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notizia del 30/10/2006 messa in rete alle 14:48:25
La bestemmia e la libertà dalla religione
Nei giorni scorsi si è fatto un gran parlare in televisione e sui giornali intorno alla “bestemmia” scappata in diretta a Massimo Ceccherini durante la puntata de “L’Isola dei famosi” del 18 ottobre. Per questo motivo, com’è noto, il simpatico attore comico, con quella sua aria a metà strada tra un Lucignolo e un Franti, è stato buttato fuori dal reality, anche se quasi nessuno sul momento aveva fatto caso alla bestemmia (circostanza, questa, sulla quale pochi hanno riflettuto). Mentre il presidente della Commissione di Vigilanza sulla Rai, Mario Landolfi (di Alleanza Nazionale), con il suo solito cipiglio fascistoide e concordatario ha proposto addirittura l’espulsione da Rai 2 del programma stesso, i più ‘aperti’ - diciamo così - hanno fatto osservare che un certo linguaggio blasfemo irriflesso è tipico del registro ‘basso’ del gergo toscano di Ceccherini. Tuttavia, anche questi ultimi, quasi sempre si sono premurati di precisare che Ceccherini ha commesso un atto comunque riprovevole e gravemente offensivo nei confronti della sensibilità del pubblico televisivo, il quale va paternalisticamente protetto da certe pericolose derive espressive. Per non parlare naturalmente dei clericali di professione, i quali hanno gridato allo scandalo e non hanno perso l’occasione di tornare a lamentare l’irrimediabile perdizione di questi nostri tempi avvolti nelle tenebre del consumismo, del relativismo, del turpiloquio e dei pacs.
Quello che è mancato in questo dibattito, tuttavia, è un serio tentativo di operare una chiara e netta distinzione tra i due aspetti principali della vicenda. Da un lato, infatti, c’è una regola precisa di contratto per i partecipanti al reality, stando alla quale la bestemmia comporta automaticamente l’espulsione dal gioco (c’erano già dei precedenti in altri reality); dall’altro, invece, c’è l’insieme delle ragioni che spingono la Produzione del programma a stabilire una regola del genere. Questi due aspetti richiedono approcci diversissimi al fenomeno, che sarebbe bene non confondere mai (come invece è successo sistematicamente). Per quanto riguarda il primo, non c’è spazio per discussioni di sorta: Ceccherini andava buttato fuori, perché le regole sono regole. Quando nel calcio un arbitro annulla un gol per fuorigioco, nessuno obietta che il gol era così bello che l’arbitro avrebbe potuto chiudere un occhio (qualcuno ha usato questo argomento a proposito di Ceccherini, facendo osservare che buttando fuori lui si rinuncia al concorrente più interessante e ‘spettacolare’ di un’edizione del popolare reality per il resto noiosissima). Naturalmente, in altra sede, è lecito discutere sulla sensatezza della regola del fuorigioco, ma guai se un arbitro la mettesse in discussione nel momento in cui deve applicarla.
