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notizia del 04/06/2012 messa in rete alle 22:21:08
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Disìo di Silvana Grasso tesi da master a Tunisi
Wided Romdhani (nella foto) è una donna tunisina, insegnante, “masterina” (da master), moglie e madre di tre bambini. Si è appena cimentata in una tesi a conclusione di un Master, per l’appunto, sul romanzo Disìo, uno delle più controverse opere letterarie di Silvana Grasso. La discuterà in questo mese di giugno all’Università di Manouba in Tunisia – Faculté des lettre des arts et des humanitées.
Wided nutre una grande passione per la letteratura, la cultura e la ricerca. Ha vissuto momenti di gloria e altri di crisi e confusione, ha visto saltare in aria i suoi sogni e poi è uscita dal suo stagno intellettuale come una fenice che emerge dalle ceneri.
La sua tesi di Master, più che ricerca scientifica, è stata per lei una terapia ludica e istruttiva, come ci racconta nell’intervista rilasciataci per posta elettronica, tramite la stessa Silvana Grasso, che nella stessa pagina commenta il lavoro della Rom-dhani, che l’ha eletta sua «Musa».
– Come è avvenuto l'incontro con la scrittura di Silvana Grasso?
«Sinceramente un anno fa non avevo nessuna idea sulla “figlia dell’Etna”. La mia cara professoressa Rawdha Zawchi Razgallah mi ha consigliato di avviare una ricerca sull’opera Disìo di Silvana Grasso (il tema è donna e violenza). Mi ha incoraggiata ha scoprire il mondo della scrittrice siciliana dicendo “è un libro molto bello, la storia, la lingua è molto interessante”. Quindi mi ha trasmesso il suo entusiasmo, in modo che ho deciso di lasciare le vecchie strade di Pirandello, Sciascia e di Lampedusa per prendere quella che porta al vulcano e alle sirene».
– Il romanzo Disìo, oggetto della sua tesi di master è, come tutta l'opera dell'autrice, di non facilissima lettura, la lingua della Grasso è affascinante ma densa, ricca di grecismi, neologismi. Come ha superato queste difficoltà?
«Leggendo la prima pagina di Disìo, ho sentito l’esistenza di un abisso tra il fatto di leggere e il capire. Quante volte rileggevo i paragrafi provando a trovare il senso giusto. Quasi quasi abbandonavo il libro per un’altra scelta più facile. Tuttavia, volevo fare una sfida e giungere al mio scopo. Ho aperto il mio cuore e i miei sensi per non lasciar sfuggire nessun indice che potrebbe essermi utile. Anzitutto, ho guardato video di Silvana Grasso per avvicinarmi dalla donna che è in realtà. Quando ho ricominciato la lettura di Disìo mi divertivo ad immaginare la sua voce che mi raccontava la storia di Memi. In seguito mi sono attrezzata di parecchi dizionari per superare le difficoltà di lessico. Il mio vero problema era il dialetto siciliano. Per fortuna la mia professoressa mi ha dato un’indicazione chiave: “leggi poi scrivi ciò che senti”. Leggevo Disìo mentre ascoltavo “Nessun dorma” per sentire l’emozione del personaggio, poi prendevo appunti. Ho consultato un dizionario mitologico per fissare il simbolo di ogni nome, la sua allusione. Ho cercato su internet cognomi relativi a mafiosi e pentiti. Personalmente, con tale sforzo ho superato il filtro affettivo. E’ proprio il mio spirito di ricerca che viene esaltato. Con un tale libro denso di significati provavo un piacere immenso a leggere tra le righe e svelare la Grasso che si nasconde dietro ogni lettera, e ogni punto o virgola. A proposito, ringrazio molto il professor Gandolfo Cascio per il suo aiuto e i consigli che mi ha dato».
– Quali emozioni ha suscitato in una donna tuinisina, come lei, di religione musulmana, la lettura di questo romanzo?
