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notizia del 28/04/2013 messa in rete alle 22:44:48
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Don Sturzo e le sue felici contraddizioni
Gioved’ 18 aprile scorso, la conferenza tenutasi al Tropicomed dedicata alla vita, morte e miracoli... di don Luigi Sturzo, uno degli esponenti più importanti del movimento cattolico italiano e europeo. L’evento, inserito nel programma della rassegna Cunta.13, è stato organizzato dall’associazione culturale “Daterreinmezzoalmare”. A parlarne, il neo eletto arcivescovo di Morreale mons. Michele Pennisi, già vescovo della diocesi di Piazza Armerina, e il giornalista e scrittore Salvatore Parlagreco, i quali hanno tracciato il ruolo storico, del prelato, tra politica e religione.
«A Gela lascio una parte del mio cuore». È in questo modo che il neo arcivescovo di Morreale Michele Pennisi ha salutato la nostra città, durante la conferenza di venerdì scorso, tenutasi al Tropicomed e dedicata alla vita, morte e miracoli di uno degli esponenti più importanti del movimento cattolico italiano e europeo: don Luigi Sturzo. L’evento, inserito all’interno del programma della rassegna Cunta.13, è stato organizzato dall’associazione culturale Daterreinmezzoalmare. Sono passati circa 90 anni dalla costituzione del partito popolare italiano, da parte di don Luigi Sturzo, che sancì l’ingresso definitivo dei cattolici nella politica nazionale, e mai come ora, in un momento in cui la crisi attuale dimostra come la politica non sia in grado di reggersi da sola, si sente la necessità ricorrere a quel senso morale e religioso che, secondo il prete di Caltagirone, avrebbe sempre dovuto accompagnare il nostro agire.
«Don Luigi Sturzo – ha dichiaro l’arcivescovo Michele Pennisi – è stato un punto di riferimento fondamentale per i cristiani di varie nazioni impegnati in campo politico e sociale. Il suo paradosso è quello di essere stato un sacerdote testimone della carità pastorale in politica»
Sturzo fu tra i primi a intuire la pericolosità del fascismo e stigmatizzare le debolezze della classe politica nei suoi riguardi. Costretto a ventidue anni di esilio, prima in Inghilterra e poi negli Usa, passando per Parigi, negli anni in cui imperava il totalitarismo, don Luigi Sturzo è più conosciuto all’estero che in Italia, dove negli anni ’50 c’è stato un ostracismo nei suoi confronti, anche da parte della maggioranza dei cattolici, perché denunciava le tre male bestie del sistema italiano: statalismo, partitocrazia e abuso del denaro pubblico. Non era più il fascismo, ormai sconfitto a rappresentare un pericolo per la democrazia, ma il dirigismo e statalismo esasperato della sinistra, anche da quella cattolica. Nell’eccessivo intervento dello Stato nell’economia Sturzo intravedeva, non tanto l’inefficienza economica, quanto i pericoli di una corruzione legata alla spartizione dei posti nelle aziende pubbliche, che da lì a poco con Enrico Mattei, avrebbe infettato tutto il mondo politico italiano . Il popolarismo di Sturzo, si fondava sui principi di sussidiarietà, partecipazione, solidarietà e partecipazione universale dei beni per il conseguimento del bene comune.
«Principi che – ha asserito Pennisi – troviamo anche nella Rerum Novarum. La vocazione politica di Sturzo fu provocata dalla constatazione della miseria nei quartieri popolari romani dove fu mandato a benedire le case, sia nella sua Caltagirone dove un gruppo di operai si rivolse a lui per l’educazione civica dei lavoratori, visto che già combatteva l’usura con la creazione di cooperative. Il far politica – ha continuato l’arcivescovo – per Sturzo era un atto d’amore per la collettività e un dovere per il cittadino»
Sturzo basandosi sulla singolare convergenza tra cristianesimo e valore umano, invita tutti i cristiani alla lotta di tutte le forme di totalitarismo, che andasse oltre la difesa di interessi religiosi. «Era un errore per il prete combattere il nazismo solo in nome della religione cristiana. Bisognava combatterlo in nome dei valori umani contenuti nella libertà integrale e in nome della religione cristiana che regola tali valori» ha commentato mons. Pennisi.
In Sturzo il meridionalismo occupava una posizione centrale nello sviluppo del suo pensiero sociale e impegno politico. Egli si rese conto della gravità dei problemi del mezzogiorno e del suo ritardo in campo economico, sociale e culturale, ma intuisce che tali problemi non possano essere risolti con assistenzialismo governativo e politica clientelare.
«Egli prende le distanze –ha commentato Pennisi – da un certo meridionalismo piagnone, e puntava sullo sviluppo della cultura e dell’istruzione professionale, agricola e artigianale».
Mons. Michele Pennisi, che è il presidente della causa di canonizzazione de Sturzo a cui a dedicato numerosi articoli e interventi, si è soffermato sull’influsso che ha esercitato Mario Sturzo, che fu vescovo di Piazza Armerina dal 1903 al 1941, sulla vocazione sacerdotale e formazione intellettuale e religiosa del fratello minore, e con cui trattenne intensi rapporti epistolari durante il lungo esilio.
«Una preoccupazione costante di Sturzo – ha detto Pennisi – fu quella di preparare i sacerdoti impegnati a stare in mezzo al popolo per esercitare la loro missione di pastori, che dovevano occuparsi delle sorti sia spirituali che materiali e terreni dei loro fedeli».
A curare la postfazione è stato il giornalista e scrittore gelese Salvatore Parlagreco che ha sottolineato come Luigi Sturzo fosse stato un rivoluzionario, una delle poche persone del suo tempo, e anche di oggi, a saper coniugare la passione politica con il suo sacerdozio pastorale.
«Le idee, i gesti, le parole di Sturzo – ha affermato Parlagreco – furono rivoluzionarie, mentre la Chiesa di quei tempi non lo era nella maniera totale, perché viveva un momento della storia del mondo particolare. La sua grandezza fu di essere figlio del suo secolo e nello stesso tempo un uomo che rappresentava un’altra storia, un altro modo di essere. Egli ci ha regalato un’eredità di pensiero che ancora oggi ci vede a valutarlo, non solo come uomo del suo tempo, ma anche come uomo del nostro tempo».
Parlagreco ha ricordato come don Luigi Sturzo aveva annunciato con settanta anni di anticipo che la mafia avrebbe marcato i confini della Sicilia. In un momento in cui lo stesso cardinale Ruffini negava l’esistenza nell’isola del fenomeno mafioso. Il prete condusse la sua battaglia per la moralizzazione della vita pubblica della quale faceva parte la denuncia per la cultura mafiosa. La mafia per il prete poteva essere sconfitta anche attraverso il nesso responsabile che deve legare morale e politica. Egli da politico vero anche se scomodo non manca di dare dei suggerimenti.
«La politica e un’arte che riescono ad esercitare pochi artisti, mentre altri si accontentano di essere artigiani e molti di riducono ad essere mestieranti della politica». Con tali parole tratte da Coscienza e Politica di Sturzo, mons. Michele Pennisi ha concluso la conferenza, ribadendo come ancora oggi la sua voce e il suo impegno siano attuali, specie in un Paese come il nostro, che sta affondando nella gestione privata del potere pubblico.
Prossimo appuntamento di Cunta.13, venerdì 17 maggio (e non il 10, come in brochure), per una serata sul Design. Ospiti Vanni Pasca e Lucia Giuliano (postfazione). Parleranno di artigianato, industria, handmade: quale futuro.
Autore : Filippa Antinoro
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