Questo ci conduce al secondo aspetto della vicenda. Qui il dibattito è giusto che ci sia, perché l’idea stessa di imporre una regola del genere sulla bestemmia ci dice molto sulla cultura e sul costume di un Paese. Nel caso specifico, la televisione di Stato (ma anche Mediaset) mostra il luogo preciso in cui preferisce collocarsi nel gioco dei rapporti di forza ideologici e di sensibilità che operano nella società italiana. In uno Stato fintamente laico qual è il nostro, dove la parola del Papa vale più di quella del Presidente della Repubblica, specialmente in televisione (ma sovente anche in Parlamento), la televisione segue il malcostume politico-culturale e fa una scelta di campo precisa, stabilendo che la sensibilità di chi è religioso vale di più, molto di più, di quella di chi religioso non è. Naturalmente questo principio (in gran parte ispirato a motivi di opportunismo politico) viene di solito giustificato con argomenti pseudo-democratici, spacciati per tolleranti e liberali: poiché la maggioranza del ‘pubblico’ (ormai questo è diventato il popolo) è cattolica, e poiché la maggioranza ha sempre ragione, allora è giusto soddisfare le sue aspettative. Come si vede, non c’è nulla in tutto ciò che corrisponda alle regole autenticamente democratiche di uno Stato laico. L’unica preoccupazione di questa ideologia ipocrita e leale più al Vaticano che ai principi della laicità, è il rispetto della cosiddetta sensibilità religiosa (e oggi il conformismo del politically correct impone il rispetto di qualsiasi altra fede, specialmente se è intollerante e minacciosa, come quella musulmana). La sensibilità di chi religioso non è praticamente non esiste, come se il non appartenere ad una confessione religiosa rappresentasse una anomalia, uno scherzo di natura che è preferibile ignorare per il quieto vivere. Ciò spiega perché si assiste a questo fenomeno curioso: mentre si fa di tutto per rispettare la sensibilità di chi è permaloso e irrazionalmente attaccato a credenze superstiziose (diciamolo chiaramente ogni tanto – perdio! – questo e null’altro è la sensibilità religiosa), non si fa nulla per rispettare la sensibilità di chi è votato a una vita più disincantata e razionale e cerca di seguire il comandamento oraziano del Sapere aude (“Abbi il coraggio di servirti della tua intelligenza”), che Kant assunse come motto dell’Illuminismo. Ogni giorno se ne ha prova in televisione: amplissimo spazio a moniti papali, a miracoli, a beatificazioni, a misteri di Fatima e a tutto ciò che rappresenta un’offesa plateale all’intelligenza, una vera e propria bestemmia contro lo spirito critico; e pochissimo spazio al pensiero laico, alla scienza e a tutto ciò che ci rende più liberi e razionali.
Perché nessuno pone regole contro le offese all’intelligenza? Forse perché il cinquanta per cento delle puntate di trasmissioni pseudo-giornalistiche come “Porta a porta”, “Verissimo”, “La vita in diretta” e compagnia bella, dedicate a piaghe sulle mani e a madonne di gesso piagnucolanti, non potrebbero andare in onda? E chi se ne frega?
Senza contare che in molti settori della sensibilità popolare tradizionale, la bestemmia esprime una peculiare intimità col divino, ovvero con una idea pre-dottrinaria, magica, animistica di essa. Il popolano che bestemmia celebra una rivolta, seppur momentanea, nei confronti di una presenza che percepisce intimamente, perché si sente tradito e abbandonato da essa (da questo punto di vista, persino Gesù ha bestemmiato sulla croce). Non a caso questa familiarità anarchica e ancestrale col divino è particolarmente odiata dalle chiese istituzionalizzate, il cui compito è invece quello tutto politico di amministrare e manipolare le coscienze in maniera totalitaria attraverso una dottrina preconfezionata e del tutto estranea al sentimento popolare. Essendo le gerarchie ecclesiastiche quanto di più lontano si possa immaginare da ogni primitivo e schietto sentimento religioso, la confidenza intima col divino – presupposta dalla bestemmia – è esattamente ciò che le mette più in discussione e ne mina le basi del potere. E questo è per esse intollerabile. Da qui lo scandalo per la bestemmia, irresponsabilmente amplificato e propagandato dal conformismo ipocrita dei media.
La libertà di religione (corollario della libertà di pensiero) è stata una delle conquiste più importanti dell’Occidente moderno, non v’è alcun dubbio. Ed è proprio questa che ci impedisce di precipitare nella barbarie del fanatismo e ci fa essere orgogliosi di essere occidentali. Ma la lotta per la libertà non deve mai dormire sugli allori, e oggi siamo entrati in un’epoca in cui urge una nuova battaglia di civiltà: quella per la libertà dalla religione. Qualunque essa sia, e soprattutto se istituzionalizzata.
Autore : Marco Trainito
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I Vostri commenti
Ah,che bello,finalmente unarticolo spassionatamete ateo,agnostico,pseudo-filosofico infarcito a dismisura di frasi fatte e luoghi comuni.
Perdonatemi,ma sorge il legittimo dubbio che il Sig. Trainito voglia suscitare una sorta di timore accademico,nel lettore medio,che trovandosi davanti latinismi e massime filosofiche nonchè auliche espressioni rimanga in qualche modo intimorito,confuso azzarderei suggestionato da cotanta cultura.
