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notizia del 14/02/2005 messa in rete alle 16:59:53
Gela, città visionaria
Gela è tra le città più documentate, fotografate e dipinte d’Italia. Bella o brutta che sia, Gela è una città che evoca visioni, suggestioni e forti emozioni. Insomma tutto è tranne che una noiosa cittadina che lascia indifferenti. Potrà non piacerà ai turisti, ma piace agli addetti ai lavori, piace agli “specialisti” della cultura, agli scrittori e ai lettori, ai pittori, ai film-maker, ai fotografi. Cer-to, molti di loro rappresentano spesso una Gela delirante, infernale, drammatica e caotica, misera e polverosa. Come nei libri di Vittorini o in quelli di Silvana Grasso. A proposito, uno dei suoi libri anni fa l’ho visto in bella mostra anche in una prestigiosa vetrina di una libreria di Oude Graacht ad Utrecht con il titolo “Het bastard van Mautaan”. L’ho comprato giusto per prio.
Gela e i gelesi li ritrovi dappertutto, nel cinema, nelle foto, nella satira, nei quadri, nei libri. Anche in televisione, con il faccione di Giovanni Cacioppo a Zelig che fa scassare dalle risate, oppure con quella meno divertente del Di Giacomo a Report. Ormai è come un’ossessione, alcune volte temo di avere le traveggole. Vado a visitare la New Tate Gallery a Londra, c’è una mostra su qualche fotografo contemporaneo, giro tra i pannelli e che ci trovo? Tre foto di Gela. Negli stessi giorni la ritrovo in un’altra mostra fotografica sugli sbarchi alleati dalle parti di Downing street.
Un giorno cammino in una piccola strada del quartiere Marais a Parigi. A Gela non ci penso proprio, che volete sono a Parigi, ho altro per la testa. Guardo le vetrine e passo davanti a una libreria. Zac!Sopra un librone aperto una foto della piazza di Gela che ritrae un gruppetto di uomini mentre discutono con le mani in tasca. Quella foto, scopro poi in un saggio di Franco La Cecla, è di Enzo Sellerio. Per l’autore del saggio è la foto che più di altre dimostra che Sellerio, forse inconsapevolmente, con alcune foto ha rappresentato uno degli aspetti più importanti della vita sociale dei siciliani, la loro manifesta “mascolinità e virilità”. Che a Gela non manca.
Altra scena, sono ad Amsterdam e passo davanti a un piccolo teatro, guardo l’annuncio di uno spettacolo di danza, del tipo teatro della crudeltà, sulla locandina c’è la foto della scenografia che accoglie lo spettacolo: mi pare l’esatta riproduzione di un’altra foto di Sellerio, quella di una macelleria anni ’50 a Gela. La scenografia, come la foto, ritrae il macellaio di via Navarra Bresmes sulla soglia con il suo coltellaccio, accanto a lui alcuni uomini grassi se ne stanno seduti e assistono al passeggio sulla strada.
La stessa insegna, la stessa tenda anti-mosche, gli stessi ganci con i capretti sgozzati. Insomma, la foto per me è stata usata come riferimento per una scena dello spettacolo.
A Milano, due mesi fa, prima di cena passo dalla loggia dei Mercanti vicino Piazza Duomo, scopro che c’è la mostra di uno dei principali pittori lombardi, entro e comincio il giro delle tele. Di nuovo mi ritrovo Gela su due quadri, due meravigliosi oli di Velasco Vitali. Chiedo se sono in vendita, costeranno un occhio della testa, mi rispondono che sono già “in collezione”, proprietà di Confindustria. Mi metto il cuore in pace e rinuncio all’idea di comprarli… come se avessi avuto i soldi.
Guardo i grandi fotografi, tra le pagine di eleganti edizioni ritrovo Gela come non l’avevo mai vista. La capacità dei veri artisti è proprio quella di farci vedere cose che i nostri occhi non riescono a vedere. Gela è ritratta da angolature stranianti e sorprendenti. Alcuni autori tradizionalmente si sono soffermati sui soliti contrasti:
• carretti e vestigia doriche sullo sfondo di ciminiere;
• pecore e muli attorno alle sfere dei depositi di carburante;
• campi di frumento e di cotone punteggiati da verdi trivelle;
• dighe di cemento accanto a necropoli del neolitico;
• archeologie e abusi edilizi (tutti di arenaria).
