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Corriere di Gela | Un martire senza titolo nell'ultimo libro di Camilleri
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notizia del 01/04/2005 messa in rete alle 01:11:00

Un martire senza titolo nell'ultimo libro di Camilleri

È lecito supporre che le 55 “città invisibili” di Calvino (dotate ognuna di un nome femminile) abbiano avuto un precedente storico decisamente farsesco ma assai significativo, dove a fungere da Mar-co Polo in versione pirandelliana è stato un gruppo di fascisti di Caltagirone e a vestire i panni di un Kublai Kan turlupinato dal tipico ‘teatro’ siciliano è stato nientemeno che Benito Mussolini in persona. Così possiamo rileggere oggi la storia di Mussolinia, la città fantasma che i notabili calatini fecero finta di edificare nel bosco di Santo Pietro, tra Caltagirone, Niscemi e Acate, in onore di Mussolini, per celebrare degnamente la visita del Duce alla loro città, nel maggio del 1924. Mussolini, in una cerimonia funestata da incidenti grotteschi (la sparizione della bombetta e la sua sostituzione con una ridicola coppola da contadino; la sparizione della stessa pergamena commemorativa che il Duce avrebbe dovuto murare dentro la prima pietra; i fischi dei pastori che protestavano per la sospensione dei lavori di costruzione della linea ferroviaria Gela-Caltagirone), posò la prima pietra di una città “turrita” che non sarebbe mai stata costruita e di cui, qualche anno dopo, avendo egli chiesto notizie sullo stato dei lavori, gli arriveranno dalla Sicilia due fotomontaggi beffardi: in uno, costituito da un intero album fotografico, il Duce ammirerà compiaciuto l’imponenza e la maestosità della città che porta il suo nome, e nell’altro, a mo’ di controbeffa volta a smascherare la prima, un Duce incredulo e furente avrà di fronte una sorta di cartolina in cui la stessa città appare come un ridente porto di mare.
Questa incredibile messinscena è uno dei due fatti di cronaca poco noti su cui è costruito l’ultimo romanzo storico di Andrea Camilleri, Privo di titolo (Sellerio), uscito il 17 marzo scorso. L’altro fatto di cronaca è la misteriosa uccisione a Caltanissetta, il 24 aprile 1921, del diciottenne ‘patriota’ Gigino Gattuso, nel corso di una rissa tra fascisti e comunisti. Gattuso è stato poi elevato dal regime, con una tipica montatura mistificatoria fatta di retorica patriottica e di opportunismo politico, al rango di unico martire del fascismo in Sicilia, e in quanto tale celebrato con un monumento, con adunate commemorative ad ogni anniversario della morte e con intitolazioni di strade e scuole (ancora oggi, l’ex via Arco Arena in cui avvenne il fatto di sangue si chiama “via Gigino Gattuso, Martire”, e non più “Martire Fascista”, come una volta: e già questo la dice lunga sul metodo italiano della chiarificazione delle cose, perché se prima Gattuso era un falso martire fascista, ora è un vero martire di niente…).

Come ha raccontato lo stesso Camilleri, la gestazione di questo romanzo storico è stata molto lunga, quasi decennale, e vale la pena ricostruirne per sommi capi la doppia genesi, cui è legata, come detto, la struttura tematica ‘a dittico’ imperniata su due fatti di cronaca molto diversi tra loro ma accomunati dalla capacità di rivelare esemplarmente, sotto lo specifico siciliano, tutto il carattere tragicomico della colossale montatura retorica, ideologica e politica rappresentata dal fascismo.
Camilleri aveva 16 anni quando si è imbattuto per la prima volta nella storia di Gigino Gattuso, partecipando da liceale agrigentino all’adunata del 1941 organizzata a Caltanissetta per commemorare il XX anniversario della morte del giovane “Eroe” siciliano del fascismo. A colpire la sua immaginazione fu non solo il fatto curioso che in quell’occasione egli incontrò casualmente l’ “assassino” di Gattuso, l’ormai cinquantenne Michele Ferrara, che piangeva tra la folla appartato in un portone, ma anche il fatto che da suo padre si sentì dire che Dio solo sa come andò veramente quell’oscura faccenda (questo episodio, già rievocato ampiamente in La linea della palma, Rizzoli 2002, pp. 88-90, costituisce ora la “Premessa” di Privo di titolo). Intorno alla metà degli anni Novanta, all’epoca della stesura de Il birraio di Preston (l’altro romanzo storico ambientato a Caltanissetta), Camilleri si vide inviare direttamente dall’autore, il giornalista nisseno Walter Guttadauria, il libro Fattacci di gente di provincia (Caltanissetta 1993), dove la vicenda processuale del caso Gattuso era dettagliatamente ricostruita. A quel punto, attratto dal groviglio pirandelliano e sciasciano del caso (un morto ammazzato in una rissa e un reo confesso; la verità ufficiale, basata sulle apparenze, del giovane attivista fascista barbaramente assassinato da un sanguinario attivista comunista; la verità ‘processuale’ della difesa, suffragata dalle perizie balistiche, che il colpo mortale, simultaneo a quello del reo confesso, fu in realtà sparato da un ‘camerata’ di Gattuso, Santi Cammarata, ed era diretto contro il “porco comunista”; e infine la verità di comodo della sentenza definitiva secondo cui Ferrara sparò e uccise per legittima difesa), Camilleri decide di trarne un romanzo, ma il progetto stenta a decollare per la difficoltà di dare al contenuto fattuale un’adeguata forma narrativa ed espressiva. Nel 2002 Camilleri dice a Saverio Lodato: “Questa è una storia sulla quale, da anni, sto scrivendo un romanzo” (La linea della palma, cit., p. 90), e ancora nell’autunno del 2004, subito dopo l’uscita de La pazienza del ragno, Camilleri così motiva la difficoltà di portare a termine il romanzo su Gattuso: “Più che i fatti a me interessano due cose: il linguaggio (…) e la struttura. Io faccio un piano mentale, come un architetto fa un villino: quanti capitoli dovrà essere, che durata ha il respiro di ogni capitolo. Tutto questo io per Gattuso non ce l’ho ancora chiaro. (…) Ne ho scritto una settantina di pagine e mi sono fermato” (da un’intervista a Camilleri di Rai Educational, disponibile in www.educational.rai.it/railibro/interviste.asp?id=210). Ed eccolo, finalmente, il romanzo, portato a termine nel corso dell’inverno 2004/2005: riprendendo la tecnica narrativa de La concessione del telefono, de La mossa del cavallo e de La scomparsa di Patò, consistente in un assemblaggio comicamente movimentato di articoli di giornali, lettere, documenti ufficiali, manifesti, fonogrammi, note burocratiche, ecc., cui si accompagnano sezioni narrative più o meno tradizionali, Camilleri può esibire una irresistibile ricostruzione della vicenda svariando sui più diversi registri linguistici e stilistici, da quello drammatico a quello burlesco e comico-realistico, da quello ridicolmente e fumosamente burocratico a quello puramente retorico e magniloquente del Regime, fino all’autentico pezzo di bravura della patetica lettera scritta a Mussolini dalla moglie di Ferrara (“Lopardo” nel romanzo) Filomena Boccadoro, nella quale la donna lo implora di intervenire di persona affinché cessino le intollerabili vessazioni subite dal marito anche dopo l’assoluzione, e sulla quale il Duce di suo pugno lascia scritto: “Mandatelo al confino. Mussolini” (pp. 284-285).

