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Corriere di Gela | Referendum/1: Gela risponde assente (nonostante gli spot dei parlamentari)
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notizia del 19/06/2011 messa in rete alle 19:03:21
Referendum/1: Gela risponde assente (nonostante gli spot dei parlamentari)

Gli italiani hanno votatosui 4 quesiti referendari. Superato il quorum richiesto con un'affluenza pari al 54,8%. Tutti i quesiti hanno visto la vittoria dei SI attorno il 95%. Senza girarci troppo intorno, il vero ostacolo era il quorum: oltrepassato il quale si poteva prevedere una vittoria financo schiacciante dei SI, puntualmente verificatasi. Non a caso il Presidente del Consiglio, anche attraverso la longa manus mediatica costituita da una nutrita informazione di bandiera, non aveva nascosto l'appello ad astenersi rivolto agli italiani. Così non è stato e se consideriamo che 3 provvedimenti abrogati (sui 4 proposti dai quesiti) sono stati emanati dalla maggioranza parlamentare che sostiene l'attuale governo, si può dire che la maggioranza reale nel paese ha mandato un altro chiaro segnale, dopo le recenti amministrative, al capo del governo ed ai suoi ministri.

A Gela, diventa irrilevante se in buona fede o meno, ben 3 deputati del Pd, pur non riguardando il quesito lo specifico caso della provincia di Caltanissetta, con il complice silenzio del Presidente della Provincia, non si sono sottratti a tale tentazione, con l'aggravante di esserci caduti attraverso spot a pagamento. Pensare che il cittadino abbia sbagliato a non esprimersi su un quesito che non lo riguardava da vicino, è materia opinabile, ma che a fronte di una propaganda quotidiana dei tre ed il “no comment” del quarto, all'appello abbiano risposto soltanto il 43,3%, è lontano dall'essere un risultato gratificante. Dopo i gran paroloni, correggere il tiro, abbassare i toni e moderare i termini, all'indomani dell'esito referendario, è fin troppo agevole. Come a Gela, al di sotto del 50% anche Niscemi (40%), Riesi (44,%), Marianopoli (45,%) e Villalba (49%).

Grazie a questi comuni la provincia nissena non raggiunge il quorum. A preoccupare è l'apatia di Gela anche nei confronti di una questione che rischiava di intaccarne ulteriormente l'integrità territoriale, già ripetutamente violata in passato, fino a pregiudicarla definitivamente, con tutta probabilità. Un buon 57% dei gelesi si è assolutamente disinteressato sull'eventualità di centrali nucleari in Italia, con il sito di Gela tra quelli già individuati e passibili di essere scelti. E' un fatto grave e preoccupante.

Un altro, ennesimo e palese avvertimento lanciato a tutta la classe politica, quella che dovrebbe esercitare il diritto di elettorato passivo per elaborare soluzioni e non per bivaccare alle spalle dei cittadini. Gela Provincia, per fare un comodo esempio, sarebbe una battaglia reale e, se vinta, una reazione parimenti vera, senza spot e slogan ad effetto, a tante criticità e questioni: compreso il servizio idrico integrato. Al cittadino “ignorante” puoi chiedere di fare e porsi delle domande – già questa circostanza convincerebbe qualcuno a salutarla, dalle nostre parti, come una rivoluzione culturale – ma pretendere che si dia pure le risposte da solo azzarda il grottesco ancor più che apparire banalmente paradossale.

Ma torniamo al dato nazionale.L'unico effetto certo di un referendum abrogativo, in caso di raggiungimento del quorum e di una vittoria dei SI, è quello di espellere dall'ordinamento giuridico vigente la disposizione legislativa richiamata nel quesito. Precisato che di inviti referendari caduti nel vuoto (vedi finanziamento pubblico ai partiti, privatizzazione RAI, ecc. ecc.) la casistica è folta, un referendum abrogativo può altresì stimolare il Parlamento ad intervenire sulla materia oggetto del quesito referendario, allorché abrogando parzialmente o totalmente la norma in questione si crea nell'ordinamento giuridico un vulnus, cioè un vuoto legislativo. In quel caso il Parlamento è sollecitato a colmare la lacuna ovvero a non colmarla affatto, conformemente all'indirizzo che il cittadino ha voluto imprimere. E' sicuramente il caso del Nucleare.

