|
notizia del 28/04/2013 messa in rete alle 23:01:40
|
Reportage2/Pasqua a Istanbul, città islamica che guarda all’occidente
La recente abolizione, da parte del primo ministro turco Tayyip Erdoğan, del divieto di portare il velo negli edifici pubblici e nelle Università come segno di libertà, sembra a molti minacciare il processo di laicità avviato da Atatürk. Ritornando a Istanbul dopo solo tre mesi ho notato un numero crescente di donne che indossano l’hijab, in effetti in un paese al 99% musulmano aprire al velo vuol dire renderlo praticamente obbligatorio. Ma alla spinta verso i valori religiosi islamici, non corrisponde un’arretratezza culturale. Bastano pochi giorni per rendersi conto che globalizzazione e postmodernità non sono concetti astratti nella città turca, ponte tra oriente e occidente. Qui si intrecciano non solo epoche multiple, come moschee del 16° secolo e palazzi art noveau del primo novecento, edifici moderni degli anni ’50 e grattacieli specchiati, ma si intersecano pure dimensioni di vita parallele. Nelle strade del centro, accanto ai venditori di cay (te), simit, e nohut pilav (riso e ceci), si affiancano Mac Donalds, Simit Saray, catena di fast food turca, ristoranti e chioschi di Kebab. La musica techno-pop dei locali si alterna al canto del muezzin, diffuso in tutta la città dagli altoparlanti dei minareti. Alle sale frequentate esclusivamente da uomini che fumano il narghilè e giocano a carte, si contrappongono i locali dell’Istikal Caddesi, dove poter incontrare uomini e donne molto trend, al pari di capitali come Londra, Berlino o New York. In una città cosi contraddittoria, non è sempre facile capire come comportarsi per non offendere i propri interlocutori, specie quando si parla di religione e politica, verso cui si hanno delle ideologie contrapposte.
«Non sono d’accordo con il processo di islamizzazione avviato da Erdoğan – ha detto Sefer Uzel (foto a destra), giovane muslin laureato in biologia e manager di un elegante locale sito nella vecchia Istanbul – mi considero un uomo laico, liberale e ritengo che l’Akp (il partito della Giustizia e dello Sviluppo a cui appartiene Erdogan) costituisca un pericolo per la democrazia».
Sefer è un musulmano, ma non segue alla lettera le regole del Corano, non pratica le cinque preghiere al giorno, né il ramadam, adora i libri di Yasar Kemal (famoso scrittore e giornalista turco, condannato per la sua critica sulla gestione del governo turco della questione curda), ascolta musica pop e rock e beve birra. Con lui sono andata a Istanbul Museurn Art, un museo d’arte contemporanea dove erano esposte le opere del pittore turco Burhan Dogancay.
«Questo è un luogo – ha dichiarato Sefer – che solitamente frequento. È un club d’arte e cinematografia, dove vengono mandati in visione film indipendenti di registi europei».
Sulla questione femminile Sefer ha asserito che sono tante le donne che frequentano le università, che il loro grado di istruzione negli ultimi anni è aumentato e che molte di esse assumono ruoli di rilievo, anche se non hanno ancora raggiunto il potere decisionale degli uomini, inoltre nei ristoranti non è raro vedere tavolate tutte femminili. Per quanto riguarda il velo Sefer ci ha rivelato che Erdogan aiuta economicamente le famiglie in cui le donne indossano l’hijab, per cui bisogna distinguere tra musulmane conscie e quelle che, nonostante portino il velo, lo fanno perché è stato loro imposto da circostanze esterne. La questione del velo è diventata il simbolo dei conflitti tra l’Akp e il blocco nazionalista ancorato alla laicità di Ataturk. Tutto ciò assieme alla richiesta turca di abolire i visti nell’area Shenghen e alla questione cipriota, fanno sì che la Turchia guardi sempre più a est. Oggi la Turchia è uno dei paesi con la crescita economica più sorprendente e tra i più vivi fermenti nel movimento di persone e capitale.
«Noi turchi non abbiamo più l’interesse di entrare in Europa – ha dichiarato Muzaffer Kanlisu, titolare di alcune attività commerciali al Gran Bazar – ci sarebbero troppi vincoli da rispettare, e poi temiamo che la crisi europea coinvolga anche il nostro Paese»
Muzaffer, è un ragazzo curdo, appartenente ad una famiglia musulmana tradizionalista. Lui, essendo il minore di nove fratelli, deve pensare al sostentamento dei genitori da cui non potrà separarsi nemmeno da sposato. Attento osservatore delle regole del Corano, Muzaffer si alza alle cinque del mattino per eseguire la prima delle cinque preghiera rivolte ad Allah, dopo aver praticato l’abluzione.
«La pulizia esteriore – ha dichiarato Muzaffer – simbolizza una predisposizione alla purezza interiore e alla purezza della preghiera»
Entrando in una moschea non puoi fare a meno di notare come gli uomini nella preghiera siano separate dalle donne, spesso costrette a pregare dietro una grata di legno o di ferro.
«Si tratta – ha commentato Muzaffer – di rispetto nei confronti di Allah. Nel pregare ci si mette in ginocchio e ci si piega poggiando la testa a terra. Questo perché la testa è il luogo più nobile del nostro corpo. È inimmaginabile un uomo che prega Allah dietro al fondoschiena di una donna»
Nella famiglia di Muzzaffer tutte le donne portano il velo, e anche la sua futura moglie dovrà essere una muslin che non dovrà separarsi dall’hijab. In lui vi evince una chiara vicinanza all’islamizzazione voluta da Erdogan, anche se subisce il fascino dell’occidente, specie per quanto riguarda la musica e la moda.
Sefer e Muzaffer rappresentano le due facce, le due anime di Istanbul, una che guarda all’Europa e cerca di starci al suo fianco per quanto riguarda stili di vita, l’altra più autentica, legata alle tradizioni. Sicuramente la cordialità e l’ospitalità dei turchi è un aspetto di Istanbul che ti colpisce profondamente. Il loro desiderio è di essere compresi ed apprezzati, di comunicare e di apprendere da persone di altri paesi, di essere considerati allo stesso livello, come cittadini del mondo, per cui non è difficile stabilire con loro rapporti duraturi. È la mia seconda volta a Istanbul in tre mesi.
Città dalle mille facce ognuna diversa dall'altra, labirinto di strade e minareti fantasmi da una parte e città supermoderna e cosmopolita dall’altra. Istanbul è tutto ciò e molto altro, ma principalmente è una città difficile da raccontare e in cui bisogna ritornare più volte.
Autore : Filippa Antinoro
» Altri articoli di Filippa Antinoro
|
|
|
In Edicola |
|
Cerca |
Cerca le notizie nel nostro archivio. |
|
|
|
|