Ritengo che tutta questa ostentazione di conoscenza sia semplicemente dimostrazione di una scarsità di argomentazioni a fondamento di una tesi che ha il sapore,questa si,del servilismo ad una politica spicciola e poco rispettosa del sentimento cattolico-cristiano.
Mi sembra di leggere non un articolo,bensì il manifesto della sua ideologia,il motivo della sua crociata,non più informazione ma solo proselitismo.
Allora vogliate scusarmi se da Cattolico non mi sento offeso tanto dalla bestemmia quanto dal fatto che uno strumento di informazione,che nella teoria dovrebbe limitarsi ad una spiegazione razionale dei fatti,venga utilizzato per criticare quanti ancora portano nel cuore la luce della speranza,una piccola fiamma di misericordia,un messaggio di bontà e tolleranza.
Quindi,non trattasi più Stato Laico,ma semplicemente di buon gusto,educazione e costume. Se suo figlio bestemmiasse in pubblico,Lei sarebbe ancora così propenso ad addurre come spiegazione al comportamento,discutibile,del bambino un rapporto di intimità col divino?
E ancora,nel momento in cui si mette in discussine l'esistenza del Divino,non se ne sta già postulando l'esistenza?
Ringrazio anticipatamente per lo spazio concessomi. Cordiali Saluti. Calogero Paolo Cassarino.
Autore: Calogero Paolo Cassarino
data: 01/11/2006
OSSERVAZIONI IN MARGINE ALLA REPLICA DI CASSARINO
Il commento risentito del cattolico Calogero Paolo Cassarino al mio articolo apparso sul “Corriere di Gela” della scorsa settimana (“La bestemmia e la libertà dalla religione”), merita qualche nota a margine, se non altro perché esso tradisce in modo lampante il tipico meccanismo retorico di chi, per mascherare la propria incapacità di combattere una tesi con argomentazioni puntuali e articolate, si lancia nell’insulto gratuito, nell’accusa di saccenteria, negli slogan strappalacrime e buonisti e nella caricatura falsante delle idee dell’avversario, con buona pace del vero punto in questione.
Già il semplice fatto di definire “ateo, agnostico, pseudo-filosofico” il mio articolo, dimostra almeno due cose: 1) che chi scrive non ha chiara la differenza tra ateismo e agnosticismo (sono due cose che non possono stare insieme a connotare contemporaneamente lo stesso oggetto, come dovrebbe essere ben noto). E in ogni caso non c’entrano nulla, perché il mio era un discorso che riguardava la laicità; 2) che chi scrive, di fronte ad alcune rapide e occasionali osservazioni di sociologia della comunicazione e di politica culturale, vuol far credere spocchiosamente di essere in grado di distinguere su due piedi tra filosofia e pseudo-filosofia, anche se subito dopo, identificandosi populisticamente col “lettore medio”, se non addirittura con l’analfabeta Renzo Tramaglino, si lamenta per la (presunta) “ostentazione di conoscenza” dell’autore dell’articolo, presentato quasi come un Azzecca-garbugli che spara “latinorum” (per inciso, nell’unico caso in cui mi sono lanciato in “latinismi e massime filosofiche”, per dirla con Cassarino, ho fatto ricorso a un’espressione di Orazio, resa celebre da Kant, che anche l’ex-liceale più scarso conosce, se solo è riuscito ad arrivare alle soglie dell’esame di Stato).
Poiché, dunque, nel mio articolo non si faceva alcuno sfoggio di erudizione, ma si poneva nel modo più chiaro possibile un problema politico-culturale a partire da un fatto di cronaca televisiva, il “timore” che secondo Cassarino avrei inteso suscitare nel “lettore medio” è un problema solo suo. Dalle sue parole avvelenate, infatti, emerge il suo grande timore di affrontare seriamente la questione da me sollevata, che egli liquida sbrigativamente come una faccenda di “buon gusto, educazione e costume”, rifugiandosi nella forma più banale di conformismo ideologico, di moralismo da galateo e di tradizionalismo. Tuttavia, prima di esibire questa mirabile apologia del tipico andazzo italiota in fatto di etica pubblica, egli accusa me di ricorrere a “frasi fatte e luoghi comuni”, naturalmente guardandosi bene dal fare esempi.