Altri si sono soffermati sulle assonanze:
• tavole di estratto di pomodoro, spalmate dalle mani di signore che sembrano rapite dall’action painting come Jackson Pollock;
• distese monocromatiche e profondità dei paesaggi;
• polvere, pietre e campi bruciati su gradazioni di giallo, ocra, oro, grano, terra e arenaria.
Riscoprire sui libri i luoghi conosciuti è un’esperienza interessante. Luoghi e aspetti che sembravano solo insignificanti e tristi, tramite gli occhi di un bravo fotografo o di un pittore, grazie alla penna di una scrittrice, diventano di colpo pieni di senso, evocativi, salvi. Potenza dell’arte anche Gela riappare se non bella almeno unica.
Dall’arte alla politica il passo è breve, entrambe danno significato alle emozioni, agli eventi della vita, fanno intravedere delle possibilità, rappresentano sogni, attese, angoscie e paure. Sia nell’arte che nella politica si crede in qualcosa, del futuro si anticipano le tendenze, si contrappongono visioni del mondo e della vita.
La città di Gela è una specie di laboratorio, artisti e politici si sono sbizzarriti dividendosi tra loro, inseguendo visioni spesso divergenti:
• dalle visioni catastrofiche a quelle palingenetiche, in cui Gela assurge a luogo di rinascita della Sicilia dopo la sua distruzione. Il sogno texano, Saragat che taglia i nastri del nuovo stabilimento mentre le trivelle pompano petrolio;
• dalle visioni bizzarre a quelle struggenti, in cui i pianti per la perduta arcadia contadina si fondono ai sentimenti oggettivanti ovverosia quelle allucinazioni in cui delle immagini acquistano, per i soggetti che le contemplano, consistenza di cose reali;
• dalle visioni del possibile a quelle dell’impossibile, come i sogni industrialisti rappresentati in un filmato da cinegiornale che un ingegnere dell’Anic ci mostrava da studenti in visita allo stabilimento. Come la propaganda di Mussolini o di Stalin che mostrava i risultati dell’autarchia o dei piani quinquennali.
A certe visioni aggressive che come dire tengono la realtà per i polsi, per fermarla, cambiarla, strattonarla, interrogarla ossessivamente, per denunciarne i difetti e i limiti, personalmente preferisco visioni più indulgenti.
L’indulgenza di cui Gela ha tanto bisogno è quella di chi la ama, e proprio per questo la vorrebbe migliore, più sicura e vivibile, più legale, sana e ricca, più democratica, colta e vivace.
Chi vuole amare Gela la dovrebbe intanto rispettare per quella che essa è: una qualunque città di costa, un po’ trasandata e disordinata, vissuta da gente solare che vive accanto a gente ombrosa, con le strade piene di disarmonie e bizzarrie; una città che nei giorni di festa si addobba con le luminarie e in quelle di mercato con le bancarelle e le moto api.
Ad alcuni grandi fotografi e a tanti altri piace guardarla così, con la sua umanità, i marciapiedi sconnessi occupati dai suoi traffici quotidiani, con la sua storia, le sue campagne, le sue ciminiere.
Senza mai costringerla dentro parametri alieni, senza denunce eccessive, con amorevole partecipazione, per comprendere bene quello che Gela è veramente, prima di pensare di trasformarla in altro.
Per dirla tutta, a me che vi sono nato, Gela non pare proprio brutta, anzi sembra quasi bella. Lo so c’è la disoccupazione, c’è la mafia, la stidda, l’ignoranza e la precarietà che affligge tanti compaesani.
Ma per lasciarci portare via dalle ali della fantasia, che non fa mai male a nessuno, immaginiamoci una Gela più bella, e per farlo vorrei fornire alcuni spunti iniziali:
1. Gela: la città del pane e dei sapori
In quale altro luogo al mondo i carciofi, il vino, le pizze…e soprattutto il pane è più buono che a Gela? Direte voi, pure a Niscemi e Vittoria sono convinti di avere il pane più buono della terra. Vero è, ma ognuno difende il suo pane e costruisce la sua di “fliera”. Bisognerebbe fare subito come ad Altamura: certifichiamo la qualità del nostro pane e poi cerchiamo di farlo dichiarare tra le produzioni protette.
