1 2 3 4 5
Corriere di Gela | Festa del lavoro, ma quale lavoro?
Edizione online del Periodico settimanale di Attualità, Politica, Cultura, Sport a diffusione comprensoriale in edicola ogni sabato
notizia del 05/05/2013 messa in rete alle 17:59:51

Festa del lavoro, ma quale lavoro?

Il primo maggio di ogni anno, come da copione, si celebra la “festa del lavoro”. E’ l’occasione per qualche pomposo discorso, uguale a quello dell’anno scorso e degli anni precedenti, sull’importanza del lavoro, sulla necessità di politiche del lavoro, eccetera. Come ogni anno viene intervistato il presidente dell’Inail, che ci comunica la lenta diminuzione degli infortuni e le misure adottate e da adottare per la sicurezza dei lavoratori, I sindacati organizzano un “gran comizio nazionale” e comizi regionali per ripetere, a loro volta, le stesse cose che hanno detto negli anni passati.

Quest’anno, però, l’Istat ci dice che la disoccupazione è al 38%, cioè che quattro persone su dieci sono disoccupate, non hanno lavoro, non hanno di che vivere se non appoggiandosi alle famiglie di origine, anch’esse però appesantite dalla lunga crisi economica. Per loro, cosa ci sarà da festeggiare? Sì, perché la “festa del lavoro” è stata istituita per ricordare, oltre all’impegno dei sindacati, i traguardi raggiunti dai lavoratori. E se il traguardo è che ci sono quattro disoccupati ogni dieci italiani, mi sa che quest’anno c’è proprio poco da festeggiare. In quanto all’impegno dei sindacati, un sondaggio pubblicato la scorsa settimana dall’Agcom spiegava che la fiducia nei confronti dei sindacati è scesa in undici anni, dal 2002 al 2013, dal 72% al 14%: oggi solo un italiano su dieci ha fiducia nei sindacati.

Se quindi i disoccupati hanno poco da festeggiare, possono festeggiare coloro che ancora riescono a mantenere un posto di lavoro, magari col timore che da un giorno all’altro possa venir meno. Tra essi, i numerosi dipendenti dei vari uffici pubblici, dove il “fancazzismo” è spesso diventato filosofia di vita. Intendiamoci, non facciamo di tutta l’erba un fascio: nei vari uffici pubblici si trovano persone gentili, efficienti e competenti, ma per ognuno di questi ce ne sono almeno altri due che “babbìano”, allungano i tempi delle pratiche, complicano la vita dei cittadini, se la prendono comoda ogni oltre ragionevole limite. E magari fanno anche parte di qualche sindacato, per non rischiare di perdere i “diritti acquisiti” (di doveri verso gli utenti, chissà perché, non parlano mai…).

Naturalmente il primo maggio è la festa dei lavoratori “dipendenti”. I lavoratori autonomi, gli artigiani, i commercianti, non sono abilitati a festeggiare il lavoro, perché per definizione sono sempre stati considerati vacche da mungere, i cosiddetti “padroni” (termine ormai in disuso, per fortuna) che dovevano arricchirsi sfruttando il lavoro degli altri. In molti casi è stato così, certamente, ma oggi gli artigiani, i commercianti, i piccoli imprenditori chiudono le loro aziende con un ritmo molto più veloce del decremento occupazionale che con la loro crisi contribuiscono ad alimentare. Sono alla frutta, grazie anche alle politiche recessive dissennate degli ultimi tempi. Ma loro no, non possono festeggiare il primo maggio, loro non fanno parte della categoria dei “lavoratori”…

L’unica eccezione l’ha fatta la Chiesa cattolica, che nel 1955, per bilanciare la festa “comunista” del primo maggio, decise che festeggiare San Giuseppe il 19 marzo non era sufficiente, ed istituì anch’essa il primo maggio, la festa di “San Giuseppe lavoratore”: l’unico artigiano che, a pieno titolo, può festeggiare il primo maggio pur non essendo dipendente. E beh, del resto, lui ha aderenze in alto loco… Perché per definizione sono sempre stati considerati vacche da mungere, i cosiddetti “padroni” (termine ormai in disuso, per fortuna) che dovevano arricchirsi sfruttando il lavoro degli altri. In molti casi è stato così, certamente, ma oggi gli artigiani, i commercianti, i piccoli imprenditori chiudono le loro aziende con un ritmo molto più veloce del decremento occupazionale che con la loro crisi contribuiscono ad alimentare. Sono alla frutta, grazie anche alle politiche recessive dissennate degli ultimi tempi. Ma loro no, non possono festeggiare il primo maggio, loro non fanno parte della categoria dei “lavoratori”…

L’unica eccezione l’ha fatta la Chiesa cattolica, che nel 1955, per bilanciare la festa “comunista” del primo maggio, decise che festeggiare San Giuseppe il 19 marzo non era sufficiente, ed istituì anch’essa il primo maggio, la festa di “San Giuseppe lavoratore”: l’unico artigiano che, a pieno titolo, può festeggiare il primo maggio pur non essendo dipendente. E beh, del resto, lui ha aderenze in alto loco…


Autore : Giulio Cordaro

» Altri articoli di Giulio Cordaro
In Edicola
Newsletter
Registrati alla Newsletter Gratuita del Corriere di Gela per ricevere le ultime notizie direttamente sul vostro indirizzo di posta elettronica.

La mia Email è
 
Iscrivimi
cancellami
Cerca
Cerca le notizie nel nostro archivio.

Cerca  
 
 
Informa un Amico Informa un Amico
Stampa la Notizia Stampa la Notizia
Commenta la Notizia Commenta la Notizia
 
㯰yright 2003 - 2024 Corriere di Gela. Tutti i diritti riservati. Powered by venturagiuseppe.it
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103 104 105 106 107 108 109 110 111 112 113 114 115 116 117 118 119 120