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notizia del 22/08/2009 messa in rete alle 12:51:49
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Il Tar, gli insegnanti di religione e le miserie della politica italiana
L’aria stagnante delle giornate afose che hanno preceduto il Ferragosto dell’Italietta berlusconiana è stata scossa da uno tsunami giuridico (apparentemente) spaventoso, qualcosa di così drammatico per le sorti della scuola italiana, della Chiesa e del cattolicesimo tutto che i politici hanno dovuto interrompere le meritatissime vacanze per precipitarsi a rilasciare alla stampa e alla televisione delle dichiarazioni a dir poco apocalittiche. Maurizio Gasparri, presidente del gruppo Pdl al Senato, ha parlato di “deriva anticattolica che non ha precedenti nella storia e nella tradizione del nostro Paese”; Luca Volontè, parlamentare UDC, ha gridato che “la magistratura è fuorilegge”; Paola Binetti, parlamentare PD, ha avvertito che quanto accaduto “crea dei docenti di serie A e di serie B”; l’attuale ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini (sopra, in un disegno di Arnaldo Amabile), non insensibile al grido di dolore levatosi da una scuola italiana, da una Chiesa e da un intero Paese umiliati e offesi, ha promesso che ricorrerà al Consiglio di Stato.
Ma cosa è successo?
Cos’è che ha tolto il sonno ai nostri politici, al punto che quasi tutti, tra maggioranza e opposizione, si sono trovati unanimi come non mai nell’indignazione e nella contrizione?
È successo semplicemente che il Tar del Lazio ha accolto un ricorso, presentato a suo tempo da alcune associazioni studentesche, laiche e confessionali (non cattoliche), contro le ordinanze dell’ex ministro dell’istruzione Fioroni che dal 2007 consentivano agli insegnanti di religione cattolica di partecipare con la loro disciplina alla determinazione del credito scolastico in sede di scrutini per l’ammissione agli esami di Stato. Il Tar ha semplicemente applicato la logica elementare, la Costituzione e il principio della laicità dello Stato, così come è stato enunciato dalla Corte Costituzionale con sentenza n.203/89: poiché le scuole italiane non prevedono ore di insegnamento per le confessioni religiose non cattoliche, né garantiscono in genere percorsi didattici con esiti certificabili per gli alunni che scelgono comunque di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica, questi ultimi si trovano oggettivamente discriminati nei confronti di quelli che se ne avvalgono, i quali possono usufruire di un punteggio aggiuntivo per il solo fatto di scegliere l’insegnamento della religione cattolica. In tal modo, la religione cattolica, in violazione del principio costituzionale della laicità dello Stato, gode di un privilegio oggettivo, se non altro perché, in termini di credito scolastico, sarebbe “conveniente” sceglierne l’insegnamento.
Elementare, no? Sì, elementare in un paese normale, non certo in Italia. Un ex ministro dell’istruzione responsabile di un simile pasticcio, se avesse un minimo di senso critico e se, come molti altri parlamentari, non fosse più leale al Vaticano che alla logica e alla Costituzione, dovrebbe chiedere pubblicamente scusa per il maldestro errore commesso solo per compiacere le gerarchie ecclesiastiche. Invece Fioroni, che pure è oggi tra i capi del Pd, cioè dell’opposizione, è stato tra quelli che hanno invitato la Gelmini a ricorrere contro la sentenza. Quando si sfiora la chiesa cattolica, evidentemente, quasi tutti i nostri politici sentono un prurito trasversale.
Ora, poiché la sentenza del Tar (emessa il 18 luglio ma resa nota intorno al 10 agosto), pur stabilendo un importante principio, di fatto non modifica un gran che la routine scolastica, come sa bene chi vi opera, dal momento che la valutazione degli insegnanti di religione incideva in genere per frazioni di un punto su cento, c’è da chiedersi come mai si sia fatto tutto questo rumore per così poco. A mio parere le ragioni sono precise, ma rese non percepibili nel rumore assordante delle trombe del vittimismo ipocrita. Una Chiesa che gode dell’appoggio genuflesso del Governo e della quasi totalità del Parlamento ha trovato il modo di stracciarsi le vesti per l’intollerabile e intollerante affronto (così viene presentato) proveniente addirittura da un tribunale “regionale”, come ha maliziosamente sottolineato un alto esponente della chiesa universale. Lo stesso alto prelato, cioè mons. Diego Coletti, presidente della Commissione episcopale per l’educazione cattolica, ha osservato che “non si tratta di un insegnamento che va a sostenere scelte religiose individuali: ma di una componente importante di conoscenza della cultura di questo Paese”. Il lato ipocrita del vittimismo dei preti e dei politici clericali sta esattamente in una dichiarazione come questa, dal momento che è a tutti noto che le cosiddette importanti componenti religiose della cultura di questo Paese sono oggetto dell’insegnamento soprattutto dei docenti (molti dei quali cattolici e quasi tutti gli altri cattolicissimi) di letteratura italiana, storia, filosofia e storia dell’arte, mentre le ore di religione nelle scuole pubbliche si riducono, nella migliore delle ipotesi, a una più o meno blanda propaganda a favore delle posizioni più retrive della Chiesa su argomenti relativi alla vita civile e all’etica pubblica (aborto, divorzio, omosessualità, ecc.).
