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notizia del 01/06/2013 messa in rete alle 12:36:54
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Fratelli suicidi
Parlare del suicidio è scomodo, perché ci sono mille ragioni per farlo e mille per non farlo. Ci sono suicidi in perfetta salute fisica e mentale e suicidi patologici. Io conoscevo il ragazzo che ha scelto di suicidarsi 4 anni dopo la sorella, lo stesso mese e lo stesso giorno, quasi coetanei, si amavano tanto da non poter stare separati, insieme nella vita e nella morte? O era l’odio che li univa, Freud direbbe il loro odio, l’odio ed i sensi di colpa di lui verso di lei, lui è stato ucciso da lei morta, dall’odio di lei che era penetrato in lui e da anni lo tormentava, ed infine se l’è portato via? Amore ed odio, ambivalenza emotiva.
Certo i due fratelli sotto questo profilo erano molto legati, le date non sono a caso, sono state scelte da lui, segno di un profondissimo legame in vita e post- mortem alla sorella, uniti per sempre in un groviglio inestricabile di sentimenti complessi, in cui i due erano un tutt’uno. Certo il suicidio dei normali e dei sani è spia di un malessere profondo della persona. Gela è teatro di tante iniziative giovanili positive, ammirevoli, nello sport, nella cultura, nell’arte. Ma la realtà è promiscua e diversificata, oggi non ci sono più i suicidi ideologici degli anni post-rivoluzione, i suicidi dei filosofi, dei militari, degli stoici, dei rivoluzionari delusi. Escludendo i suicidi dei depressi e degli schizofrenici , rimangono i suicidi dei normali e dei sani di mente. Accettare l’idea che un suicidio possa essere organizzato e portato a termine all’interno di una struttura mentale fondamentalmente sana, è inquietante e scomodo, è dolorosamente contrario all’istinto di vita, che porta ad aggrapparsi alla vita anche quando è una vita dolorosa e difficile. Ma in un mondo che esalta la comodità e la felicità, il godimento giorno per giorno, non poter goder appieno della vita, provoca frustrazioni insopportabili in alcune persone. L’aggressività che ingorga le menti cerca un oggetto su cui scaricarsi, o dentro se stessi (suicidio)o fuori da se stessi (omicidio).
Ognuno di noi si misura ogni giorno con il suo carico di insoddisfazioni, di frustrazioni e di aggressività repressa di cui è consapevole e di aggressività rimossa di cui non è consapevole. Si tende a stendere un velo pietoso sui suicidi, poverini. Non si sa cosa dire, e l’indomani non se ne parla più, non è come il femminicidio che fa notizia, e vende sui giornali, no.
E’ inquietante e poi a che serve parlarne? può forse prevenire nuovi suicidi, o al contrario può slatentizzare ed indurre altri a farlo? Il suicida è un povero sofferente, un debole, o un eroe che finalmente esiste in quanto compie il gesto estremo con cui crede di potere affermare la sua volontà? Ogni suicidio ha le sue motivazioni.
Ai più fa rabbia la notizia di un suicidio, c’è un sottile rimprovero per il suicida, che non lotta più e da codardo cerca la via più semplice, più facile, scomparire. Ma ci sono situazioni di dolore che nella distribuzione delle energie mentali di ognuno di noi possono spiegare il gesto suicida.
La chiesa condanna sempre e comunque i suicidi, puniti per essersi suicidati, doppia punizione. Se Dante aveva individuato un girone infernale per loro, oggi chi crede, chi ha fede dove li metterebbe una volta giunti al cospetto di Dio? E cosi anche lo Stato, paradossalmente chi tenta di uccidersi e non ci riesce dovrebbe andare in galera per tentato omicidio in quanto il corpo non è soltanto suo, ma è delle società, appartiene allo Stato.
Paradossalmente, siamo pronti a ad accettare l’idea che in piena libertà ognuno possa scegliere come morire e quando morire, rimanendo persona sana di mente? Oppure è più rassicurante chiudere la discussione con la psichiatrizzazione del suicidio sempre e comunque? Siamo sereni, tiriamo un sospiro di sollievo quando un omicidio si conclude con un suicidio. Siamo salvi. Ma un doppio suicidio come quello di Gela, all’interno della stessa famiglia , come lo approcciamo? Con una tendenza familiare al suicidio, con un tratto genetico, con una cattiva educazione?
Il suicida, dice la chiesa, è un arrogante, che fa una azione che appartiene solo a Dio, togliere la vita, che appartiene a Dio e che a noi umani è solo data in prestito per un certo tempo, il nascere e il morire non appartengono all’uomo, ma solo a Dio, il suicida viola una legge divina e si sostituisce a Dio, perciò va all’inferno, da presuntuoso arrogante.
La religione cattolica non fa sconti al suicida. E noi che non abbiamo la fede, noi laici siamo pronti ad accettate l’eroicità del gesto suicida, la libera determinazione del tempo vitale pre-mortem, o preferiamo sempre e comunque psichiatrizzare il gesto suicida?
Autore : Francesco Lauria - medico chirurgo,specialista in Psichiatria
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