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Corriere di Gela | Luisella Battaglia, medicina: dal silenzio al dialogo
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notizia del 14/04/2013 messa in rete alle 15:14:32

Luisella Battaglia, medicina: dal silenzio al dialogo

Alleanza terapeutica fra medico e paziente e una medicina che, non solo cura, ma si prende cura del paziente, sono i principi su cui si basa la teoria Bioetica, disciplina nata negli anni ’70 di cui ha parlato ampiamente, venerdì scorso al Tropicomed, la prof.ssa Luisella Battaglia (nella foto insieme al dott. Ignazio Morgana) nella conferenza intitolata Eutanasia, accanimento terapeutico: i limiti della scienze. L’evento, organizzato dall’associazione culturale Daterreinmezzoalmare, ha costituito il quarto appuntamento inserito nel programma della rassegna Cunta.13.

Luisella Battaglia, ordinario di Bioetica all’Università di Genova e Suor Orsola di Napoli e componente del Comitato Nazionale di Bioetica, ha sottolineato come gli esseri umani siano talmente parte integrante di un ecosistema che oggi si parla più di una bioetica globale, vale a dire una bioetica dove la qualità della vita fisica sia coordinata alla qualità della vita ambientale ed ecologica.

«La Bioetica – ha dichiarato la Battaglia – non riguarda solo l’entrata e l’uscita dalla vita, la sperimentazione o la genetica, ma ha un significato più ampio. Gli uomini sono responsabili della gestione di un bene prezioso, che è l’ambiente. Il diritto all’ambiente diviene fondamentale, così come il progredire delle conoscenze procura nuove responsabilità specie nei confronti degli animali, che dobbiamo tutelare»

La medicina in questi ultimi anni ha prodotto l'allungamento della vita attraverso l'applicazione della sperimentazione. Dopo la rivoluzione terapeutica, vi è stata una seconda rivoluzione, quella della nuova genetica, che ha contribuito a creare la speranza di riuscire a superare il grande scoglio costituito dalle malattie ereditarie e dal cancro. Il problema relativo alle decisioni terapeutiche sui malati terminali, ha portato all’insorgenza di decisioni che dovrebbero essere prese non soltanto in riferimento al prolungamento della vita, ma anche in relazione alla qualità di vita.

«In Bioetica – ha detto la relatrice – esistono due grandi partiti in competizione tra loro. Il primo è quello della sacralità della vita, secondo il quale la vita ha una sua dignità intrinseca, indipendentemente dalle sue condizioni, anche se il corpo è immobile, anche se non c’è alcuna speranza di miglioramento del quadro clinico. Il secondo è quello della qualità della vita, secondo il quale una vita è degna di essere vissuta solo se è una buona vita, se cioè non comporta un carico di sofferenza o di passività superiore alla gioia, alle possibilità di azione, alla speranza». Tali posizioni convergono solo nell’accanimento terapeutico, che si ha quando un malato terminale ha le proprie funzioni vitali compromesse e il medico gli somministra ulteriori cure mediche. Un atteggiamento vietato al medico dall’art. 14 del Codice di deontologia medica che stabilisce l’asten-sione dall'ostinazione di trattamenti, da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato o un miglioramento della qualità della vita. «È difficile stabilire – ha aggiunto Luisella Battaglia – quella zona grigia dove inizia tale accanimento. È inutile accanirsi a isolare un frammento della nostra esistenza, che ci fa perdere di vista la globalità del nostro essere. In altre epoche l’uomo viveva naturalmente il congedo dalla vita, quasi un’ars moriendi, che porta alla vita ultraterrena. L’ars moriendi considera la morte come un processo, per cui l’uomo ha bisogno di un accompagnamento umano e spirituale. L’eu-tanasia, nella sua accezione originaria di aiuto ad una dolce morte, emerge come compito non medico, ma filosofico-religioso».

Evitare l'accanimento terapeutico significa assumere i limiti della propria condizione mortale, così come aveva asserito anche il cardinale Martini. Del resto se la morte è per l'uomo un destino inevitabile, essa diviene anche un fatto prettamente personale. In questo quadro il testamento biologico rappresenta la riappropriazione di un evento negato e rimosso dalla cultura contemporanea e costituisce una gestione della propria vita che ha il suo fondamento nell'autonomia della persona, secondo un percorso che si evidenzia nella stessa Costituzione, tra l'art. 13, sulla libertà personale, e l'art. 32, sul diritto alla salute.

«Oggi – ha commentato la docente – c’è una medicina che vive solo la lotta contro la malattia, e genera nel morente una solitudine. Un’idea di medicina che noi vorremmo è quella che non solo cura, ma che si prende cura, e un medico capace di ascoltare e di stabilire un’empatia con il paziente»

In tal senso si inserisce il concetto di alleanza terapeutica, come strumento e condizione necessaria per superare insieme paziente e medico la resistenza alla terapia e alla guarigione. Secondo la medicina positivista la qualità della relazione tra medico e paziente non era presa in considerazione e quasi disturbava la ricerca scientifica. E in una relazione asimmetrica il paziente non ha gli strumenti per capire quale sia il suo bene e per agire autonomamente. Oggi si richiede necessario passare da una medicina del silenzio ad una medicina del dialogo, cioè una medicina che prende contatto con la dimensione umana della sofferenza del malato a tutto tondo. A curare la postfazione è stato il dott. Ignazio Morgana, presidente del comitato etico Asp di Caltanissetta.

«Ritornare ad una medicina dell’uomo – ha detto il dott. Morgana – è difficile in quanto dall’Università escono medici solo con l’obiettivo di curare e non di prendersi cura». Superato il concetto di paternalismo medico, il medico non deve trattare il paziente come un bambino da proteggere, ma considerarlo come un agente libero e autonomo, rispettando la sua dignità di persona.


Autore : Filippa Antinoro

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