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notizia del 29/06/2008 messa in rete alle 23:35:26
La politica manageriale
Tutti siamo stupiti dal crescente trend di consensi che la destra politica, movimenti autonomistici inclusi, ha recentemente confermato. Vari osservatori notano che la fase ideologica sia tramontata o che la politica, in quanto tale, sia stata spazzata via dall’interesse della gente comune. Fornire delle chiavi di lettura è un modo per farsene una ragione, ma ciò che stupisce e disorienta è che ciò avviene, in Italia e fino alle periferie provinciali, con un consenso trasversale alle classi sociali. Qualcosa di nuovo e di meramente “tattico” sembra inficiare questa tendenza, non spiegabile con la semplice mutazione consapevole dei consensi. Tenterò di proporre una chiave di lettura che mi sembra verosimile.
La seconda repubblica nacque contestualmente con il grande tema della “modernizzazione” del paese, dopo decenni di predominio democristiano, che aveva fatto della mediazione a tutti i costi e della moderazione come fine i suoi capisaldi. L’Italia era un paese che sentiva, a pelle, la necessità di alleggerirsi sotto tutti gli aspetti, alcuni connessi alla burocrazia, ai servizi, al mercato del lavoro, financo alla fruizione delle libertà collettive. Il nascente Partito (o Club per alcuni) di Forza Italia seppe interpretare questo tema coniando un termine dall’allusivo significato: “Azienda Italia”.
Per i più la locuzione era congruente con le attese di modernizzazione e di efficienza che la metafora evocava, effettuando un richiamo all’apparenza legittimo tra l’ipotizzata efficacia di una conduzione aziendale ed il modernismo che doveva applicarsi a quello che un tempo veniva indicato come Stato o meglio come Patria (come amavano chiamarla proprio i militanti di destra). Il leader maximo di questa dottrina è stato ed è l’attuale Presidente del Consiglio che sul piano dei valori aziendali può vantare successi oltre ogni ragionevole previsione. Gestire uno Stato come un’azienda significa avere una “vision” della cosa pubblica, vision personale (è prerogativa degli Amministratori Delegati di un’azienda) e non necessariamente condivisa e declinata come poteva esserlo un’ideologia, significa che l’efficacia dell’azione deve essere assicurata da una gerarchia funzionale al leader, che l’efficienza può essere perseguita anche sacrificando (in azienda si dice innovando) assetti e organizzazioni, ed infine il risultato viene misurato con indicatori di ritorno che non sono tipicamente sociali ma prevalentemente economici.
E’ chiaro che il raffronto non si ferma qui. Tutti i mezzi che supportano l’efficacia dell’azione nel mondo aziendale (e vi assicuro che esiste una vasta letteratura in merito) sono stati riversati nella gestione politica della cosa pubblica, invertendo quella che era la fase storica che aveva visto la politica fagocitare le logiche amministrative dello stato. Ora si è spettatori di una fase ove le metodologie aziendali fagocitano la politica. Ne cito solo una come rappresentativa di molte altre.
La tecnica del “framing” ben rappresentata da Gorge Lakoff nel libro “Non pensate all’elefante” fece vincere le elezioni americane ai conservatori portando George Bush alla Casa Bianca per una manciata di voti. Questa tecnica fu ben usata, in Italia, dalla coalizione di destra nelle battaglie politiche pre-elettorali e dai più confusa con l’antagonismo eccessivo tra avversari, più volte criticato dal Presidente Napolitano. In realtà era un modo per imporre, nei confronti dialettici, temi cari alla destra, accusando l’avversario e costringendo l’antagonista politico a discutere sui temi imposti dall’accusa, appunto facendo “framing” ossia definendo a priori la “cornice” su cui scontrarsi.
Bene, con questo esempio voglio dire che oggi i metodi aziendali hanno avuto il sopravvento sull’agone politico, veicolando la comunicazione tramite metafore che piacciono ai cittadini: “più sicurezza nelle strade”, “non mettere le mani in tasca agli italiani”, “una giustizia perennemente inefficace e settaria”, “le aziende che non aumentano la produttività solo perché il lavoro non è flessibile” e così continuando. Tutte metafore che fanno presa, in più amplificate dal condizionamento dei media che o fanno parte dell’editoria del leader o pongono un’attenzione spasmodica a non uscire da una comunicazione metaforica standard.
Tutto questo crea effetti mai sperimentati prima. E’ come se due grandi discipline si fossero unite insieme generandone un’altra: “La politica manageriale”. E’ come quando la bioingegneria fece passi da gigante semplicemente integrando conoscenze e strumenti dell’una e dell’altra disciplina, una medica e l’altra ingegneristico/strumentale.
Di fronte a questa macchina da guerra, non solo mediatica ma anche metodologica, i partiti tradizionali non possono granché, a meno che non si dotino di altrettanti mezzi metodologici. E’ come se il Partito Democratico, pur portando su di sé assunzioni di rischio riconosciute da tutti (mi riferisco alla semplificazione del quadro politico), andasse in guerra in costume da bagno di fronte ad un avversario armato di corazza e armi laser. Il quibus è quindi anche un problema di tattica, assolutamente ignorata dai più quasi fosse poco degno considerare anche questi aspetti.
Oggi la managerialità è entrata prepotentemente nella politica e non solo per renderla efficiente ma per prosciugarne tutta la linfa che fino ad ora l’aveva alimentata. La richiesta che viene dai cittadini è, guarda caso, in sintonia con la metafora manageriale, ma gli stessi non ne conoscono a fondo tutti gli effetti.
Questa, a mio avviso, è una cruda chiave di lettura che permea tutta questa fase storica e politica e che spiega i trend apparentemente inspiegabili.
Ecco, se l’opposizione del Partito Democratico si metterà al pari con le metodologie di coinvolgimento dei cittadini e contestualmente caratterizzerà il suo riformismo rendendolo comprensibile e desiderabile dai più, potrà forse sperare di riprendere in mano la situazione, altresì non recuperabile pensando solo che gli effetti nefasti di questo dirigismo abbiano a manifestarsi nel lungo periodo.
Autore : Sebastiano Abbenante
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