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Corriere di Gela | A cena i San Giuseppe
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notizia del 04/04/2006 messa in rete alle 22:21:28
A cena i San Giuseppe

Una consuetudine arretrata, un carnevale in piena quaresima. E’ strano che sia toccato proprio a me il ruolo di guastafeste, di colui che ha sempre qualcosa da criticare. E infatti sento di non poter condividere l’enfasi con cui il sindaco Crocetta ha presentato “A cena i San Giuseppi”. Dice Crocetta: “Una sicilianità che rivela il suo volto migliore con una tradizione che non solo viene abbandonata, ma addirittura si incrementa ogni anno. Quest’anno ci sono in città non meno di 50 “cene”, tutte bellissime, tutte provenienti da una grande devozione popolare, da una grande spinta ad aiutare i poveri”. Molto più seria ed obiettiva la presentazione del Priore P. Luigi Lo Monaco il quale coraggiosamente parla di “forme pittoresche molto interessanti, le quali, però, talora mal si conciliano con la fede. La tavola di S. Giuseppe va riguardata essenzialmente nella sua dimensione di manifestazione folkloristica.
L’opera educatrice della Chiesa ha cercato di cristianizzare quegli aspetti che contrastano con il senso della autentica fede cristiana. E sicuramente non é un impegno facile dal momento che la nostra buona gente é sì affezionata a queste forme di pietà popolare, ma ha questo e questo soltanto”. Bravo! Complimenti! Si vede bene che Padre Luigi non ha preoccupazioni elettoralistiche. Ha avuto perfino il coraggio di denunziare la superstiziosa attesa, tra le danze, della “palummedda” che rappresenta lo Spirito Santo e che entra a benedire le cene.
Spiego subito i motivi fondamentali del mio dissenso che ho manifestato da oltre cinquant’anni. Si afferma che l’origine delle cene é l’aiuto ai poveri. Cosa bellissima, anzi doverosa. Bisogna però gridare a gran voce che i poveri non vanno aiutati con umilianti e spettacolari elemosine. Chi ha iniziato questa tradizione in occasione della festa di San Giuseppe non ha letto e non ha messo in pratica l’insegnamento del Vangelo dove (Mt. 6,2) si dice espressamente: “Quando tu fai l’elemosina non metterti a suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per averne gloria presso gli uomini. Ma mentre fai l’elemosina non sappia la tua sinistra quello che fa la tua destra, in modo che la tua elemosina rimanga in segreto”. Esattamente il contrario di quanto avviene oggi nelle cene di San Giuseppe, dove tutto é ostentazione e spettacolarità. Prima nelle sinagoghe, ora nelle chiese. E difatti, chi accetta questa umiliazione? Solo chi non si vergogna di essere povero. In mancanza di patriarchi (così vengono chiamati) abbiamo fatto ricorso agli extracomunitari. Fra qualche anno avremo a disposizione solo marocchini, sudanesi ed etiopi. Alla fine la “bella tradizione” scomparirà eccetto il caso, auspicabile, che venga ripulita dalle distorsioni superstiziose e paganeggianti che attualmente la contraddistinguono.
E c’é dell’altro. Nella S. Scrittura c’é un passo illuminante che nessun sacerdote riporta mai nelle sue omelie, anche se, questa sì, é vera parola di Dio. “Non ci sarà presso di te nessun povero” (Deut. 15,4). Se capisco bene il passo, la frase significa: “Non ci deve essere presso di te nessun povero”. Nell’edizione paolina del 1963 si traduceva: “non ci dovrebbero essere presso di te nessun povero”. Non ci dovrebbero essere poveri ma ci sono. Per me quella frase é un imperativo futuro, un imperativo che ha condizionato la vita dei primi cristiani, ma che poi é caduto in disuso. Sarei curioso di sapere se ancora c’é per i patriarchi l’obbligo di confessarsi la vigilia. Per me quello era il giorno più brutto dell’anno.
Secondo le regole, prima di dare l’assoluzione, bisognava accertarsi se il penitente conosceva almeno i misteri principali della nostra fede. Ma per molti di loro quei misteri restavano veramente misteri impenetrabili. Ogni anno veniva a confessarsi il famoso Nino Mpopa. Gli chiesi: “Chi é Gesù Cristo?”. Risposta: “Quello che hanno messo in croce”. Chiesi ancora: “E adesso dov’é?”. Se ne stette in pensiero per un pò e poi mi disse:
“Ammucciato”. Cosa potevo fare? Gli diedi ugualmente l’assoluzione, lasciando a Dio il giudizio definitivo. Nino, vistosi trattato bene, dopo appena un’ora venne di nuovo a confessarsi nella speranza di ottenere un nuovo attestato da dare a qualche altro che non riusciva ad ottenerlo. Lo rimproverai amabilmente e non potei accontentarlo.
Scrivevo già nel 1970 in un mio libro: “Festa di S. Giuseppe: un carnevale in piena quaresima. Ogni città ha la sua mostra. Noi abbiamo quella della povertà. In fondo ci si addice. L’aspetto più deludente della tradizione é la maniera in cui vengono conciati quei poveri infelici che hanno l’ambito onore di essere prescelti per questa pubblica berlina della povertà. Al patriarca si fa indossare una veste bianca che viene arrangiata alla meglio con due… camice da notte di donna! Non c’é che dire: é un colpo d’occhio e tutta quella massa di patriarchi che affolla la chiesa é un eccezionale spettacolo folkloristico che diverte bambini e grandi. Nessuno avverte però quello spettacolo sarà folkloristico quanto si vuole, ma é un vero e proprio insulto alla povertà. Naturalmente il povero che abbia un minimo di dignità non accetta questa mortificazione e anche se é veramente bisognoso viene scartato. Le mie prediche, anche un pò dure, i miei consigli privati hanno avuto pochissimo effetto”. Niente da aggiungere. Mi si dice che adesso la veste bianca é quasi scomparsa. Se é vero, vuol dire che avevo ragione io cinquant’anni fa. Si dice che la cena di S. Giuseppe é nel segno della tradizione. Ma quella tradizione é solo folklore che offusca la vera fede. Ci si dimentica di quanto ha dichiarato il grande papa Paolo VI: “Il nome nuovo della carità é la giustizia”.
Ai poveri bisogna dare lavoro e dignità, non elemosine che servono solo a porre un pò di rimedio ai guasti provocati anche da quella che viene definita la dottrina sociale della Chiesa.
Nel cattolico Perù, dopo cinque secoli di imperante cattolicesimo, la gente continua a morir di fame in una società dove si insegna la dottrina sociale della Chiesa, ma dove sussistono forme non troppo larvate di schiavitù. Ma anche in un regime di perfetta giustizia, ci saranno sempre dei bisognosi. Vanno aiutati, ma senza suonare la tromba.
Questa sì che é vera parola di Dio.
Leggo ora sul giornale La Sicilia: “Il presidente antiracket veste a Francoforte i panni di S. Giuseppe e dice: “Il successo della festa di domenica non lascia più dubbi. La gente non vuole più che tre persone meno fortunate vengano messe alla “berlina” e umiliate per donare loro dei soldi”. Chiaro no?


Autore : Antonio Corsello

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