|
notizia del 20/10/2004 messa in rete alle 21:50:20
Grasso-Camilleri parallelismi... culinari
Tutto il meridione, e la Sicilia in particolare, possiede un ricco patrimonio gastronomico, in parte originale e in parte importato attraverso le innumerevoli dominazioni che si sono succedute nel corso dei secoli.
Gli scrittori-buongustai nostrani hanno saputo sfruttare tale filone per le loro opere letterarie, con competenza di causa e di... palato.
Da Archestrato, riportato agli onori della cronaca letteraria dalla scrittrice naturalizzata gelese Silvana Grasso, all’empedoclino Andrea Camilleri, attraverso il suo eroe commissario Montalbano, sempre alle prese, nei momenti di pausa del suo lavoro investigativo, con arancini di riso e ragù di carne di maiale capuliata.
Da alcuni anni la nostra penisola è tutto un proliferare di fiere, di convegni gastronomici che coinvolgono piccole e grandi città. Non c’è più un assessorato all’agricoltura, al commercio, al turismo, che non abbia la sua fiera di prodotti mangerecci esposti in bella vista, fra schieramenti di bottiglie di nettare bianco o rosso.
Nei vari padiglioni non mancano gli assaggini di dolcetti che furono cari alle nostre nonne; ma, di contro, non si trova più la vulva di scrofa che, ai tempi di Archestrato, veniva servita per i palati più raffinati!
Queste sagre dei golosoni, fra tagli di nastri tricolori da parte di sindaci assessori, parroci e signore agghindate come per una serata di ballo, sono tutto un tripudio di colori, di musiche, di profumi alla rinfusa che si diffondono fra i vicoli come per le feste comandate, così abbondanti nel nostro allegro territorio.
Si tratta, in ogni caso, di una cucina “povera”; ma proprio per questa ragione è più gustosa e poco indigesta, rispetto ai precotti o da scongelare nei forni a micro onde.
E’ la cucina dei “poveri” (come ci avverte Bianca Distefano nella prefazione a “Cucina che vai natura che trovi”, stampato nel 1984 per conto della distilleria Averna di Caltanissetta) che “costituisce l’ossatura della tradizione gastronomica siciliana, una tradizione che ha sempre mirato a supplire con la fantasia alle congenite scarsità di risorse”.
Al riguardo come non ricordare il genuino pane di frumento che durava per più e più giorni su tutte le mense; e le verdure selvatiche, come la buona e amara cicoria, che avevano un uguale destino su ogni tavola?
Per Camilleri i pesci “nunnato, proibiti per legge pescarli, fatti a polpettine, schiacciato, croccante, erano costellati di centinaia di puntini neri: gli occhietti dei minuscoli pesciolini appena nati. Montalbano sacralmente, pur sapendo che stava ingoiando qualcosa di simile ad una strage, uno sterminio…”.
E’ riposto in quel “sacralmente” di Montalbano che si rivela il Camilleri scrittore dalla buona forchetta e dalla morale indiscussa.
E lo è, soprattutto, con la cucina “po-vera” a base di “un ovo fritto e appresso ci mangiò quattro angiovi con aglio, acìto e origano”. Eppure Camilleri giovane era abituato alla cucina gustosa, raffinata ma pur sempre nostrana, di sua madre, la signora Carmelina, che fra i fornelli ci sapeva fare.
Ma sono le taverne empedocline, sature di odori “poveri” e marinari, che continuano a rappresentare, a tutt’oggi’, la vera anima della genuinità mangereccia: fra aromi di pescherecci con i nomi dei santi alle fiancate e le essenze di mandorli in fiore.
Per Archestrato di Gela, cantore de “I piaceri della mensa”, Silvana Grasso ci racconta che “agli occhi di Clearco (generale spartano e discepolo di Platone – ndr) fu una paraninfo del dio ventre, ossequioso solo ai richiami della gola e del letto…”.
I consigli di Archestrato di Gela riguardanti la gastronomia sacra e profana, attraverso la lettura del libro-documentario di Silvana Grasso si traducono in gustosi e genuini miracoli, dove “la tavole diviene luogo sacro, i commensali diventano fedeli, il cibarsi un rito”.
La tavola di Andrea Camilleri non si discosta da quella di Silvana Grasso con la complicità di Archestrato; e tutto procede secondo un rituale che si perpetua nel tempo.
Il detto – tratto da “Sicilianate” di uno scrittore gelese – che “le sarde arrostite aprono l’appetito agli ammalati e resuscitano i morti”, trova conferma nelle vicende dei personaggi dei due scrittori.
E può essere anche vero che “Dietro la collina/ che guarda la piana di Licata/ la colazione è al quadrivio:/ acqua fresca di fonte”. Si tratta di un verso tratto dalla silloge “Fra il muschio delle tegole di argilla” – Edizioni Il Messaggio, tipografia Athena, Gela 1978. I parallelismi Silvana Grasso-Archestrato e Andrea Camilleri-Montalbano, sotto il profilo culinario sono evidenti e ci intrigano piacevolmente. Sarebbe interessante scorgerli e spiarli i due, seduti ad un tavolo di una trattoria o “taverna” siciliana, alle prese con quel ben di Dio “povero” che riesce a fornire la nostra terra ed il nostro mare; ma che non si tratti di un menù a prezzo fisso, con vino della “casa” fermentato con intrugli chimici!
Autore : Federico Hoefer
» Altri articoli di Federico Hoefer
|
|
|
In Edicola |
|
Cerca |
Cerca le notizie nel nostro archivio. |
|
|
|
|