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notizia del 07/07/2013 messa in rete alle 22:06:02
Libri/La bella estate dei borghesi
La letteratura realista basa buona parte del proprio carattere, e del conseguente successo, su quella calibrata miscela tra la serie di eventi normali – e condivisi con il lettore – e un ‘incidente’, cioè il fatto straordinario, che interrompe, momentaneamente, la routine della civiltà. L’esempio più noto è quello di Dante, il quale a 35 anni, dopo una vita, ci pare di capire, apparentemente abitudinaria, inizia la sua avventura… Manzoni di questa strategia rappresenta la variante nel romanzo popolare.
Il nuovo libro di Gianni Farinetti (Bra, 1953), pur con dinamiche e varianti stilistiche personalissime, applica pienamente questa struttura. I personaggi sono quelli della borghesia: dal banchiere allo sceneggiatore, dall’aristocratico rovinato (e dunque imborghesito) alla signora della Torino-bene.
A questi protagonisti si accompagna un’allegra compagnia di albanesi ben integrati. Le maschere sono quelle antitetiche del benpensante e del progressista o dello sgobbone, dello sfruttato e del fannullone. Lo scenario è quello della provincia, in particolare quella ricca e conservatrice delle Langhe, per quanto Roma sia molto, molto presente.
Uso di proposito i termini del teatro non solo perché è l’autore che ci introduce i suoi eroi come dramatis personae e scandisce i capitoli come gli atti di una commedia, ma soprattutto perché quest’impianto rinvigorisce proprio la lingua prettamente realista del testo.
Questa mia impressione viene confermata dall’uso mimetico che l’autore compie con i diversi linguaggi che apparecchia.
Così all’italiano mediano si mescolano le espressioni dialettali o quelle gergali (gaie o poliziesche); all’ipercorrettezza del burocratese si contrappongono alcuni strafalcioni dei parlanti di lingua seconda; per non dire poi delle immancabili espressioni in inglese.
Tutto ciò, nel suo insieme, crea una sorta di lessico che da privato, perché parlato in un ambito ristretto e chiuso, in verità esprime pienamente i cambiamenti (sociali, ma anche politici) che stiamo attraversando.
Quello del teatro, per la scioltezza e per la concretezza dei dialoghi, è il genere che Farinetti predilige (e non dico ripete) per l’architettura dei suoi libri: e perciò in altra sede citai, e credo ancora a ragione, Goldoni come influenza primaria. Rebus di mezza estate, difatti, è, sì, un giallo letterario costruito benissimo nella trama come nella sapiente capacità di integrare voci nuove a quelle recuperate dagli altri racconti (Sebastiano e Duccio, ma c’è anche l’eco dello zio Zeno), ma è fondamentalmente un dramma realista che promuove – con un certo, e giustificato, piglio didattico – il tentativo di capire meglio le contraddizioni della società, che sono i suoi mali, le manchevolezze, la dolcezza di certi gesti o la perfezione di un paesaggio.
Ecco perché all’eleganza di una signora si contrappone la cafonaggine di certi letterati improvvisati, o di marchesi obliati: perché lo scopo della messinscena è quello di svelare (non rivelare!) nell’eccezionalità della situazione il centro, magari impuro, dell’esistenza.
Qual è, allora, in tanta normalità il fatto straordinario? Qui è dato da una serie di omicidi, precisissimi quanto incomprensibili.
Feroci quanto giustificabili. Ecco ancora la realtà in tutta la sua potente contraddizione e puntualità.
Ed è ora che il gioco, il rebus, si farà serissimo, perché come ha il fine di riportare tutto, e in fretta, al com’era, verso la più malinconica, banale e vitale normalità.
Autore : Gandolfo Cascio
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