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Corriere di Gela | Contro il paradigma della complessità
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notizia del 27/05/2012 messa in rete alle 20:27:45
Contro il paradigma della complessità

La plutocrazia, la tecnocrazia, il populismo, l’autoritarismo sono i mali che minacciano le nostre democrazie. Prendo a prestito questo pensiero di Federico Rampini, giornalista e scrittore italiano che vive in America e conosce bene la Cina e l’India, per esprimere qualche considerazione sul tema della complessità proposto dal filosofo della scienza Gianluca Bocchi, nell’ultimo incontro della rassegna cunta. Alcuni anni fa, ci avevano fatto credere che il fenomeno della globalizzazione serviva ad avvicinare i popoli di tutto il mondo, i paesi più evoluti avrebbero condizionato positivamente le nazioni più arretrate: tutti avremmo avuto benessere e democrazia. La realtà è ben diversa, caduta la contrapposizione mondiale tra est e ovest, al comunismo di Stato si è sostituito il capitalismo di Stato. Un micidiale mix tra accentramento di potere (riproduzione peggiorativa del vecchio centralismo democratico) e disponibilità di fiumi di denaro. Oggi le oligarchie dei nuovi ricchi e potenti: russi, cinesi e indiani, sostengono sistemi politici autoritari e spesso anche corrotti, ricevendone in cambio protezione e favori.

È successo esattamente il contrario di quello che doveva accadere, il parte più progredita del mondo: Europa, Stati Uniti e Giappone, non è riuscito ad affermare la democrazia mondiale. Abbiamo visto svanire, spesso in modo violento, la speranza che si realizzasse una società più libera e giusta. L’immagine dello studente di piazza Tienanmen che voleva fermare la colonna di carri armati; l’appello di Bono Vox insieme a Papa Wojtyla contro il debito dei paesi poveri; il grido di Martin Luther King, ripreso da Barack Obama: yes we can. Sembrano non essere mai esistiti, sogni andati in fumo, come i tanti miliardi bruciati quotidianamente dalle borse di tutto il mondo. È accaduto, invece, che alcune nazioni evoluti hanno importato i vizi peggiori che infestano i cosiddetti paesi emergenti.

“L’Italia è un piccolo laboratorio mostruoso di queste patologie”, sostiene sempre Rampini a proposito dei mali che minacciano la democrazia. In Italia è scomparsa la politica, tanto che per sopravvivere a se stessi i “padroni del voto” sono costretti ad inventarsi una minaccia inesistente: l’antipolitica.

Dietro il ricco, populista e autoritario “cavaliere di Arcore” si sono nascosti i vecchi italici politicanti. Gli stessi che pavidamente continuano a nascondersi dietro l’attuale governo tecnico. La conseguenza di questo ciarpame era inevitabile: un comico vero è arrivato alla ribalta politica. Nonostante sia triste constatare che a rappresentare l’alternativa democratica siano soltanto i cosiddetti grillini, tuttavia è positivo che nel paese vi sia un moto d’indignazione.

Sdegno che ancora non compare in Sicilia, del resto aspettare supinamente il destino è una nostra tipica caratteristica. Gela, ad esempio, il proprio destino non l’ha mai determinato. Un passato industriale florido, un incerto presente di declino industriale che dura da quindici anni, un futuro che non si capisce quale possa essere. La città delle occasioni perdute e delle mille recriminazioni, il luogo dove “finisce il mondo”, la società dove non c’è dialogo e al confronto si preferisce il cicaleccio pettegolo, questa è Gela. Una rappresentazione catastrofica, che vuole essere però uno stimolo affinché le buone idee diventino sempre più buone azioni e, soprattutto, si crei un sistema sociopolitico che funzioni.


Autore : Emanuele Antonuzzo

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