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Corriere di Gela | E’ meno audace del Vangelo di Giuda
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notizia del 21/05/2006 messa in rete alle 17:40:46
E’ meno audace del Vangelo di Giuda

Il Codice da Vinci (2003), di cui è appena uscita l’attesissima e discussa versione cinematografica, è il più clamoroso caso editoriale degli ultimi anni, e il suo successo ha spinto diverse Chiese cristiane di tutto il mondo a organizzare addirittura dei convegni di contro-informazione religiosa per cercare almeno di arginare la ricezione acritica da parte del grande pubblico dei fedeli delle tesi apparentemente rivoluzionarie su Gesù in esso contenute. Anche Gela, di recente, è stata teatro di iniziative propagandistiche simili che hanno visto scendere in campo i preti e persino il vescovo. La cosa che più mi stupisce, però, è il fatto che in questo gran polverone mediatico il campo sia stato occupato quasi interamente dalle diverse agenzie religiose, quasi che la questione fondamentale fosse quella di scegliere tra la “verità” di Dan Brown (a quanto pare un fanatico che crede davvero in quello che ha scritto) e quella della fede cristiana tradizionale (con le sue varianti storiche più note e influenti).
È forse il momento di guardare la questione da un punto di vista più laico e disincantato. Gli studiosi di storia delle religioni sanno bene che Dan Brown non ha inventato nulla, perché si basa fondamentalmente su una vecchia e ormai storicamente screditata letteratura trash sull'argomento del Graal, tra cui soprattutto il famigerato Il Santo Graal (1982, tr. it. Mondadori 1984) di Michael Baigent, Richard Leigh, e Henry Lincoln, che non a caso ultimamente hanno intentato causa contro di lui per plagio (riconoscendo così implicitamente il carattere di pura fiction del loro libro, visto che nessuno storico serio potrebbe mai lamentarsi se un romanziere si serve dei suoi studi come fonte attendibile). Nel romanzo, del resto – a parte l’erroneo accostamento tra la Biblioteca di Nag Hammadi, trovata in Egitto nel 1945 e contenente vangeli apocrifi (tra cui quelli gnostici) e altri scritti cristiani dei primi secoli, e i Rotoli del Mar Morto, trovati nel 1947 e contenenti testimonianze sugli esseni, un gruppo ebraico che non ha nulla a che vedere con i primi cristiani, né tanto meno con Gesù (cfr. cap. 58, p. 288) – si possono trovare diverse tesi storico-dottrinarie piuttosto in-fondate. Ad esempio questa (cap. 55, p. 273): “fino a quel momento storico [cioè fino a Concilio di Nicea del 325], Gesù era visto dai suoi seguaci come un profeta mortale: un uomo grande e potente, ma pur sempre un uomo”. Tutti sanno, invece, che anche prima c’era chi credeva nella divinità di Gesù, stando non solo ai vangeli canonici e a quelli apocrifi, ma anche ad autori proto-ortodossi come Ireneo e Tertulliano, vissuti molto prima del Concilio di Nicea (Ireneo, e sia-mo alla fine del II secolo, aveva già distinto tra Nuovo e Antico Testamento e parlato addirittura di “canone della verità”: Adversus Haereses, IV, 9, 1). Tuttavia, poco più avanti, Dan Brown dice una cosa un po’ più precisa e storicamente verosimile: “Costantino commissionò e finanziò una nuova Bibbia, che escludeva i vangeli in cui si parlava dei tratti umani di Cristo e infiorava i vangeli che ne esaltavano gli aspetti divini” (p. 275).
Al di là della forzatura del primo passo, non c’è dubbio che l’osservazione sia nel complesso ragionevole: il canone definitivo del Nuovo Testamento è il risultato lento e travagliato di una complessa opera di montaggio, effettuato dalla setta uscita vincente dalle diatribe cristologiche alla luce di un modello dottrinario che si intendeva imporre (il “credo di Nicea”, appunto) e sulla base di un materiale agiografico molto corposo ed eterogeneo; sul tutto è poi stato spruzzato il marchio di fabbrica dell’ispirazione divina. In tal senso è assolutamente fuor di dubbio che, come dice anche Dan Brown, “fu tutta una questione di potere” (p. 274).
Quello che vorrei dire qui è che a un laico che crede che tutti i libri siano scritti e redatti dagli uomini, le forzature, le imprecisioni e gli errori evidenti contenuti in un romanzo come Il codice da Vinci non danno alcun fastidio, così come non gliene danno le sciocchezze umane, troppo umane (e non di rado atroci) contenute nei cosiddetti testi sacri. Certo, mi rendo conto che un credente (anche se non necessariamente clericale) si trova in grande imbarazzo a dover decidere da che parte stia la “verità” di fronte a certi dilemmi storico-religiosi, e non vorrei trovarmi nei suoi panni, ad esempio, quando deve scegliere tra la versione secondo cui Gesù nacque per inseminazione artificiale spirituale, visse celibe, morì, risorse dopo tre giorni, salì in cielo e da allora siede alla destra del Padre, e quella secondo cui ‘in realtà’ si sposò con Maddalena, ebbe da lei una figlia (Sara), morì e i suoi discendenti diedero origine alla dinastia dei Merovingi (divenendo così custodi biologici del “sangue reale” di Cristo, cioè del vero San[to] Graal, fecondato nel ventre di Maddalena). Per un laico è molto semplice: si tratta di bufale colossali, o al massimo di varianti equivalenti di un bellissimo mito scaturito dalla vita di un uomo forse realmente esistito.