Non avendo di fronte delle contro-argomentazioni centrate sul punto in questione, ma solo lo sfogo caotico di un cattolico che vive benissimo in un Paese che in gran parte (e a parole) la pensa come lui e che nei centri di potere (come la televisione e il Parlamento) lo coccola nelle sue credenze per ovvie ragioni politiche ed economiche (mai offendere la sensibilità permalosa del pubblico che può farti vincere la partita dell’audience e le elezioni), mi limiterò a qualche altra osservazione sui curiosi tic linguistici di Cassarino, perché vi si annidano delle autentiche perle.
Innanzi tutto, dal modo in cui contesta il fatto stesso che questo giornale abbia ospitato il mio articolo, si capisce che Cassarino non sa che i giornali non fanno solo informazione sui fatti, ma contemplano anche l’esistenza degli articoli di commento in cui qualcuno propone un’opinione e la sottopone alla discussione pubblica e razionale. D’altra parte, uno che si appella alla “spiegazione razionale dei fatti” e nel giro della stessa frase invoca “quanti ancora portano nel cuore la luce della speranza, una piccola fiamma di misericordia, un messaggio di bontà e tolleranza”, appare più contraddittorio e confuso di uno che armeggia col telefonino mentre prende l’ostia (di passaggio, mi permetto anche di ricordare a Cassarino che la nozione di “tolleranza” in Europa è nata in contrapposizione al fanatismo religioso della Chiesa cattolica e di alcuni settori del mondo protestante, ma evito di rimandarlo alle fonti di questa mia affermazione per evitare di dargli fastidio con uno sfoggio di cultura).
Interessante è poi il fatto che Cassarino mi accusi di fare non informazione ma una “crociata” e del “proselitismo”. Ora, non riesco a immaginare una barzelletta più divertente di quella del cattolico – il quale si riconosce in una Chiesa che ha fatto le crociate e il proselitismo lo fa per vocazione – che lancia l’accusa di voler fare una “crociata” e del “proselitismo” a un laico individualista che non appartiene ad alcuna chiesa e che ha la sola colpa di sollevare il problema dei confini della laicità costituzionale del nostro Stato.
Le due domande retoriche con cui si conclude la replica di Cassarino, infine, tradiscono in modo plateale il suo totale fraintendimento (non so quanto intenzionale) del mio discorso. Io ho semplicemente proposto un modello di spiegazione della funzione della bestemmia nell’ambito della cultura popolare tradizionale. La mia ipotesi può naturalmente essere sbagliata, ma la sua confutazione non può provenire da un contro-esempio fuorviante: il bambino che oggi sente e ripete una bestemmia non c’entra nulla, perché rimanda a una questione assolutamente diversa (che qui non è il caso di aprire per ovvie ragioni di spazio). Per quanto riguarda invece l’ultima domanda di Cassarino (“Nel momento in cui si mette in discussione l’esistenza del Divino, non se ne sta già postulando l'esistenza?”), posso solo dire che nel mio articolo non c’è alcun accenno a questioni teologiche di quel tipo, per cui, ancora una volta, egli ha preferito deragliare. Curiosamente, però, egli, che pure all’inizio aveva dato ad intendere di essere filosoficamente smaliziato, risponde implicitamente alla sua stessa domanda riproponendo il sofisma che mille anni fa Anselmo d’Aosta, in pieno Medioevo, usò contro Gaunilone. E questo la dice lunga sullo stato delle parole e dei pensieri da cui Cassarino è parlato e pensato.
Marco Trainito
Autore: Marco Trainito
data: 01/11/2006
Gentile signor Trainito, ho trovato per caso questo articolo e vorrei dire la mia opinione sulla bestemmia...pur ammettendo di non conoscere il regolamento dei reality o degli spettacoli televisivi.
In quanto cattolica reputo una bestemmia un'offesa non tanto per la bestemmia in sè, quanto per una questione di sensibilità personale e non religiosa. Se io insultassi sua madre, lei si riterrebbe offeso, e lo stesso farei io. Allo stesso modo la bestemmia è l'insulto ad un
Autore: Antonia Chiaia
data: 27/02/2007
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