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notizia del 30/11/2012 messa in rete alle 22:05:00
Quell’ironia buffa di Camilleri che ricorda tanto Pirandello
E’ carico di anni (è del 1925) ed è impregnato di nicotina. E’ dotato di una naturale, sottile, piacevole, accattivante ironia. Questa rappresenta una componente essenziale della sua scrittura. Lui: drogato di tabacco conciato con le invenzioni semi-serie e semi-vere; dotate di pulizia linguistica, di onestà intellettuale e sviscerato amore per la sua terra, le sue genti, i profumi salmastri di Porto Empedocle che da quella marina giungono, quotidianamente, fino a Roma.
Lui è Andrea Camilleri e, per nostra fortuna e delizia, continua a scrivere (non a sfornare!), ad intrigarci anche attraverso la sua particolare filosofia di vivere la vita e il suo e nostro tempo. Così nessuno può meravigliarsi che l’Italia accademica che conta, continui ad assegnargli riconoscimenti di valore e prestigio.
L’ultimo, in ordine di tempo, è del 15 novembre di quest’anno, da parte dell’università “Carlo Bo” di Urbino.
L’università urbinate gli ha conferito la Laurea Honoris Causa in “Lingue per la didattica, l’editoria e l’impresa”, con questa motivazione: “Inventore di una scrittura orale che supera ogni confine fra le lingue, i paesi e i generi letterari”.
Camilleri è uno strenuo difensore della lingua italiana, della sua purezza; pur essendo una cospicua parte sei suoi romanzi infarciti di “parlate marinise”. Ad ogni buon conto, deve sempre essere la lingua italiana la regina, a prevalere: per salvarsi, dato che “l’invasione anglossassone appare tanto estesa da rendersi pericolosa…”. L’ha sottolineato Camilleri, nel corso della sua Lectio magistralis nell’Aula Magna dell’Università di Urbino.
Ed ancora: “… se comincia a morire la nostra lingua, è la nostra stessa identità nazionale che viene messa in pericolo”.
Fra i padri fondatori della nostra lingua ricordiamo, fra gli altri, pur se appartenenti ad altri secoli e ad altre scuole di pensiero e di scrittura, Iacopo da Lentini ed un certo Dante. Quindi facciamo un enorme salto fino a Leopardi e ad un tale signor Pirandello; e ai due intimi amici ragusani e agrigentini: Sciascia e Bufalino. Riteniamo, allora, che ci sarà stata una buona ragione, sempre in tema di lingua italiana, se nei loro carteggi i Martoglio, i Capuana, i Grasso, i Verga, i Musco, non usassero apporti linguistici di altre nazioni.
Al riguardo, di ciò ci avverte, da esperta spigolatrice di cultura siciliana, Sarah Zappulla Muscarà, attraverso il suo libro edito nel 1979, Carteggio inedito Pirandello-Martoglio. Sono sempre questi i motivi ricorrenti: la lingua siciliana e l’italiana.
Ricordiamo che la tesi di laurea di Pirandello (nel tondino) fu “Il dolce natio dialetto” scritto in italiano! Più avanti accenneremo all’ironia di Camilleri; è la stessa ironia buffa che “ritroviamo nel Pirandello maggiore… sicchè temi, motivi, personaggi, stilemi fluiscono da un testo all’altro” – ci avverte la Muscarà – come notiamo nelle avventure di Camilleri romanzate?
Sarà così, anche per il padre di Montalbano, perché attinge la sua fantasia a determinati stimoli contemporanei: politica, cronaca bianca e nera, ma sempre con un sottofondo quasi romantico. Un sottofondo di spruzzi di mare sul molo di levante o di ponente del porto empedoclino; e, come fondali, le luci abbaglianti della Scala dei Turchi, sotto le scogliere di marna, con lassù il presepe di Realmonte.
In questi anni si auspica la coesistenza pacifica fra le nazioni: lo stesso dicasi per la coesistenza fra la lingua e il dialetto: perché la riteniamo foriera di intelligenza, di libertà, di democrazia.
L’ha dichiarato innumerevoli volte Leonardo Sciascia, fin da quel Occhio di capra per le edizioni einaudiane del 1984.
Su quella scia continua la navigazione letteraria di Andrea Camilleri: senza imbarcazioni di salvataggio, come prescrivono i codici di navigazione.
In questa nostra parziale carrellata, abbiamo volutamente mantenuto in vita il virus nazionale linguistico; senza scivolare in un certo tipo facile e gratuito provincialismo.
Siamo consapevoli che il globale ci incalza; ma alle altre nostre originali radici linguistiche non possiamo rinunciare.
Si tratta di un impegno che sfida il tempo: per perpetuare la nostra parlata e la nostra lingua scritta.
Per salvarci dalle contaminazioni e dalle gratuite sofisticazioni speculative.
Autore : Federico Hoefer
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