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A questo proposito, è interessante fare un riferimento al Vangelo di Giuda, ritrovato dopo oltre 1600 anni nel cosiddetto Codice Tchacos (dal nome di Frieda Tchacos Nussberger, la mercante d’arte antica che nel 2000 è entrata in possesso del prezioso e fragilissimo papiro in lingua copta, risalente al III-IV secolo, casualmente ritrovato in Egitto verso il 1978), che contiene altri tre brevi trattati gnostici, purtroppo in uno stato gravemente lacunoso. Dello sconvolgente vangelo, il cui perduto originale greco risale quasi certamente al II secolo, si conosceva l’esistenza perché Ireneo lo aveva fuggevolmente menzionato nel suo citato trattato contro le eresie. Esso è stato finalmente tradotto dal copto da un gruppo di studiosi (R. Kasser, M. Meyer e G. Wurst) e pubblicato per la prima volta in tutto il mondo nell’aprile 2006 dalla National Geographic Society. Ebbene, dal punto di vista di un laico, questo Vangelo costituisce una variazione estremamente interessante sul tema mitico della vita e della dottrina di Gesù, nonché del suo rapporto con i discepoli, perché dimostra ancora una volta (come già mostravano i 52 testi scoperti a Nag Hammadi) quanto vivace e filosoficamente articolato fosse il dibattito tra le sette cristiane nei primi secoli, prima che la setta dominante e autoproclamatasi “ortodossa” prevalesse sulle altre, imponesse il proprio “credo” e desse vita alla Chiesa come la conosciamo oggi.
Finora, chi voleva meditare su qualche interpretazione controcorrente della figura di Giuda, aveva a disposizione dei testi moderni, tra cui lo straordinario racconto di Jorge Luis Borges contenuto in Finzioni e intitolato Tre versioni di Giuda (1944). Qui, Borges immagina di recensire due diverse redazioni (quella del 1904 e quella, definitiva, del 1909) di una scandalosa opera su Giuda e Gesù scritta da uno gnostico del XX secolo, lo svedese Nils Runeberg. Costui, riflettendo sull’enigma di Giuda, nella prima edizione dell’opera aveva assolto Giuda in quanto figura necessaria nell’economia della redenzione e quindi in qualche modo immagine speculare di Gesù (l’argomento ricorda vagamente quello usato da Gorgia per assolvere Elena dall’accusa di adulterio volontario). Ma nella seconda, dopo ulteriori approfondimenti, l’immaginario Runeberg arriva a sostenere la più scandalosa delle dottrine: il vero mistero cristiano consiste nel fatto che Dio, volendo bere fino in fondo il calice dell’umiliazione per riscattare tutta l’umanità dalla propria miseria, si è incarnato non in Gesù (il quale, tutto sommato, ha avuto una vita da superstar, a parte la crocifissione), ma in Giuda, il più infame tra gli uomini.
Ebbene, come detto, finora credevamo che per simili variazioni sul tema ci volesse la fantasia visionaria di Borges. Ma il Vangelo di Giuda, opera di un anonimo (anche i quattro vangeli canonici lo erano fino al II secolo, quando furono attribuiti opportunisticamente a Matteo, Marco, Luca e Giovanni), ci dimostra che nell’ambito del pensiero gnostico antico era possibile anticipare Borges e penetrare in maniera molto più raffinata di quanto non accada nei vangeli canonici (teologicamente piuttosto rozzi) nella dinamica intellettuale del gruppo composto da Gesù e dai suoi discepoli. Qui Gesù non fa altro che ridere della stupida idolatria dei discepoli, i quali sono degli insipienti legati al culto del dio dell’Antico Testamento (El), che per gli gnostici è solo un demone malvagio che ha creato questo mondo materiale dominato dal dolore e dalla morte con l’aiuto di altri due demoni, Nebro (o Yaldabaoth), un sanguinario, e Skalas, un idiota. Giuda, invece, è l’unico a sapere che Gesù proviene da un ordine divino superiore (“Tu vieni dal reame immortale di Barbelo”, dove Barbelo indica la figura materna della suprema trinità gnostica: Padre, Madre, Figlio), governato da un Grande Spirito non coinvolto nello scandalo della creazione. Per questo motivo Gesù riconosce in lui una natura simile alla sua e lo elegge a suo unico vero discepolo e amico. E così gli rivela la cosmologia gnostica e la vera dottrina della salvezza, che ovviamente non ha a che fare con cose come il peccato, la crocifissione e la resurrezione (non c’è niente di tutto questo nel testo, che infatti si conclude col tradimento), ma solo con la ‘conoscenza’ (in greco gnosis) della verità sulla genesi malvagia di questo mondo e sulla necessità di abbandonarlo in fretta per tornare al vero regno. Di conseguenza gli suggerisce di tradirlo, in modo che possa liberarsi prima possibile del corpo mortale in cui è entrato, e infine lo glorifica immettendolo in una trionfante nube di luce: “Tu sarai maggiore tra loro. Poiché sacrificherai l’uomo che mi riveste”.

