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notizia del 12/02/2012 messa in rete alle 19:56:45
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In libreria il saggio su Primo Levi del prof. Scibona
È già disponibile in tutte le librerie l’opera Primo Levi - Il cerchio stupido (editrice ANordEst) del professore Aldo Scibona (nella foto), un saggio-biografia sul celebre scrittore torinese in occasione del venticinquesimo anniversario della sua morte. Scibona, nelle pagine del suo libro, offre al lettore tutti gli strumenti necessari per comprendere al meglio il pensiero di Levi e il trauma da lui subito nel campo di concentramento di Auschwitz, esperienza che lo segnò profondamente e dalla quale nacquero opere come Se questo è un uomo, La tregua e Se non ora, quando?
Non è la prima fatica letteraria per il professore Scibona, già autore nel 2008 di La mano di Dio, saggio-biografia sullo scultore Antonio Canova. Laureato in Lettere classiche nel 1965 presso l’Università di Palermo, Scibona ha insegnato in diversi istituti superiori della nostra città. Impegnato nella società civile, ha presieduto la cooperativa edilizia “Giuseppe di Vittorio” che negli anni ’70 ha rotto il cerchio della speculazione fondiaria che soffocava lo sviluppo urbanistico di Gela. Per anni si è impegnato, insieme alla cooperativa “Pablo Neruda”, nella realizzazione di un centro occupazionale-riabilitativo per soggetti disabili.
– Professore Scibona, come e quando è nata l’idea di scrivere un’opera su Primo Levi?
«Attraverso gli anni della mia esperienza e dei miei studi ho realizzato una galleria mentale di personaggi, pochi, ai quali ho rivolto la mia attenzione per l’ammirazione suscitata in me, a prescindere da una eventuale convergenza di idee e valori. Quando la casa editrice Edizioni ANordEst di Treviso mi ha invitato a riversare su carta le ricerche che avevo condotto, ho iniziato col Canova e, successivamente, con Primo Levi».
– Qual è il significato del sottotitolo che Lei ha dato al suo libro?
«Il cerchio stupido sintetizza la concezione di vita che Levi ha costruito negli anni, passando attraverso l’esperienza drammatica della lotta partigiana, della prigionia nel campo di concentramento di Auschwitz, del ritorno funambolico in Italia, del suo lavoro come ingegnere chimico, delle Brigate Rosse, della morte di tanti suoi compagni. Levi non crede nell’esistenza di Dio; è sua la frase “C’è Auschwitz, non ci può essere Dio”. La vita degli uomini, per lui, si muove all’interno di un meccanismo circolare senza inizio e senza fine, senza una logica, senza un fine, un meccanismo che vanifica ogni valore ed ogni previsione, per cui chi ha dominato oggi, domani potrà essere dominato. Naturalmente, la sua è una concezione tragica, dolente della vita, non astratta ma che traduce in una serie ricchissima di situazioni e di personaggi, molti dei quali indimenticabili».
– Primo Levi- Il cerchio stupido è considerato uno dei migliori saggi sull’argomento a livello internazionale, l’ideale per avere un quadro completo della vita del noto scrittore torinese e per conoscere nel dettaglio le sue idee e i suoi pensieri. Attraverso i suoi studi, Professore, è riuscito a darsi una spiegazione del perché un uomo, sopravvissuto ad un’esperienza tragica come quella del lager, abbia deciso di porre fine alla sua vita a distanza di anni?
