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notizia del 12/06/2006 messa in rete alle 21:40:02
Presunto astensionismo e cause perse
Costringere gli elettori a tre consultazioni, un mese dopo l’altro, è tutt’altro che una spinta ai fini di una partecipazione attiva del corpo elettorale. Le elezioni regionali hanno registrato un calo d’affluenza rispetto alle politiche ed è ragionevole prevedere un ulteriore calo in occasione dell’imminente appuntamento referendario. Parlare d’astensionismo, specie in una prospettiva comparativa con altre esperienze di democrazia occidentale dove si registrano sistematicamente precentuali molto più basse, non mi sembra il giudizio più appropriato, sebbene, rimanga un buon 40% di siciliani che ha disertato le urne. Si tratta, invero, di una percentuale considerevole, ma solo se la rapportiamo a quella logica, prevalsa nell’ultimo decennio di perenne transizione nazionale, tesa a privilegiare il voto d’opinione(rispetto a quel voto d’appartenenzaed a quel voto di scambio che avevano dominato nella cosiddetta prima repubblica.
E’ stato persino scontato fare leva su un sistema elettorale misto (maggioritario+piccola percentuale proporzionale) che esaltava, se non altro, la rappresentanza territoriale (il ceto politico uscito vincente dalle elezioni poteva, infatti, dimostrare di rappresentare legittimamente gli interessi dei rispettivi collegi uninominali). La nuova legge elettorale nazionale, pensata fondamentalmente per inibire il voto d’opinione, attraverso l’infelice artifizio delle liste bloccate (senza cioè voto di preferenza) porta con sé la legittimazione di un governo del paese che riceve una sorta d’investitura al buio da parte del popolo. Molto meglio la nuova legge elettorale siciliana che, da un lato, con un vero sbarramento al 5% recupera e conferisce la giusta valenza al voto d’appartenenza e, dall’altro, con il nome della preferenza accanto alla croce sulla lista provinciale in aggiunta alla possibilità del voto disgiunto al candidato a governatore permette una sopravvivenza del voto d’opinione. Ad esempio, c’era chi non si sentiva rappresentato dai due maggiori candidati: ed è stato un buon 5%.
Il consenso personale ottenuto da Nello Musumeci è particolarmente confortante qualora lo si volesse consolidare in un vero e proprio progetto politico. Trattasi di mera parentesi elettorale? Staremo a vedere. Per il momento, la differenza tra l’autonomismo di Alleanza Siciliana (che come lista s’attesta attorno il 2,5%: meno della metà del suo candidato) e quello di Lombardo e della sua lista Mpa in cui è confluita Nuova Sicilia (più del 12%), è tutta nell’agguerrito “apparato” sul quale solo il secondo può già contare: e ciò, beninteso, nella lotta politica non è un biasimo. Lo aveva capito Cuffaro, soprattutto. Il successo della lista di Lombardo è clamoroso e sotto gli occhi di tutti: quinta forza (in quanto a seggi) a livello regionale ed addirittura primo partito (in termini percentuali) a Catania e provincia (da solo raccoglie praticamente lo stesso consenso di tutto il centro-sinistra). A fronte di un tale exploit che ha interessato anche la nostra provincia (con un’affermazione che riflette i dati in percentuale a livello regionale), dispiace non poco che Federico, candidato locale di Mpa/Nuova Sicilia, non sia stato premiato col seggio. Il largo consenso ottenuto in questa campagna elettorale, così come in quella recente al Senato (dove Nuova Sicilia non era imparentata all’Mpa alleata invece con la Lega Nord), deve semmai incoraggiarlo a continuare per questa strada, superando la naturale delusione di chi arriva solo vicino a tagliare il traguardo (e per ben due volte di fila).
