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notizia del 09/01/2010 messa in rete alle 18:25:03
Alla ricerca della sinistra perduta
Il passaggio ad una fase post-ideologica in cui i partiti di massa spersonalizzati hanno lasciato il posto ad aggregazioni di individualità spiccate con un proprio seguito più o meno consolidato, in termini di consenso derivante da preesistenti apparati ovvero dall'abilità a guadagnarsi un prestigio mediatico, ha avuto un impatto devastante laddove l'ideologia rappresentava il vero collante: vale a dire in quell'area del sistema partitico italiano che oggi - più per comodità che per altro – reiteriamo a definire centro-sinistra.
Con il Pd che rimane in sospeso tra l'essere un partito del terzo millennio a vocazione governativa ed il permanere all'opposizione come ai fasti del secolo scorso, unitamente ad una sinistra radicale che annaspa nell'extra parlamentarismo, di quello che era il Pci non è rimasto nulla, o al massimo solo cocci. La strategia veltroniana di eliminare dalle assemblee elettive l'estrema sinistra si è rivelata tanto vincente quanto infelice (quasi un paradosso) in una logica che non è alla fine approdata al bipartitismo. Nel bipolarismo rimasto in vita, per quanto ristretto, tale scelta ha finito addirittura per rivoltarsi contro lo stesso Partito Democratico, giacché senza un soggetto politico unitario alla sua sinistra il partito di Bersani a Roma e di Lupo a Palermo palesa ancora evidenti difficoltà nel capire chi é (e, di conseguenza, cosa fare).
L'assenza della sinistra ideologica nei parlamenti europeo, italiano e siciliano, è solo in parte «colpa di Walter» e dello «sbarramento» nei rispettivi sistemi elettorali: gran parte della responsabilità è riconducibile alla litigiosità di chi ha mantenuto la radicalità delle proprie posizioni, prendendo le distanze da tutti, compresi i propri «simili». Una sinistra unita, proprio al di fuori del Pd, avrebbe superato qualsiasi soglia di sbarramento, rappresentando – a torto o a ragione – l'ultimo argine ideologico alla deriva trasformistica di quella che nell'immaginario collettivo si vorrebbe far passare come «terza repubblica» presupponendo che ci sia stata nel frattempo una «seconda repubblica». In realtà, ciò che accade a Palazzo D'Orleans e a Palazzo dei Normanni ci fa ripiombare, anche nella forma, in piena «prima repubblica» e tale contagio, siamo pronti a scommetterci, si allargherà fra un po' anche a Palazzo Chigi, Palazzo Madama e Montecitorio.
Il bipolarismo non ideologico, inutile negarlo, può mantenersi in vita solo grazie a scelte di opportuno posizionamento nella divaricazione partitica, come quella di Di Pietro e dell'IdV la cui presenza nel centro-sinistra – rivitalizzata guarda caso in periodo elettorale – è dettata esclusivamente dall'anti-berlusconismo; ma, alla stessa maniera, può essere sparigliato in qualsiasi momento da altrettante scelte di opportunità politica come quella del presunto appoggio del Pd siciliano al terzo governo Lombardo (tre giunte in un anno e mezzo, alla faccia della stabilità), senza il quale altrimenti dovremmo parlare a rigore di un governo di minoranza (Mpa-Pdl sicilia-Alleanza per l'Italia) da prima repubblica – dalla quale a Costituzione invariata non siamo mai usciti – in assoluta negazione del bipolarismo e dell'alternanza.
Che si tratti di un appoggio (esterno o interno cosa cambia?) quanto meno di una parte del Pd siciliano è quello che, soprattutto, inevitabilmente appare agli occhi dell'elettore siciliano, il quale giocoforza stenta a capire il perché il Pd abbia sentito il bisogno di specificare, financo nell'ordine del giorno dell'assemblea regionale, di essere disposto ad un confronto col governatore isolano sul terreno delle riforme, quando ciò dovrebbe essere scontato per un partito che si vanta di avere impresso il termine riformismo nel proprio dna.
Autore : Filippo Guzzardi
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