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notizia del 01/04/2005 messa in rete alle 01:12:17
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Quel carrettino siciliano ormai in via d’estinzione
Fra le cianfrusaglie dozzinali esposte in città e paesini, inseriti nei circuiti turistici siciliani, hanno sempre fatto bella mostra i paladini di Francia, i templi di sughero ed i carrettini siciliani. Per quanto riguarda i vasi, i piatti, le composizioni in ceramica di Sciacca, Caltagirone, Comiso, Santo Stefano di Cama-stra, possiamo parlare di arte popolare dai connotati artistici, che si discostano dalle cianfrusaglie di cui sopra; anche se in questa categoria non mancano alcuni oggetti-ricordo di buona fattura. E’ stato sempre il carrettino siciliano, in verità, a rappresentare la Sicilia: più della Trinacria e delle aquile ad una o più teste, a seconda delle dominazioni o dei casati nobiliari. Il carretto, invece, con le sue origini “proletarie” è legato alla terra ed alla precarietà di una vasta popolazione di braccianti e contadini, ha rappresentato il veicolo-sostentamento di molte famiglie meridionali e siciliane in particolare.
I colori policromi di questi carri con le fiancate, le aste, le ruote con i cerchioni in ferro, si distinguevano per la semplice bellezza e per la singolarità dei temi pittorici e per quanto era scolpito nel legno.
Il carretto – ci avverte ormai la storia – era usato come mezzo di trasporto di merci dalla campagna alla città e viceversa, e, successivamente, come mezzo di trasporto di persone che dovevano affrontare lunghi percorsi, fra le strade dissestate e prive di asfalti bituminosi. Il carretto bardato di pennacchi variopinti, specchietti e festoni dalle varie tonalità, con il carrettiere vestito, nei giorni di festa, con i classici pantaloni e giacca di velluto nero e un fiocco con pompon a girocollo, ed un berretto con un fiocco rosso, ed una “zotta”di spago intrecciato, rappresentavano il simbolo di un giorno diverso. E facevano la felicità dei bambini e dei ragazzi estatici ai colori ed allo zoccolio dei muli.
E nelle lunghe marce, sotto il carretto, c’era sempre un cane tristissimo, tirato da una cordicella quasi a strozzarlo; e nei viaggi notturni una lampada ad olio per segnalare una presenza mobile. Nel 1988 il poeta Renzo Guglielmino scriveva in una lirica Antico Viandante, contenuta nella raccolta “Il tempo delle tegole gialle”, che “...sulle polverose trazzere cosparse/di pietre bianche si perde/il tuo dolce lamento./Fra il cigolare del carro/e il suono d’una vecchia campana/lento il fido cane ti accompagna/sul calar della sera/...”.
Non rimane più nulla di quel precario, nè dei carretti e dei carrettieri.
Per le nuove generazioni si tratta dio mezzi ed uomini antidiluviani che conoscono appena attraverso qualche fotografia sbiadita, un racconto dei nonni, una miniatura nei bazar per turisti distratti. Eppure i giovanissimi dovrebbero recarsi nell’atrio della stazione ferroviaria di Gela, per avere un’idea di cosa fosse un carretto: della loro elaborata costruzione e conoscere, attraverso le pitture sulle fiancate, le storie dei paladini e delle principesse; dei guerrieri e dei draghi, non dissimili, nell’invenzione artistica, a certe scene di Peter Pan.
Su una pedana verde, delimitata da un cordone, nell’atrio della stazione è collocato un magnifico carretto siciliano. Ogni tanto dovrebbe essere lavato. Una didascalia laterale alla pedana dovrebbe spiegarne le origini e riportare i nomi dei costruttori. Questi sono Antonio Mancuso di Palermo, Giuseppe Manfrè di Partinico e altri artisti anonimi che vi hanno lavorato per le incisioni.
L’artistico carretto “ferroviario” è un simbolo del lavoro gelese (di quel tempo!); e sulle fiancate sono rappresentate le guerre dei paladini, l’eroe combattente Fioravante che abbraccia Duxeline, Ruggero che libera Angelica dall’orca marina, e Guido Santo che uccide il Re Rubino. Nel caso del carretto esposto a Gela ne sono autori artisti che hanno attinto all’Orlando Furioso dove gli argomenti riguardano la lotta fra pagani e cristiani, l’amore per Angelica di Orlando; l’amore di Bradamante e di Ruggero, dalla cui unione discenderà la casa estense.
Questi artisti a loro volta, erano suddivisi in indoratori, decoratori e pittori, tutta una serie di specializzazioni che caratterizzavano l’esecuzione del lavoro manuale.
Gli insegnanti delle nostre scuole di ogni ordine e grado potrebbero fare da “ciceroni” agli allievi; ed alla fine della le-zione spiegare anche i simboli del quadro “arrivi e partenze”, e chiedere al capo stazione di turno il fischio di un treno.
Sono in molti a non conoscere il fascino di una stazione ferroviaria: se non per sentito dire o per per averne sentito parlare attraverso un film alla televisione.
Distorglieli, una tantum, dai tiri di Del Piero, dalle canzoni a più non posso, dalle cronache politiche e delle guerre alla rinfusa non sarebbe poi così male.
Ed il carretto è là, che li aspetta.
Autore : Federico Hoefer
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