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Corriere di Gela | I sogni degli Italiani
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notizia del 14/11/2010 messa in rete alle 13:25:46
I sogni degli Italiani

Quella giornata Saro era incazzato, lo si vedeva dai tratti del volto, tirati e non rilassati, ma soprattutto, per chi lo conosceva, dal naso. E si, il naso di Saro, quando la tensione o l’incazzatura lo prendevano diventava più sfilato, quasi appuntito. La pelle del viso si tirava da sé. Almeno questo era l’effetto che Peppe, che lo conosceva bene, diceva su di lui in quei momenti. Camminava con passo pesante, come se volesse schiacciare la terra sotto di sé e con la testa china, incurante di chi gli passava accanto.

Peppe lo intravide da lontano e percepì che qualcosa non andava. Si avvicinò con passo lesto e, raggiuntolo, lo chiamò posandogli la mano sulla spalla. Sarò continuo a camminare come se non si fosse accorto neanche del gesto di Peppe. A quel punto Peppe, che era di spalle a Saro, lo superò e si pose davanti a lui come un gendarme e gridò «Saretto, c’è qualcosa che non va?». Saro alzò la testa e, per un istante, i tratti del volto si rasserenarono. La vista di Peppe lo aveva riconciliato e distolto dai pensieri incazzogeni che parevano avvolgerlo. «Oh Peppe, nulla che non vada, anzi tutto va, eccome se va, purtroppo nella direzione opposta» sentenziò Saro. «Direzione opposta a che, Saro? Ti è forse accaduto qualche incidente sulla statale? Dimmi in cosa posso aiutarti?» soggiunse Peppe quasi preoccupato.«Nulla a che fare con veicoli e strade caro Peppe, eppure ci sono cose che mi fanno comunque incazzare! Proprio perché potrebbero essere semplici ed invece qualcuno le rende complesse e le svuota anche di senso». Sembrava che Saro avesse terminato, invece fece un bel respiro e continuò.

«Appena sveglio, come ogni mattina, ho acceso la radio che tengo in bagno e che ascolto mentre mi lavo e mi rado ed ho seguito quel programma che un giornalista intrattiene con telefonate in diretta. Gli ascoltatori rivolgono domande sull’attualità dopo che il giornalista ha commentato i quotidiani del giorno. Uno di questi, credo fosse della Lombardia, ha rivolto un quesito sul cosiddetto “lodo Alfano”. Sai Peppe, quella proposta di legge sull’immunità del premier che in realtà, considerando l’età dell’attuale presidente del consiglio e le sue aspirazioni presidenziali, può essere ben chiamata impunità, per come è costruita. Ma lasciamo perdere, questo ormai è un dibattito che dura da troppo tempo». Saro sembrò più rilassato di prima, forse perché aveva trovato un modo per fare uscire un po’ di pressione mentale dai suoi ragionamenti che non lo abbandonavano mai, per l’incorreggibile abitudine a darsi una spiegazione sui fatti.

Ottima virtù questa, ma nemica della tranquillità, infatti il mondo animale questo lo sa e vive meglio. Riprese: «Ma una cosa mi ha turbato ed innervosito, Peppe. Lo stesso ascoltatore, che diceva di essere un impiegato, uno di quelli che porta a casa poco più di mille euro al mese, si è sperticato in una apologia dell’attuale governo, che sta reggendo l’economia del paese, non aumenta le tasse, fa da baluardo al comunismo dilagante e soprattutto, e questo, Peppe, mi ha guastato la giornata, ha detto che gli Italiani dovrebbero ringraziare il premier per il sogno di un’Italia libera e moderna». Peppe conosceva bene Saro, sapeva che aveva una visione politica non coincidente con l’attuale governo in carica, sapeva anche che le sue arrabbiature per fatti generali avevano una maggiore frequenza di quelle che potevano innescarsi per fatti contingenti e personali. Contrariamente alla media, che rovina il proprio umore prioritariamente per ciò che va storto sugli accadimenti individuali. Ma Saro era fatto così, pensava che le cose generali avessero una forza di impatto maggiore di quelli particolari. E spesso Saro diceva che il male non si misura dall’immediatezza degli effetti ma dalla “magnitudo” degli stessi e Peppe, per afferrare il concetto dovette, a suo tempo, documentarsi nell’ambito della teoria del rischio.