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È, questa, la verità vera su Gesù? Niente affatto: si tratta semplicemente di un documento che rivela altre potenzialità concettuali, dottrinarie e narrative messe in atto già nei primi secoli dell’era cristiana. In altri vangeli apocrifi lo avevamo visto sfruttare le sue virtù magiche da Harry Potter per accecare o far morire all’istante adulti e bambini praticamente senza alcun motivo o al massimo per ragioni futilissime (cfr. il Vangelo di Tommaso), oppure indugiare sulla bocca sensuale di Maria Maddalena, sua sposa, al punto da far ingelosire i discepoli (cfr. il Vangelo di Filippo, tanto caro a Dan Brown). Come si vede, nei primi secoli Gesù era una bella figura letteraria che si prestava alle più svariate variazioni fabulatorie, esattamente come era accaduto e come sarebbe ancora accaduto per gli dèi e gli eroi della mitologia greca. Fu solo il fanatismo di alcuni (i vincitori) che cancellò in gran parte tutta questa abbondanza creativa e di senso, impose una versione standard e ne fece oggetto di un culto istituzionale e totalitario, operante ancora oggi.
Personalmente, sogno un’epoca in cui si possa discutere di queste cose prendendole senza l’affanno della difesa della parrocchia di appartenenza, ovvero con quello spirito critico, leggero, ironico ed equanime che non riconosce dogmi istituzionalizzati né testi sacri e si sente libero di discutere e accogliere tutto e in qualsiasi momento. Sogno, ad esempio, di poter parlare di Gesù e delle molteplici e discordanti testimonianze sulla sua figura con lo stesso spirito con cui si chiude l’“Epitome” della cosiddetta Biblioteca di Apollodoro: “Alcuni dicono che Penelope fu sedotta da Antinoo e per questa ragione Odisseo la rimandò al padre Icario, e che poi si trasferì presso Mantinea in Arcadia dove, unitasi a Ermes, generò Pan. Secondo altri invece Penelope morì per mano dello stesso Odisseo a causa di Anfinomo, dal quale, a quanto si dice, era stata sedotta. C’è anche chi dice che Odisseo venne accusato dai parenti di coloro che aveva ucciso e che scelse come giudice Neottolemo, re delle isole antistanti dell’Epiro. Quest’ultimo, calcolando che dopo aver eliminato Odisseo avrebbe ottenuto Cefalonia, decretò il suo esilio. Odisseo allora andò in Etolia presso Toante, figlio di Andremone, sposò sua figlia e morì in tarda età lasciando dietro di sé il figlio che aveva avuto da lei, Leontofono” (trad. Adelphi 1995, p. 164). Ma so che questo non è ancora possibile, perché ci sono ancora persone sinceramente convinte che tra un passo come quello riportato e uno della Bibbia ci sia una incolmabile differenza dovuta allo statuto ontologico dei rispettivi autori: umano l’uno, divino l’altro. Peggio per loro, perché non sanno quello che fanno.


Autore : Marco Trainito

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I Vostri commenti
complimenti per l'articolo.deve notare però il fatto che l'eclesia abbia paura di un romanzo che scaturisce polemica da una storiella assurda senza fondamenta quindi perche scaldarsi tanto per un romanzo affascinantemente assurdo?

Autore: sandra  di modica
data: 06/02/2007
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