Sul piano puramente ‘quantitativo’, la storia di Mussolinia occupa uno spazio relativamente piccolo nel corpo del romanzo (una ventina di pagine sulle quasi 300 totali), ma il suo peso specifico è tutt’altro che marginale, perché mentre la vicenda Gattuso è in fondo un fatto ‘di provincia’, la burla della città fantasma coinvolge il “Fondatore dell’Impero” in persona. In tal modo, l’accostamento delle due vicende, benché poco giustificato sul piano strettamente narrativo, crea un gioco di rimandi reciproci in questo vero e proprio festival della mistificazione che coinvolge tutti i livelli del Regime, non risparmiando neppure il suo Capo carismatico, investito in pie-no dalla macchina della menzogna propagandistica da lui stesso messa in moto. Le fonti cui Camilleri ha attinto per ricostruire la vicenda della fondazione di Mussolinia a Santo Pietro, sono tutte dettagliatamente indicate nella “Nota” posta in margine al romanzo, ma quella che è sicuramente la più interessante, nonché la più sfruttata, è costituita dal ‘pezzo’ di Leonardo Sciascia del 1969 intitolato “Fondazione di una città”, poi incluso ne La corda pazza (Einaudi 1970). Una lettura comparata mostra che il testo sciasciano è seguito passo passo, con la sola eccezione del numero delle torri di Mussolinia: 16 per Sciascia (cfr. Opere, Bompiani 2001, vol. I, p. 1113), 12 per Camilleri (cfr. p. 227). In un’intervista uscita su “Il Mattino” del 16 marzo scorso, Camilleri dichiara di aver letto (o riletto) le pagine di Sciascia su Mussolinia nel periodo in cui leggeva il libro di Guttadauria e di aver pensato allora di collegare i due fatti, ma “l’idea è rimasta lì, fino a quando non ho trovato la struttura da dare al romanzo”.
Il fatto che lo stimolo sia venuto da Sciascia è molto interessante perché crea un circolo di corrispondenze letterarie che coinvolge anche Italo Calvino e fa sì che “Fondazione di una città”, Le città invisibili e Privo di titolo vengano a costituire un trittico legato insieme da sottili rimandi intertestuali. Per rendersene conto, basterà vedere qualche data. Sin dal 1954, anno in cui gli arrivano sul tavolo di redattore dell’Einaudi le “Cronache scolastiche”, poi confluite due anni dopo nelle Parrocchie di Regalpetra, e fino al 1974, Calvi-no è un lettore attento di tutto quello che Sciascia manda alla casa editrice torinese per la pubblicazione, e non manca di mettere per iscritto le sue impressioni di lettura in alcune lettere divenute celebri (cfr. I. Calvino, Lettere 1940-1985, Mondadori 2000). Ebbene, Einaudi pubblica La corda pazza nel 1970 e Le città invisibili nel 1972, e del 14 settembre 1971 è una lettera di Calvino a Sciascia su Il contesto. Ora, anche se non risultano riferimenti espliciti, è inevitabile supporre che all’epoca in cui lavorava alle Città invisibili Calvino conoscesse il pezzo di Sciascia su Mussolinia. Se ciò fosse vero, allora la Mussolinia raccontata da Sciascia nel 1969 sarebbe davvero una sorta di prototipo storico-farsesco delle città calviniane, oltre che la fonte principale della Mussolinia di Camilleri.


Autore : Marco Trainito

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