Rimane il primo partito isolano "Forza Italia" che subisce, però, un piccolo tracollo (meno 6 punti in percentuale rispetto al 2001); a ciò fa da contraltare il consolidamento del Udc, a cui devono aggiungersi i 6 seggi ottenuti dalla lista Arcobaleno (listino del presidente), mentre era ipotizzabile un calo di Alleanza Nazionale che paga solo leggermente (stando ai dati regionali) la rottura con Musumeci. Se nel complesso sommiamo le percentuali ottenute da Cuffaro e Musumeci (il cui elettorato è in larghissima parte ancora ascrivibile all’area di centro destra) ci si approssima a quel 59% ottenuto dallo stesso governatore nelle precedenti regionali del 2001: insomma, a livello di flussi d’opinione, complessivamente cambia poco (è nei rapporti di forza interni che qualcosa, con l’avanzata di Lombardo, inevitabilmente cambierà nel centro-destra).
Dall’altra sponda, il dato saliente è la scomparsa della sinistra radicale isolana che paga, francamente, una certa fiacchezza (poco mordente) ed un’oramai dolorosa e comprovata incapacità di mobilitazione (scarsa presa) dovuta all’eccessiva ambiguità ideologica rispetto ai concreti interessi locali ed a quei problemi quotidiani che costituivano l’antica vocazione: la decisione, peraltro, di unirsi in una lista dove non comparivano i rispettivi simboli (addio voto d’appartenenza), ne ha decretato il colpo di grazia (faccio solo l’esempio di un partito come Rifondazione comunista che esprime il Presidente della Camera dei Deputati e che non ha più nessun rappresentante all’Assemblea regionale siciliana contro i 3 della passata legislatura). I cespugli (che a Roma fanno la voce grossa) a Palermo avranno poca (per non dire nessuna) voce e la loro delusione è cocente: sarebbe un’immane sciocchezza negarlo. Così come credo sia abbastanza delusa la Borsellino, nonostante ovvie dichiarazioni che tendevano a nasconderlo nell’immediato post-scrutinio. Quella della sorella del compianto magistrato era una causa persa, invano sanzionata dalle primarie.
La Sicilia non è ancora terra in cui l’associazionismo possa esprimere un presidente della regione, specie quando i partiti di sostegno non sanno trasmettere nel territorio la concretezza di una tale candidatura. Non ha avuto l’effetto desiderato la presa di distanza da quel cognome (anche perchè se non ne parlava lei del fratello, ne parlavano lo stesso e fors’anche impropriamente gli altri), puntando sulla validità di un programma che, risultati alla mano, nelle province più numerose non può vantare risultati oggettivi. La Lista direttamente collegata, "Rita il mio impegno per la Sicilia", mostra il carattere d’improvvisazione che l’attraversava e presta il fianco all’inesorabile responso elettorale, rivelandosi un autentico flop. La lista “più vicina” al candidato (quella della fantasmagorica sinistra radicale siciliana di cui abbiamo detto) "Uniti per la Sicilia" supera a malapena la soglia di sbarramento, ottenenendo solo 4 seggi. Entrambe le liste pagano un chiaro deficit in termini d’appeal (politico) dei propri candidati. Ne è testimonianza il sostanziale mantenimento della "Margherita" (che non credo abbia molte più sezioni degli ex partiti comunisti, ma capace, invece, di esprimere candidati che sanno pescare anche fuori) e la crescita dei Ds che (aiutati da una legge elettorale ampiamente voluta), in Sicilia, raccolgono a braccia aperte quella che era una presumibile fuga di consenso dagli ex-compagni del passato. La coalizione di centro-sinistra paga una campagna di demonizzazione dell’avversario, agitata proprio da parte di quelle forze politiche che hanno alzato il livello dello scontro e della polemica per poi raccimolare pochissime preferenze, puntando ad una quasi delegittimazione del voto (dall’altra parte c’è la mafia, il clientelismo, il consenso organizzato, ecc. ecc.) per poi stupirsi (con tanto di solite ed inutili rivendicazioni) di come i voti vanno altrove e di come 4 conterranei (sfiduciati oramai cronici) su 10 non vanno più nemmeno a votare. Il centro-sinistra in Sicilia non impara la lezione, o meglio, non la vuole imparare. Nella precedente elezione regionale, Leoluca Orlando fece, in proporzione, addirittura meglio della stessa Borsellino con uno scarto addizionale a favore di più del 6% rispetto alla propria coalizione e si dissero le stesse cose, si usarono le stesse argomentazioni, si riproposero gli stessi obiettivi nell’immediato futuro.
