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notizia del 23/01/2010 messa in rete alle 20:38:53
Una politica che non fa politica
Le prossime elezioni a sindaco di Gela, né paese, né metropoli, ripropongono convinzioni raramente sottoposte a riflessioni critiche. Eppure si parla di candidati, accordi più o meno visibili, tattiche, preferenze ed ostracismi, alleanze ed avvertimenti. Tutto questo gran concertare si muove in un sostrato di convinzioni che col tempo attecchiscono e che entrano nel parlare comune e nella convinzione diffusa. Proviamo a svelarne qualcuna.
E lo facciamo con l’unico intento di sottrarla alle prassi consolidate, nella vigilia pre-elettorale cittadina, e di salvare qualche definizione che in campagna elettorale può presumibilmente aiutarci.
Una convinzione diffusa è che la politica e l’amministrazione della città siano attributi appartenenti ad una medesima categoria socio-comportamentale. E’ inveterato l’uso, che si fa nel parlare comune, di non distinguere l’azione politica dall’azione amministrativa. Entrambe sono, per l’elettore, indistinguibili, anzi interrelate.
In realtà, a ben riflettere, entrambe operano su piani differenti, con responsabilità differenti, con fini differenti, anche se complementari, e con mansioni differenti, cancellate le quali tutto si assomiglia e tutto diventa anche più semplice, ove la semplicità porta poi alla falsificazione della rappresentazione del reale.
L’amministrazione della cosa pubblica presuppone regole e norme, la politica presuppone principi. L’amministrazione presuppone esperienza e competenze, la politica una vision e un’idea di società. L’amministrazione richiede valutazioni tra vantaggi e risorse disponibili, la politica richiede un’idea di progresso ed un’idea di felicità. L’amministrazione si serve di pianificazioni e protocolli, la politica si serve di etica e giustizia sociale. L’amministrazione trova vantaggio nell’organizzazione dei processi di decisione e di attuazione, la politica trova alimento dal consenso e dalla partecipazione. L’amministrazione eroga servizi collettivi, la politica ha in gestazione leggi e normative.
Si potrebbe continuare, ma già si percepisce che i due piani hanno ambiti distinguibili seppur complementari. Cosa succede invece nella realtà? Il politico usa i principi per gestire risorse materiali e l’amministratore opera con le risorse per ricercare consenso, quello individuale, creandosi una commistione di ruoli e di obiettivi che penalizzano i fini nobili delle due differenti categorie socio-comportamentali. La politica si declassa nell’allocazione strumentale delle risorse non per conseguire vantaggi collettivi, generalmente riconosciuti, ma per competere con le amministrazioni, invadendo il loro campo, declassando le competenze, snaturando la missione di chi vi opera, generando, in una parola, una “politica che vuole amministrare” invece di una politica che presidi principi ed indirizzi e progetti il modello di società. La sanità, la macchina della pubblica amministrazione, le istituzioni di controllo, i vari assessorati a tutti i livelli vengono contagiati da tale commistione. La politica non progetta più la società, la occupa, ne decide la spartizione delle risorse materiali spingendosi fino a decidere sui destini dei singoli e sulle opportunità da attribuire. La buona amministrazione viene pertanto sottratta alle sue regole, che sono basate sull’efficienza delle risorse e l’efficacia dei fini e muta anch’essa, perde la sua intrinseca propensione alle competenze e diventa strumento di reclutamento e consenso.
La politica invece perde la sua contiguità con l’interesse collettivo e, ben che vada, si ancora alla pura realizzazione di opere ed infrastrutture senza assicurarne la fruizione, secondo un modello di bene comune: a cosa serve costruire parcheggi nella nostra città se non si sviluppa una politica della mobilità sostenibile e salubre? A cosa serve cementificare intere zone periferiche cittadine senza una politica del recupero urbanistico dei centri abitati e della incentivazione di aree comuni verdi o attrezzate? A cosa serve parlare di sviluppo industriale senza che si siano creati i presupposti per un rapporto stabile e continuato con il maggiore insediamento industriale di Gela, affidando invece tale rapporto ad effimeri interventi in consiglio comunale? Insomma una politica che non fa politica e che invece prevarica l’amministrazione della cosa pubblica, sostituendosi ad essa e stravolgendola.
D’altra parte ci si domanda: quali sono i luoghi ove la politica si confronta con i cittadini?
I circoli dei partiti ormai non vedono più un confronto dialettico che ponga le basi di un’analisi sociale; i rappresentati eletti dal popolo sono sempre più sfuggenti e presi da tatticismi sopraffini; le piazze da tempo non sono più un luogo di discussione sul sociale; i gazebo, ultima invenzione, servono solo per una comunicazione unidirezionale verso il cittadino. Forse i social network: ma risultano ancora limitativi per un confronto analitico e di ampia partecipazione verticale tra i ceti sociali. Sembra che la politica si sia isolata e non si alimenti più di contributi democratici.
Il timore è che gli appuntamenti elettorali, quale Gela si accinge ad onorare, confermino tale degenerazione, pur in presenza di una realtà ricca di spunti, di idee ed energie. Una politica che vuole essere amministrazione di risorse materiali e non di idee
Autore : Sebastiano Abbenante
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