Per la seconda volta gli italiani sono andati alle urne per esprimere la propria contrarietà, intimando il Parlamento e l'Esecutivo su cui ripone la “fiducia”, a non intervenire più al riguardo. Berlusconi ha recepito appieno il messaggio, incassandone l'invito allegato, come chiaramente si evince dalle sue dichiarazioni. Piacerà ancora meno al “cavaliere”, ma il cittadino italiano non vuole neppure deroghe al principio di legalità, vale a dire il primato della legge, a cui devono sottostare tutti: governanti e governati. Gli italiani non si saranno espressi sulle “leggi ad personam” presunte o non, ma di sicuro hanno detto NO a privilegi e scudi giudiziari come il Legittimo Impedimento. Ed hanno detto NO ai profitti garantiti sull'acqua, a prescindere se a gestire il servizio idrico integrato sia un ente pubblico, privato o misto (in parte pubblico ed in parte privato). Su quest'ultimo aspetto, ossia la gestione dei servizi locali di rilevanza economica, invero, il discorso cambia e merita un approfondimento.

Ci riferiamo, cioè, al 1° quesito riportato sulla scheda rossa.
Se – e qui ci rituffiamo nella nostra realtà – l'intento era chiedere al cittadino se voleva esprimersi con un SI o con un NO sulla gestione pubblica di un servizio locale come l'acqua, ad esempio, non ci si limitava a chiedere l'abrogazione solo della legge successiva, ma anche della stessa legge che ha permesso la gestione “privata”, come nel caso di Caltaqua nella provincia nissena. La legge che ha suggerito all'ATO Idrico di Caltanissetta l'affidamento in provincia a Caltaqua è rimasta di fatto invariata, anzi a seguito della cancellazione dell'art.23 bis della Legge 133/2008 e successive integrazioni, è tornata ad essere l'ultima disciplina in vigore.

Che Caltaqua non avesse assolutamente paura del referendum, lo ha intuito anche un analfabeta quando alla vigilia del referendum il gestore ha minacciato il pagamento al 100% delle bollette, anche nel periodo in cui l'acqua era “non potabile” per ordinanza del Sindaco. La disciplina abrogata attraverso referendum disponeva che, ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione poteva essere affidata a soggetti privati, ma non escludeva in via ordinaria l'ipotesi di affidamento a società miste (60% in mani pubbliche, 40% socio privato da selezionare attraverso gara ad evidenza pubblica), ovvero l'affidamento in deroga a società cosiddette in “house” (tipo Ghelas Multiservizi, per intenderci).

In altri termini, si imponeva ai 64 ATO provinciali che in Italia non avevano ancora proceduto all'affidamento (l'ATO Idrico di Caltanissetta aveva invece già “dato”) di affrettarsi attraverso gare ad evidenza pubblica che, nel caso di società in house o miste selezionate come affidatarie, rappresentavano anche la procedura ordinaria per l'acquisto di beni e servizi e, guarda un po', per l'assunzione di personale. Con la vittoria dei SI non si è creato alcun vuoto legislativo, ma si è tornati alla precedente disciplina, sulla base della quale alcuni ATO provinciali, come quello di Caltanissetta, hanno già affidato la gestione del Servizio Idrico Integrato provinciale a privati in ATI, quali “Acque di Caltanissetta SpA”, altrimenti nota come Caltaqua.

Sulla base di questa disciplina, resta pertanto salva la facoltà dei 64 ATO rimasti di procedere un domani, se lo ritengono opportuno e, fino a prova contraria, ai sensi di legge, all'affidamento anche ai privati. Chi, dunque, nell'invogliare i cittadini a votare il SI sulla scheda rossa come se fosse esclusivamente a favore della gestione pubblica dell'acqua, ha caricato politicamente il quesito, attraverso una forzatura ai limiti della pura mistificazione.


Autore : Filippo Guzzardi

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