«Non sta a me valutare il valore del saggio che ho scritto; sono tuttavia molto soddisfatto per avere liberato Levi dallo stereotipo di testimone dei crimini compiuti nei lager nazisti. Levi è molto di più e si è preferito sterilizzare ciò che ha scritto su diversi altri problemi come le colpe degli Alleati, il suo dissenso rispetto alla costituzione dello Stato di Israele, la violenza della tecnologia moderna sullo stato naturale dell’uomo, etc. Quanto al suo “suicidio”,a prescindere dal fatto che esso non è stato accertato, ed alcune testimonianze di suoi amici lo escluderebbero, è vero che Levi è ritornato vivo dal campo di concentramento, ma è anche vero che aveva l’angoscia di questo, perché riteneva che i migliori non erano ritornati ma avevano pagato con la vita la fedeltà ai loro valori. Levi riteneva di non aver fatto niente per meritare di ritornare vivo da quella tragedia. Aggiungo che pensava di non essere stato all’altezza della situazione quando aveva sostanzialmente lasciato al suo destino, cioè la camera a gas, Vanda Maestro, la donna di cui era innamorato».
– Gli ultimi versi della poesia “Se questo è un uomo” che apre l’omonimo libro sono considerati da molti come una maledizione biblica. Ci vuole spiegare il vero significato di quelle parole?
«Per la poesia “Se questo è un uomo”, e per gli ultimi versi in particolare, non è necessario scomodare la Bibbia anche perché,essendone autore Levi, il richiamo potrebbe avere al più il significato di un abbellimento letterario. Il testo, invece, vuole essere un duro richiamo agli uomini affinché si impegnino per evitare che possano riaccadere le situazioni di disumanità che il nazismo ha provocato in Europa.
– A 25 anni dalla morte di Primo Levi, sono da considerare ancora attuali, secondo lei, le parole da lui pronunciate: “Ognuno è ebreo di qualcuno”?
«Certamente sì, l’affermazione di Levi non è legata ad una situazione particolare ma è un principio di carattere generale da lui desunto sulla base della sua esperienza. Per fare un esempio, Levi affermava che non si potevano chiamare in causa i milioni di ebrei morti nei campi di concentramento per giustificare qualunque cosa facesse lo Stato di Israele nei confronti dei palestinesi, come l’embargo totale nei confronti della popolazione della striscia di Gaza, che ha provocato migliaia di morti; i palestinesi sono diventati gli ebrei degli israeliani, trattati con la stessa violenza, a dimostrazione che non si è ricavato nessun insegnamento da quanto è accaduto in Europa col nazismo».
– Si dice che le opere di Levi siano collegate tutte da un “filo rosso”. Ci spiega il perché?
«Io ritengo che l’elemento comune che lega tutte le sue opere,al di là delle loro diversità, saggi, romanzi, racconti, poesie, articoli di giornali, sia lo sforzo titanico portato avanti dallo scrittore per anni, di convincersi che il campo di concentramento non lo aveva ucciso dentro, nei suoi valori. Il rispetto quasi religioso che aveva per Lorenzo, l’operaio italiano che gli aveva procurato del cibo durante la prigionia, con suo grande pericolo, era basato proprio sulla convinzione che in quel mondo non c’erano solo mostri ma anche uomini altruisti, desiderosi di fare del bene, che gli hanno consentito di preservare la sua umanità, senza cedere alla tentazione dell’abbrutimento».
– Quale messaggio vuole che arrivi ai lettori attraverso questo saggio-biografia su Primo Levi?
«Io che ho insegnato per tanti anni faccio mia la preoccupazione di Primo Levi che i giovani vengano educati al ragionamento, all’analisi, alla consapevolezza di ciò che fanno, in una società che vuole indurli alla massificazione, ai comportamenti acritici, ai disvalori. Nel saggio è stata realizzata un’operazione di verità, per evidenziare che Levi non è soltanto il testimone di Auschwitz, secondo l’opinione corrente, ma è anche colui che ammonisce rispetto ai pericoli che un uso distorto della scienza e della tecnologia potrà apportare agli uomini nel campo, per esempio, del rispetto dell’ambiente. Il suo atteggiamento non è mai cattedratico ma discorsivo, variegato, ironico, bonario e inflessibile quando la situazione gli appare irrecuperabile».
Autore : Alice Palumbo
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