Il pane di Gela, di un certo e preciso tipo, si fa solo a Gela.
Chi userà abusivamente il nostro marchio pagherà la multa e va in galera…come dire lo metteremo “a pane e acqua”.
2. Gela: la città bianca e solare
Avete mai immaginato Gela completamente bianca come Tangeri in Marocco o Ostuni in Puglia? Vista dalla piana o dal mare sarebbe come un miraggio, anche senza le palme e i cammelli.
Immaginatevi quel putiferio di case abusive tutte intonacate di bianco, con le finestre blu e verdi?
Altro che piani colore!
Con il megafono direi a tutti di tapparsi in casa con le finestre chiuse, come quando passa il camion per spruzzare veleno anti-zanzara, poi percorrerei di notte tutte le strade con un enorme spray di calce e l’indomani a Gela sarebbe l’alba di un nuovo e dorato giorno.
Una città di accecante bellezza, sotto un incredibile cielo blu, con i signori che si salutano togliendosi il cappello e baciano le mani alle signore. Aggiungete che pianterei dappertutto ulivi, aranci amari e qualche palma e dopo un paio d’anni vedete se nell’oasi di Gela non vengono pure i pensionati francesi a fare le foto e a girare i filmini.
3. Gela: la città del cinema
Non immaginatevi degli studios tipo Warner Bross o Cinecittà, immaginatevi invece una città intera che presta i propri servizi per le cosiddette location. Una serie di maestranze riunite in cooperative, pronte a partire con i pulmini, al seguito di registi e produttori.
Torme di ragazzi e ragazze che hanno imparato a fare i tecnici delle luci, i trasportatori, i sarti, i montatori di scena e quant’altro, la cui professionalità e perizia è contesa da Martin Scorsese e Woody Allen. Immaginatevi una città intera che raccoglie dai suoi sfasciacarrozze vecchie auto e camion e poi li restaura per affittarli e farli girare nei set. Una città che aggiusta i vestiti d’epoca e li tiene pronti per l’uso, come gli asini, i cavalli, i carretti e tutto il resto.
I registi hanno avuto non poche difficoltà a trovare le giacche di fustagno marrone e tutti i muli necessari per girare scene ricorrenti come quella di Portella della ginestra. Pare sia stato un problema grosso per il regista dei “Cento Passi” trovare una 1100 o una 600, una vespa o una lambretta d’epoca funzionanti.
Lo sapevate che l’unico centro restauro di vespe e lambrette d’epoca del sud Italia è a Gela?
Si a Gela, proprio in via Venezia. Un miracolo della tecnica. Un centro dove puoi trovare una lambretta prodotta cinquant’anni fa che si accende al primo colpo di pedale, come se fosse uscita ieri dagli stabilimenti dell’Innocenti.
Per uscire dal sottosviluppo dovremmo inventarci di tutto, come quel meccanico specialista di restauro di lambrette (al quale il sindaco dovrebbe dare un premio): partendo da quello che sappiamo e possiamo fare e che gli altri forse ci lascerebbero fare.
Fonderei un’associazione denominata “Gela possibile” che di volta in volta organizza sondaggi e convegni, consultando i semplici cittadini, oppure riunendo intellettuali, tecnici e artisti di tutto il mondo per dare risposte ad alcune domande:
Come possiamo rimboccarci le maniche? per fare che cosa? al servizio di chi? con quali competenze? con quali partner? con quali soldi?
Meglio tardi che mai, cominciamoci da subito, vuoi vedere che a qualche regista di Hollywood non ci venga in mente di girare a Gela “Het bastard van Mautaan” o “Salvate il soldato Marc Sciana”??
Con Harrison Ford nella parte del Barone Verderame e Tom Hanks che si scaglia armi in pugno contro i bunker delle colline di Settefarine o di passo di piazza.
Autore : Giuseppe Clementino
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