzi d'informazione (Ferrara)? Non importa se di destra o di sinistra ed in questa è molto “democratica”. Di fronte alla crisi dei valori della società attuale, sottoposta ad un continuo fermento, ad un perenne cambiamento, questi si rifugiano nei valori cattolici perchè la Chiesa è sempre lì, non cambia mai (convinzione, invece, del tutto errata in una prospettiva scientifica, la quale è non a caso l'unica veramente assente).
Se non si sceglie una nuova prospettiva, autentica, non c’è una pretesa “laicità” nello Stato capace di scrivere una nuova pagina democratica e libertaria, davvero, nel suo "liberare" questo paese da una zavorra frenante logiche di vera innovazione e spinte di vero rinnovamento, nella sola ed unica consapevolezza che le idee hanno vita più lunga delle contingenti formule politiche. Mi chiedo quando dovrò ancora attendere per vedere questo paese animato da una politica fatta di ragionamenti e non sentimenti (e, dopo quello che è successo nel '92, anche risentimenti) e debbo registrare, invece, un conservatorismo psicologico che fra rancori e ferite ancora aperte (chissà per quanto tempo), impedisce di far emergere la parte più verace di quella che si spaccia per “laicità”.
Occorre apertura senza scadere nell'estremismo, con la politica dei piccoli passi, secondo un processo ed una dinamica incrementali. Proprio perchè si è “laici”, non si accettano scatole chiuse. Le scatole si aprono (anche se fosse un vaso di pandora, qualora se ne rinvenisse l'esistenza) e ciò presuppone dialogo. E nel dialogare è imprescindibile rispettare, non tollerare. E quando dico tollerare, lo faccio a ragion veduta. La tolleranza e l'intolleranza presuppongono una posizione di superiorità che “un laico” dovrebbe avere la premura di non accettare sebbene ad utilizzare questi termini sia non solo il Papa, ma anche il proprio Presidente della Repubblica, non foss'altro perchè "l'italiano laico" (mi permetto una punta polemica) non li ha mai eletti: nè l'uno, nè l'altro.
Occhio! Se un credente è un povero superstizioso, allora l'ateo è un ricco presuntuoso: perchè egli come il primo non ha certezze. Dico di più. Sottovalutare è cosa politicamente ben più stupida dell'essere superstizioso: certe battaglie referendarie, lo spiegano. Pensare che un credente ascolti alla lettera le parole del Papa è una sciocchezza colossale. Quale ragionamento inquinato dalla fede, avrebbe indotto i credenti ad ascoltare le omelie dei parroci in temi come la fecondazione assistita o l'eutanasia e non anche in altri del passato come l'aborto ed il divorzio? Ogniqualvolta si pretende di zittire il Papa su questioni etiche, nella presupposizione che le pecore del gregge seguano come automi il loro pastore, si ottiene l'effetto contrario di ciò che ci si propone. In un dibattito in cui si gli attori si delegittimano a vicenda (gli uni perchè superstiziosi e non autonomi nel pensiero, gli altri perchè difendono valori su cui “non credono”) non c'è alcun dialogo, perchè non c'è alcun rispetto (che è ammirazione ed indulgenza al tempo stesso).
E la pretesa/presunta tolleranza va proprio a farsi benedire.
Autore : Filippo Guzzardi
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