La Borsellino prende più voti di Orlando? Si, ma non sottovalutiamo completamente i voti ottenuti dal centrista D’Antoni (allora più vicino al centro-destra, oggi ascrivibile all’area di centro-sinistra) in quelle consultazioni. E poi, sarà pure che “la strada dell’apertura, del cambiamento e del rinnovamento è stata tracciata” così come più d’uno ha di nuovo dichiarato a caldo (come 5 anni or sono), ma come è possibile che, accanto la Borsellino, mi pare, la sinistra “riformista” non vanti nessuna donna eletta? Solo due donne elette e, per giunta, nel “conservatore” centro-destra? La candidatura di Scicolone, Segretario locale della Cgil, com’è noto, ha deluso le aspettative generate soprattutto dall’intervenuto appoggio del Sindaco di Gela (a differenza dei segretari della Cgil di Palermo, di Siracusa e di Agrigento che approdano, invece, al Palazzo dei Normanni). Altra causa persa? Ovvio. Naturale. Ho già detto in questo giornale cosa penso della legalità e del suo travisamento nel legalismo. Non voglio aggiungere altro e mi limito, oggi, ad osservare che i due “baluardi locali della lotta per la legalità”, il candidato Scicolone (segretario del più grosso “patronato” locale) ed il primo cittadino Crocetta (sindaco non designato dalla Maria a cui si dice devoto, bensì eletto da larghe sacche di cittadini che volevano il cambiamento, “rinascimentale” o meno), hanno ottenuto a Gela decisamente meno voti rispetto a Federico e di gran lunga meno voti rispetto a Speziale: la bocciatura da parte dell’elettorato è, dunque, inequivocabile. Se il presidente del consiglio comunale non compie il salto per poco, l’onorevole Speziale si riconferma ancora una volta deputato dell’Ars. E se nelle precedenti elezioni regionali, per sua stessa ammissione (riproponendosi un impegno per un cambiamento della legge elettorale che è avvenuto di fatto), la spuntò quasi per una serie di meccanismi elettorali favorevoli, questa volta Speziale sfonda letteralmente.
La candidatura di Scicolone in un’altra lista per protesta contro proprio la candidatura di Speziale, non ha fatto altro che ricompattare una classe dirigente diessina locale che da un bel po’ di tempo e fino all’altroieri, denotava un notevole fermento. Gli strascichi in giunta tra assessori dei Ds ed il Sindaco, testimoniano una chiara frattura, di non facile ricomposizione. Speziale ha avuto l’indiscusso merito di mantenere un lessico politico per tutta la campagna elettorale, ma il suo trionfo e quello del suo partito (i Ds sono il primo partito a Gela toccando percentuali fino ad ieri quasi impensabili) non si spiegherebbe senza il convinto appoggio della dirigenza e della base militante.
Questa volta, a Gela, per qualcuno non si è fatto solo tifo ai comizi. A prescindere dalle simpatie per questo o quel candidato, ciò è in ogni caso da salutare favorevolmente. Per il sindaco ci sono delle attenuanti, è vero: mi riferisco alla mancanza del simbolo dei Comunisti Italiani nella lista provinciale, il protrarsi della polemica sul caso Morinello, fra tutte. Ma il dato elettorale è davvero imbarazzante e si tratta di un imbarazzo reiterato se pensiamo alle polemiche sulle politiche. D’altra parte, proprio perché forti anche del riscontro elettorale dei Ds al Senato e dell’assessore Donegani in particolare alla Camera dei Deputati (tanto discussa quanto legittimata dal voto), appare inevitabile una candidatura diessina alle prossime consultazioni comunali, così come mi sembra di aver percepito nelle dichiarazioni post-elettorali: difficile capire, ad oggi, cosa ne pensano in proposito il presidente della provincia Collura e quelli della Margherita (che a livello locale appare ancora dilaniata al suo interno). Cionondimeno, un certo sentimento diffuso mi sembra d’avvertirlo: mi sa tanto che il crocettismo non vada più per la maggiore in questa città.
Autore : Filippo Guzzardi
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