Saro continuò:«Ecco, Peppe, una sola parola di quell’intervento mi ha fatto incazzare: l’uso della parola sogno». Saro si rasserenò, sia per avere ricapitolato la causa del cattivo umore, sia perché era vicino alla esplicazione sintetica del suo parere. «Vedi Peppe, ha usato la parola sogno, non ha detto: progetto, piano, politica, azione, prospettiva, al limite anche ideale o principio, no, ha detto sogno!». Peppe, se non fosse stato Saro ad impuntarsi su tale termine, avrebbe concluso che altre cause avrebbero potuto generare quel malumore, come una lite con la moglie o una velleità di suo figlio o qualche diverbio con la suocera. Ma trattandosi di Saro, non sottovalutò il ragionamento e continuò ad ascoltare. «Il sogno ha una presupposto, caro Peppe, segue le regole delle nostre ambizioni, dei nostri desideri, delle nostre velleità mai soddisfatte e necessita, per essere ancora più coinvolgente, di un innesco come il riposo, la tranquillità, un comodo appoggio o, come nel caso dell’ascoltatore, di un ipnotizzatore esperto, capace, con gli strumenti che possiede ed organizza, di indurre sogni». Peppe cominciò a capire a chi Saro stava per riferirsi. Troppe volte avevano affrontato questo tema generale in Italia, malgrado a Saro dava fastidio dare enfasi a ciò che non condivideva. «Ecco Peppe, spesso mi capita di avere conferma che buona parte degli Italiani sono alla ricerca di sogni, ma non quelli che possiamo gestirci da soli con la nostra capacità onirica, no, sono Italiani che hanno bisogno di chi i sogni ce li fornisca già cellofanati ed impacchettati, sogni che vengono identificati solo con la descrizione che la scatola riporta ed è su quella che creano il loro parere. Mai che aprissero quella scatola e assaggiassero cosa contiene. Solo allora potrebbero avere un parere realistico e rispettabile». «Sapere che ci sono Italiani che sognano i sogni confezionati con belle etichette mi fa arrabbiare, perché gli ipnotizzatori da circo possono anche passare, ma la voglia di farsi ipnotizzare con sogni non alla nostra portata e gestiti da altri mi preoccupa, non per me ma per i nostri figli».

Peppe cercò di ridimensionare l’arrabbiatura di Saro facendo un gesto circolare con la mano che però sortì l’effetto di un rinforzo del pensiero da parte di Saro:«Vedi Peppe, oggi l’uomo è diventato un homo videns, la sua conoscenza coincide con ciò che vede non più con ciò che fa o con ciò che ragiona per cui la forma più efficace di conoscenza è il sogno, se poi è indotto si risparmia anche la fatica di doverlo sognare. E’ su questo paradigma che è basato il consenso di molti Italiani. Solo una sveglia ci potrà salvare, una enorme sveglia con campane al posto della suoneria, che svegli l’intero paese dai sogni indotti. E comunque caro Peppe, mentre molti Italiani sognano, i ladri svaligiano l’appartamento». Saro si fermò, pensò di avere espresso tutto quello che bastava esprimere in quel frangente e si sentì notevolmente più rilassato.

Peppe soggiunse «non ti smentisci caro Saro, basta poco per farti incazzare sui fatti generali, e non basta neppure una sequenza di avversità per farti perdere le staffe sui fatti contingenti e personali, sei fuori dalla norma, ma va bene pure così». Saro accennò un sorriso e ribattè «Hai ragione Peppe, se questa fosse la normalità non avremmo un’Italia degenere».

Peppe salutò Saro, un po’ soddisfatto di averlo fatto rasserenare, ma mentre ritornava sui suoi passi uscì dalla tasca il fazzoletto ed inavvertitamente il gratta e vinci che aveva acquistato e riposto insieme al fazzoletto gli scivolò cadendo tra le grate di un tombino proprio sotto di lui. Imprecò sicilianamente perché quella scheda di pochi euro poteva contenere la soluzione ai suoi problemi, ma ricordandosi della discussione con Saro evitò di sognare che quello poteva essere il biglietto così avidamente ricercato.


Autore : Sebastiano Abbenante

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