«Svoltando le pagine dell’opera, mi sentivo affascinata e incantata. Ho provato tenerezza e compassione con alcuni personaggi, disgusto e avversione con altri. È vero che sono una donna tunisina musulmana, quindi non potevo essere ad agio leggendo le pagine di omosessualità, oppure quelle dove esistono le parolace. Inoltre, evitavo alcune strutture che potevano involgere il mio credo. Tuttavia, sono una studiosa, una ricercatrice, devo vedere la situazione tridimenzionale in cui si sono svolte le vicende per poter poi commentarle e analizzarle in modo giusto. Se io dovessi esaminare un aspetto sociale sarebbe necessario conservarlo collocato alla sua società. Per capire il romanzo ancora di più, ho avviato una ricerca – in parallelo alla lettura – sulla vulcanica Silvana Grasso. Ora me l’immagino come una leonessa tenera e aggressiva nel medesimo tempo. È molto sensibile e piena d’amore e di tolleranza, non verso quelli che vogliono del male alla sua cara Sicilia.
Per capire la personalità della Grasso, non mi sono bastate le poche righe trovate sulla sua biografia, oppure le bellisime sue foto su internet, o anche gli articoli e le recensioni relative al libro. Volevo dipingere una Grasso-mia, leonessa che difende la sua “isola selvaggia”, una donna che incarna fuoco, furia, sensibilità e affetto. Come dice la professoressa Razgallah nel suo saggio sull’opera della Grasso, la scrittrice siciliana è simbolo dell’esplosione, “espulsa dall’Etna con un boato”. La mia Grasso è una, è centomila, in breve è un mosaico di donne.
– Cosa la affascina del temperamento di Silvana Grasso, che in Sicilia chiamano “la figlia del Vulcano” per la sua forza intellettiva, per la tempestosità del carattere, per la sua non comune personalità?
«È piuttosto la forza del carattere e la forza intellettiva che mi affascinano in una donna. Dall’inizio, guardavo Silvana Grasso con un occhio pirandelliano. Non ubbidire alle norme è il suo stato normale, niente maschere, niente ipocrisia. È grande nel conservare il suo carattere assumendo un ruolo politico.».
– Quali elementi della sua cultura ha notato nei personaggi della Grasso, tali da poter pensare che la scrittrice potrebbe essere tunisina, al di là della sua nascita in Sicilia
«I temi su cui si basa la mia ricerca sono donna e mafia in Disìo. La battaglia tra il bene e il male, tra il bello il brutto, la convivenza dei due poli (positivo e negativo) sono temi universali. La Sicilia assomiglia alla Tunisia nel clima nel carattere degli abitanti, in una parte della loro storia tutte e due sono unite. Questa vicenda può essere raccontata da una tunisina. Lo stupro, l’incomunicabilità con la famiglia, il degrado sociale, la lotta per emergere, il nipotismo, le metamorfosi, anzi la mafia possiamo trovarli in Tunisia. Per scherzare, posso dire che il mio quartiere si adatta per filmare Disìo, perché anche io vivo tra le case popolari. Potrei forse scrivere il mio “Disìo” in una parodia del libro originale della “figlia dell’Etna” Silvana Grasso».
– La Grasso come donna è destinataria di sentimenti forti e spesso opposti, la si ama o la si detesta. Lei quale sentimento ha provato?
«Un amico italiano chiamava bosco il suo cuore. Silvana è “la donna del mio bosco”, la mia terapeuta. Apprezzo il suo essere così forte, colta, coraggiosa e unica!».
– Silvana Grasso, sotto un'apparente inquietudine, è una donna molto equilibrata, seria, introversa. Ha notato elementi autobiografici nel personaggio di Memi Santelia, che impegna le prime 70 pagine circa del romanzo Disìo?
«Il cuore della mia tesina si riassume nell’idea seguente: Silvana Grasso contamina i suoi personaggi. Tutti possiedono una parte o più del suo carattere. Per esempio, Memi Santelia ha il ritratto fisico e direi anche quello morale della scrittrice. È tre in un uno (Memi, Ciane, dottoressa Santelia). La protagonista è caratterizzata da un plurivolto. Include tutte le figure delle donne presenti nell’opera. Questo mosaico femminile non è altro che il riflesso della donna-scrittrice. Quindi, concludo che si tratta di un silvacentrismo».
– A lavoro finito, dopo avere visto le difficoltà d'un simile lavoro chiederebbe al suo professore di cambiare autore?
«Mi piacerebbe andare avanti con l’opera di Silvana Grasso e risaltare la particolarità della sua lingua e l’influenza del clima sui personaggi. Chissà, forse verrei a vivere in Sicilia per testimoniare dal vivo questa ipotesi. E’ curiosità, desiderio, ma so che non potrei mai farlo».
Autore : Rocco Cerro
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