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notizia del 02/11/2005 messa in rete alle 21:59:49
Il Quasimodo a Parlagreco e Ventura
Presentata dalla neo-giornalista, la giovanissima Lorena Scimé (molto professionale la sua performance), si é svolta sabato scorso, nell’auditorium della scuola media Quasimodo, la cerimonia di consegna del premio di poesia “Gela Nostra”, indetto dall’associazione Euclide Gelese, e dell’assegnazione del premio speciale alla Cultura al giornalista e scrittore Salvatore Parlagreco ed al capo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Gela, Angelo Ventura. Le schede dei due premiati sono state scritte, rispettivamente, da Rosario Di Natale e da Renzo Guglielmino.
La giuria che ha decretato i vincitori del concorso di poesia: Vincenzo Augello, Flora Montana, Rosa Maganuco, Giorgio Romano, Marzia Marù, Renzo Guglielmino.
Sala affollata di pubblico interessato, tra cui molti familiari dei concorrenti premiati. A fare gli onori di casa, il dirigente scolastico della Quasimodo, prof.ssa Flora Montana.
Questo l’elenco dei premiati.
Sezione A – 1° premio a Lina Riccobene (Sequestro di speranze); 2° Paolo Lizzio (Afflato di pace); 3° Paolo Salomone (Darfur); 4° Salvatore Leone (Il mio mondo); Nunzio Brentino (Papa Karol).
Premio speciale della giuria a Carmelo Di Paola; Iole Tuttolomondo e Filippo Cascino.
Sezione B (Ragazzi) – 1° premio, ex aequo, a Federica Giannone (Mare amico inquinato), Francesca Siracusa (La Luna), Alessi Agati (Crepuscolo); 2° Benedetta di Caro (Emozioni in libertà); 3° Miriam Livoti (La primavera); 4° Debora Serio (I gabbiani); 5° Leandro Gentili (Vivi Karol).
Premio speciale della giuria a Karen Rizzo, Graziano Legname e Stefano Carfì.
Il commento musicale alle poesie sarà curato da Rocco Mammano (pianoforte) e Aldo Romano (flauto).
Parlagreco
– Nel ricevere il premio hai richiamato ad un vecchio stereotipo Nemo profeta in patria sfatandolo clamorosamente, perché?
«Questo detto non funziona mai perché in realtà ci sono due condizioni diverse. Quando si partecipa ad una comunità vengono fuori tutte le cose buone e meno buone. Ci si confronta, ci si scontra e quindi è normale e prevedibile che ci si debba accontentare di alcuni giudizi che non ci piacciono. Da questo è nato il Nemo profeta in patria. Nella nostra città queste cose non ci sono. Si può rimanere a Gela e non essere né profeta né un nemico dei profeti. Dipende da noi, ossia dal modo come io ho appena detto, quando mi è stato consegnato il premio, si può vivere in una città e stare lontani dalla città in cui si vive. Significa non interessarsi dei problemi della città, non sentirne l’appartenenza e poi magari trascorrere i momenti di stizza con se stessi rammaricandosi delle cose che non vanno in questa città. Ognuno deve fare la propria parte, contribuire con i nostri consensi, senza mai rinunciare a dire quello che pensiamo. Questa città ha bisogno di voi, di noi, di tutti. Questa città non può aspettare dall’alto la spinta in avanti».
– Fine anni ‘60-inizi ‘70, c’è stato un momento in cui ti sei cimentato nella politica, ma nel contempo ti cimentavi come giornalista sia nella carta stampata che in una radio privata ed in una incipiente e sperimentale tv privata. Che cosa ricordi di quel periodo?
«Una grande confusione. Se penso a quel periodo, mi chiedo come riuscivo a fare tutte queste cose che apparentemente sono in contraddizione. Siccome preferisco dare di me un giudizio positivo naturalmente, dico che per avere una presenza critica per esempio nella opinione pubblica e quindi per comunicare, vuol dire che le contraddizioni non erano poi tante. C’era un filo conduttore, c’erano dei comportamenti che tenevano insieme me stesso e che mi permettevano di essere credibile».
