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notizia del 29/04/2004 messa in rete alle 09:33:33
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La ragione secondo Oriana
Nel libro di Oriana Fallaci, La forza della Ragione, da poco pubblicato da Rizzoli International, è molto importante (almeno per l’autrice) il riferimento a Cecco D’Ascoli, un poeta-scienziato bruciato vivo a Firenze dall’Inquisizione nel 1328. Lei si identifica tout court con Mastro Cecco, che già si era identificato a sua volta con la Donna in un famoso distico dell’Acerba, il suo importante poema incompiuto che egli intendeva contrapporre sul piano dottrinale alla Commedia dantesca: "Donque io son ella, e se da me se scombra, / alor di morte sentirazzo l’ombra".
Ma questo Oriana non lo dice (difficile pensare che non lo sappia, e forse col suo silenzio vuole che ci arrivi il suo lettore ideale) e cita di Cecco solo la Sfera Armillare (che gli costò il rogo), paragonandola con patetica esagerazione al suo La rabbia e l'orgoglio per i guai che le ha procurato (nel "Prologo"), e a La forza della Ragione stessa per i guai che le procurerà (nell'"Epilogo"). Da non perdere le rabbiose risposte a Sabina Guzzanti (un’“oca crudele che mi impersona con l’elmetto in testa e deride la mia malattia”, p. 24) e a Dario Fo (“un vecchio giullare della repubblica di Salò”, p. 18), i quali l’avevano attaccata senza pietà durante il Social Forum di Firenze del 2002, dopo il suo famigerato articolo contro i pacifisti sporca-monumenti, nonché il racconto della sua intervista a Cassius Clay-Muhammad Alì nel maggio del 1966, durante la quale, per manifestarle tutto il suo musulmano disprezzo maschilista, il famoso pugile convertitosi all’islamismo “sbuffava, si grattava, mangiava immense fette di cocomero e [le] ruttava in faccia” (pp. 126-127). Ma tutto il libro è pieno di regolamenti di conti con quelli che lei definisce "collaborazionisti" col dilagare culturale dell'Islam in Occidente, e in quanto tali "traditori" (ne La rabbia e l'orgoglio costoro erano chiamati semplicemente "cicale"): la Triplice Alleanza di Chiesa, Sinistra e "Destra" (in senso elettoralistico, non ideologico, come vedremo), e poi Prodi, Fini, D'Alema, certi vescovi, i brigatisti, gli arcobalenisti, l'Unione Europea, l'Onu, i Governi e gli Stati che hanno accettato sin dagli anni Settanta lo scambio cogli sceicchi (petrolio a prezzi contenuti in cambio dell'immigrazione di manodopera musulmana, con conseguente colonizzazione sistematica e programmatica delle nostre città), ecc.
Una cosa va però precisata. In molte delle recensioni che ho letto in questi giorni (quasi tutte fatte da gente che non ha letto il libro e si è basata su anticipazioni e sul sentito dire), si lascia intendere che il termine "Eurabia", che la Fallaci usa per connotare negativamente l'Europa asservita al filoislamismo pseudopacifista e ipocritamente ispirato a un equivoco multiculturalismo, sia stato coniato da lei stessa. Ma nel libro si dice chiaramente (all'inizio del sesto capitolo, p. 143) che "Eurabia" era il nome di una rivista fondata nel 1975 "dagli esecutori ufficiali della congiura" contro l'Occidente, cioè da tutti quei Gruppi, Associazioni, Comitati, Istituti europei sorti allo scopo di favorire i rapporti culturali ed economici col mondo Arabo.
Inutile dire che le tesi della Fallaci sono discutibili e a volte persino strambe. È il caso, ad esempio, di quella - storicamente infondata, se non addirittura delirante - secondo cui l'Italia sarebbe sotto il governo della Sinistra da 80 anni, perché il fascismo è solo l'altra faccia del comunismo, visto che Mussolini era in origine socialista, e perché la Destra italiana, quella vera, risorgimentale, liberale e progressista, non esiste più dai tempi di Giolitti, se non dal 1876, mentre quella tradizionalista, aristocratica e retriva, è stata spazzata via dalla rivoluzione americana e da quella francese; sicché, con ardito sillogismo, "chi non c'è non comanda. Ergo, chi comanda in Italia non è la Destra. E' la Sinistra" (p. 209). Ma non c'è dubbio che il libro meriti di essere letto e meditato. Letto e meditato, spero, al di fuori delle logiche e degli schemi di partito o di schieramento, quelle logiche e quegli schemi ridicoli per cui, ad esempio, "La Padania" recensisce entusiasticamente il libro solo perché esprime idee vicine a quelle della Lega in materia di politica sull'immigrazione, mentre un giornale di sinistra definisce il libro un Mein Kampf in cui al posto degli ebrei ci sono i musulmani... Se si fa questo (e lo si fa, purtroppo), si dà ragione alla Fallaci laddove dice che in Italia ci siamo bevuti il cervello, al punto da consentire agli immigrati di venire a dettare legge in casa nostra, nelle nostre città e nelle nostre scuole (vedi le discussioni sul crocifisso in classe, sull'infibulazione-soft all'italiana da praticare nei nostri ospedali e sul diritto di voto da estendere anche a loro nelle amministrative e nelle politiche).
Alla guerra in Iraq la Fallaci dedica solo poche righe, per dire che lei era contraria all'attacco ("Io gli iracheni li lascerei bollire nel loro brodo", p. 65) e all'idea di esportare la democrazia a chi è storicamente e culturalmente incapace di accoglierla e coltivarla (cfr. pp. 65-66). Quello che le preme sottolineare è il gioco sporco di chi, dietro l'"ideologia" dell'accoglienza e del multiculturalismo, nasconde precisi interessi economici bilaterali legati al commercio con i signori arabi del petrolio fregandosene altamente del fatto che ciò comporta un incremento esponenziale del peso sociale, politico e culturale degli insediamenti musulmani nelle democrazie occidentali.
Sul piano strettamente tecnico-bibliografico, un difetto gravissimo che ho trovato nel libro è l'incredibile approssimazione con la quale la Fallaci cita se stessa: andando a controllare tutti i riferimenti a varie interviste contenute in Intervista con la storia (libro mai citato esplicitamente) mi sono accorto che, nonostante le virgolette, peraltro mai accompagnate da rimandi in nota, le citazioni sono quasi tutte imprecise. Tale è ad esempio il caso delle citazioni delle interviste a George Habash (pp. 135-136, per cui cfr. Intervista con la storia, Rizzoli 1974 & 1977, rist. 1988, p. 169 e 174), a Zaki Yamani (pp. 153-156, per cui cfr. Intervista, p. 427 e ss.) e a Pietro Nenni (p. 205, per cui cfr. Intervista, pp. 269-270). E la cosa è stranissima, perché la Fallaci cita troppo bene per far supporre che vada a memoria e troppo male per far pensare che si sia preoccupata di controllare puntualmente i riferimenti al suo libro di trent’anni fa.
Autore : Marco Trainito
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