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notizia del 03/06/2010 messa in rete alle 08:52:45
Elezioni/6. I segni della campagna elettorale
Quando uscirà il Corriere di Gela forse si conoscerà il vincitore o gli sfidanti per l’ultima tenzone. Il ballottaggio appunto. Ma ritengo plausibile poter proporre un bilancio della campagna elettorale anche in assenza dell’ultima sentenza dei cittadini votanti.
In realtà un bilancio socio-politico è possibile farlo. Dicendo cose che è bene dire dopo la campagna elettorale. Per vari motivi.
Ho sempre ritenuto che i fatti vadano interpretati e che la lettura di eventi debba diventare la lettura dei fenomeni, sociali appunto e politici, perché una sintesi motivata e ragionata è la migliore forma di partecipazione su ciò che ci accade. E’ anche la migliore alternativa per non cadere in un pessimismo qualunquista che ingessa, mentre invece la realtà cambia ed evolve ma con i suoi tempi ed i suoi stimoli.
Una prima conclusione plausibile è questa, seppur metaforica: queste elezioni amministrative si sono svolte all’insegna del Dio latino Giano bifronte, custode di ogni forma di passaggio e mutamento. Il Dio era infatti custode dei passaggi, delle porte e dei ponti. Le sue due facce vegliavano in ogni casa latina nelle due direzioni: entrata ed uscita. Chi è questo Giano Gelese? Ovviamente il Partito Democratico. Ed in special modo il Partito Democratico regionale.
Infatti la contraddizione è questa: il partito partorisce le sue creature e queste si scontrano, si combattono, cercano di annientarsi e di prevalere, ma il partito non entra in campo. Assente in tutta la campagna elettorale, sia fisicamente sia come arbitro. Lasciando Gela in una sorta di perenne attesa che qualcuno si pronunci, qualcuno che può e deve pronunciarsi. Nel massimo dell’agonismo politico si fa parlare lo statuto ma con una voce che non è quella che dovrebbe essere.
Un ossimoro perfetto: il Partito Democratico, incontrastato vincitore delle elezioni amministrative e perdente nel suo ruolo di arbitro. Questo i gelesi lo hanno visto e vissuto. Molti con dispiacere.
Il dispiacere non è di quelli che incrina i valori del partito, che rimangono e sono valori irrinunciabili, specie in un’Italia assediata dalle crisi e dai soloni di destra. No, i principi non sono in discussione, né l’innovatività del Pd. E’ in discussione la disciplina di partito, meglio dire l’autodisciplina, trattandosi di comportamenti di dirigenti politici. Quella è da ripensare e da raddrizzare. Ed il Pd siciliano ne ha un forte bisogno.
Ma un altro fenomeno può essere letto, certamente con un’analisi non neutrale dei fatti, ma comunque proponibile. I due schieramenti antagonisti sono stati portatori di segni differenti non solo di discorsi differenti. E la differenza non può essere apprezzata solo sui temi, sostanzialmente similari perché tutti basati su tematiche note ed irrisolte della comunità gelese. La differenza, ben percepibile, è stata sul piano del metodo, ossia sul piano della dinamica di governo. Gli americani la chiamerebbero “Governance”.
Da una parte il segno di una competenza sbandierata e ripetuta, presupposto di una indispensabilità politica che relega gli altri a seguaci o supportatori. Un’esperienza di lungo corso che rivendica ancora ruolo e delega da parte dei cittadini. Un bagaglio di relazioni che vengono esibite come strategiche nella conduzione della città. In sintesi una concezione professionale della politica.
Dall’altra una coalizione di onorevoli che scommette su una figura nuova, già avviata alla politica ma ancora in crescita, una politica che si basa per ciò sull’ascolto, su una ponderazione che dovrà essere dimostrata nei fatti, che non chiede agli altri dipendenza ma partecipazione, sapendo che comunque l’ascolto presuppone sempre un atto decisorio che non può essere collettivo ma basato sulla responsabilità di un gruppo. Una parte politica che dice di guardare ai giovani perché si rende conto che Gela è cresciuta in consapevolezza e che il bacino di coltura delle intelligenze può forse aiutare la città. Insomma una concezione della politica non professionale, perché la cura del bene pubblico non è una professione (altrimenti il sindaco si designerebbe per titoli e concorsi). In sintesi una politica che presuppone una dinamica di crescita che deve stare nelle possibilità di ogni generazione, perché facciano esperienza del bene comune, sempre e comunque.
Insomma, due concezioni della politica: entrambe forti e fortemente diverse, una politica del professionismo ed una politica dell’ascolto, la prima già completa in sé, la seconda con la voglia di crescere in un rapporto che non è, a priori, di dipendenza dell’elettorato.
E’ chiaro che i fatti ci diranno quanto di questi segni troverà conferma e quanto la città ne troverà giovamento.
Ma un ultimo segno, anche se debole, è emerso. Per la prima volta si è fatto cenno alle risorse economiche comunali, anche perché la crisi globale impone il tema. Anche se timidamente, almeno tra alcune élite politiche, avanza la consapevolezza che il futuro di Gela non può più basarsi sui grandi investimenti e le grandi opere. Quel tempo sta per finire. Occorre innovare con iniziative a costi medio-bassi ma che abbiano la caratteristica di innescare processi virtuosi che si autoalimentino, ossia che si autosostengano economicamente. Non basta, ad esempio, creare una infrastruttura per il parcheggio per sbandierare un obiettivo raggiunto, occorre accoppiare una politica del traffico e possibilmente una politica che, liberando la via principale, attivi iniziative di spostamento ecocompatibile che siano presupposto per nuove attività lavorative. Questi processi virtuosi vengono definiti “autopoietici”, ossia che si autosostengono. E Gela è stata per troppo tempo spettatrice di obiettivi raggiungibili e non mantenibili, tipici di una politica sprecona e disattenta.
Che tali consapevolezze comincino ad attecchire. Per il bene della città e dei giovani che vorranno onorarla.
Autore : Sebastiano Abbenante
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