– Nel tuo intervento lanciavi una sorta di appello a dare il proprio impegno e ad esserci nella città e dentro i suoi problemi. Come la vedi la Gela di adesso e come vorresti che fosse?
«La Gela di adesso la vedo poco e non vorrei impegnarmi in un giudizio parziale. E’ meglio esprimere opinioni anziché giudizi. Cono-sco poco la realtà politica commetterei sicuramente degli errori. Però voglio dire che la città non viene fuori al di là delle sue mura. Viene fuori la voglia di una parte della politica di tirarla fuori dal pantano. Viene fuori soprattutto l’immagine di chi vuole dare un’immagine nuova a questa città. Il secondo passo deve essere: far venire fuori l’immagine di questa città che ha idee, vivacità. Una città che vuole fare. Non è più una città dell’abuso, ma una città che rispetta le leggi anche nelle piccole cose. Si comincia sempre dalle piccole cose. Se facciamo funzionare questa città, significa che rispettiamo le leggi e quindi noi stessi».
Ventura
– Fare il magistrato non è cosa molto semplice. Ricordo le rare conferenze stampa da lui convocate, il suo modo garbato e stringato di comunicare. Nel momento in cui riceve questo riconoscimento per la cultura, quali sentimenti prova e il ricordo del suo primo0 insediamento a Gela?
«Sono felicissimo in quanto questa attestazione mi viene in quanto gelese. Io amo Gela e sto male quando ne sono lontano. Mi sono voluto impegnare per Gela perché la amo. Credo che nei primi anni abbiamo fatto moltissimo quando venne istituita la procura della Repubblica di Gela. Nel ’92 però entrò in vigore la legge che istituitala procura distrettuale e ci venne tolto gran parte del lavoro. Ebbene con i processi che avevamo avviato ancor prima che entrasse in vigore questa legge, noi abbiamo ottenuto 50 ergastoli. Appena sono arrivato a Gela e mi stavo sistemando, mi dicevano: “Vedi quello? Fa estorsioni nella zona del centro e l’altro nella zona Caposoprano. L’altro lo fa dalle 5 alle 8 di sera. Erano tutti con macchine di grossa cilindrata». Allora mi domandai come mai che tutti sanno che questa gente fa estorsioni e girano tranquillamente per la città! Addirittura quando entravano nei bar, i presenti si facevano avanti per offrire loro il caffè. Dopo qualche tempo, grazie al lavoro del grande questore Casabona, venne fuori il primo pentito d’Italia. Inchiodò tutti. Altri pentiti lo hanno seguito a ruota perché sono stati messi con le spalle al muro. Hanno fatto bene perché sarebbero andati incontro a degli ergastoli”.
– Procuratore, cosa è cambiato a Gela nell’ultimo decennio?
«Non saprei. A Gela ci stiamo bene e gente come me che è innamorato di Gela, che ha passato gran parte della sua infanzia, mi duole il cuore dovere dire che stiamo attraversando una fase di degrado. Per quanto riguarda gli uffici giudiziari, dico che il personale sta lavorando quasi al massimo delle possibilità umane. Non siamo riusciti a dare tutto. Purtroppo incombono i termini di prescrizione e qualche volta abbiano dovuto ascoltare sentenze che dichiaravano la prescrizione dopo indagini investigative importanti».
– Parlagreco nel suo intervento ha ricordato la vostra infanzia, la vostra grande amicizia. Cosa vi ha accomunato? Come è nata questa amicizia?
«Con Totò Parlagreco ci cercavamo sempre. Quando eravamo ragazzi per due-tre anni eravamo insieme dalla mattina alla sera. Di mattina andavamo a prendere la granita al caffè Gambino. Allora si chiamava così. Con il costume in mano scendevamo subito a mare per trascorrervi tutta la mattinata e risalivamo a piedi dove c’era una salita molto ripida. Nel pomeriggio poi andavamo al bar per restarvi fino alla sera alle otto. Ci distaccavamo solo per il pranzo e per la cena e naturalmente per andare a dormire».
Autore : Nello Lombardo
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