La levata di scudi, allora, deve avere un altro significato e io ritengo che esso stia nel fatto che, così facendo, cioè alzando la voce su una questione in fondo marginalissima nei fatti (anche se rilevante nei principi), la Chiesa e il partito clericale trasversale e ampiamente maggioritario tengono nascosta la vera questione fondamentale che dovrebbe arrivare sul tavolo della discussione pubblica, ovvero: cosa ci stanno a fare gli insegnanti di religione nella scuola pubblica italiana? Con buona pace della Binetti, che partecipino o meno all’attribuzione del credito scolastico, quelli di religione sono di fatto degli insegnanti di serie B, ovviamente dal punto di vista didattico, non certo dal punto di vista economico (dove addirittura hanno dei vantaggi rispetto a tutti gli altri, com’è ben noto); e la colpa non è né del Tar del Lazio né degli insegnanti stessi, ma del sistema scolastico italiano, che, con la riforma del Concordato del 1984 e con la riduzione della religione a materia opzionale, ha di fatto stabilito una situazione equivoca, dovuta al compromesso per cui la Chiesa sceglie (con criteri suoi) e lo Sato paga (coi soldi di tutti) gli insegnanti di religione. Questi ultimi vengono inevitabilmente percepiti, non solo dagli studenti, come delle presenze poco rilevanti e comunque anomale, visto che si tratta in genere di preti, oppure di laici con un percorso formativo poco trasparente (i loro colleghi non li hanno mai incontrati all’università, ai corsi, ai concorsi e alle nomine, per esempio, né li hanno visti penare con le graduatorie pubbliche) e di dubbia qualità. Questo stato di cose ambiguo e ipocrita piace un po’ a tutti: alla Chiesa, che così si garantisce una presenza educativa nel sistema scolastico pubblico; ai politici, che così si fanno amico il cosiddetto elettorato cattolico, e infine agli stessi alunni, che hanno una materia cenerentola e di alleggerimento.
Una scelta coraggiosa sarebbe invece quella di trarre certe conseguenze dalle cose. Visto che i nostri politici sono così unanimamente compatti nel correre in soccorso della Chiesa (anche in barba alla legge fondamentale dello Stato) e nel proclamarsi cattolici, ritornino allora al Concordato del 1929 o addirittura alla teocrazia e reintroducano l’insegnamento obbligatorio della religione cattolica. In tal modo gli insegnanti di religione potranno rivendicare il diritto (ispirato dall’alto) di determinare da soli tutto il credito scolastico, dal momento che, se hanno ragione, sono i veicoli di una verità assoluta e la loro disciplina è di conseguenza la più importante di tutte per la vita mortale ed eterna dei giovani. Per i docenti come lo scrivente, che non nasconde la propria empietà di miscredente, sia prevista la pubblica abiura, pena il licenziamento, o addirittura il rogo, perché se bel Medioevo dev’essere, che bel Medioevo sia. Oppure, se vogliono essere decentemente a passo con la storia e con il cammino della ragione, i nostri politici ammettano chiaramente che tutte le confessioni religiose sono delle imposture, confinino l’espressione delle pratiche religiose alla sfera privata e stabiliscano che, se i preti e certi laici fedeli vogliono salire in cattedra, lo facciano pure, ma a spese della loro chiesa e nelle scuole private confessionali.
Ovviamente non accadrà niente di tutto questo, e il tutto assumerà il classico aspetto della tempesta in un bicchiere d’acqua, per giunta estiva: non si tornerà alla teocrazia, perché per fortuna molti nostri politici apprezzano le delizie del gregge di Epicuro, limitandosi ad essere molto credenti nella credenza altrui, soprattutto degli elettori; né si arriverà al neoilluminismo, perché i nostri politici si ingrassano pascolando nei campi della superstizione popolare. Tutto rimarrà così com’è: con una scuola pubblica che si trascina stancamente verso un’improbabile decenza culturale e con la presenza di qualche cavallo di Troia della Chiesa messo lì per indebolire l’intelligenza critica dei giovani, che non di rado, per fortuna, reagiscono all’attacco oscurantista con uno sbadiglio.
Autore : Marco Trainito
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