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Corriere di Gela | Il Pd come la nazionale di calcio
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notizia del 06/07/2008 messa in rete alle 17:56:18
Il Pd come la nazionale di calcio

La nostra Nazionale è uscita dai gironi dell’Europeo pur avendo fatto sperare dopo la momentanea ripresa con la Francia. La successiva sconfitta con la Spagna ha sanzionato l’eliminazione di una squadra che, pur impegnandosi, non eccelleva come nei trascorsi mondiali di calcio. Le prime ricadute della sconfitta hanno ovviamente messo in discussione Donadoni, ma questo non ha stupito i più. Gli Italiani sono abituati a chiedere la testa di chi non asseconda le aspirazioni di un popolo che investe nel calcio più di quanto investa nella ricerca e innovazione. La vera novità sta nell’ipotizzare il ritorno di Lippi, che assicurò il massimo successo alla nostra nazionale. Un ricorso al passato, certamente rassicurante e ancora una volta con una soluzione ricercata nelle virtù dell’uomo anziché nell’analisi delle lacune e nella correzione del metodo. Per il calcio forse può andar bene così.
La dèbaclé siciliana del Partito Democratico e quanto sta succedendo ai vari livelli: nazionale, regionale e per riflesso a livello cittadino, ha attinenze sconcertanti con l’evento calcistico, quasi a dimostrare che gli italiani trattano la politica come trattano il calcio e probabilmente i vari aspetti della vita pubblica. I numeri delle recenti elezioni provinciali non danno adito a fraintendimenti e peraltro confermano il trend al ribasso delle regionali per un partito che sembrava fosse l’unica vera novità del panorama italiano, tanto da aver fatto parlare di terza repubblica.
Qual è l’atteggiamento che si sta profilando all’interno dei gruppi dirigenti e dei rappresentanti influenti del partito? Ne più ne meno confrontabile con quello calcistico: mettere in dubbio la leadership veltroniana, azzerare i vertici della leadership regionale, proporre un ulteriore ringiovanimento nei posti chiave del partito, in sintesi perorare l’assunzione di responsabilità dell’attuale leadership a tutti i livelli. Certo, errori ne sono stati compiuti a giudicare le candidature familistiche o di vicinanza che certo non sono passate inosservate, nuove nel volto ma già vecchie per i riferimenti politici. Volendo, peccati veniali per un partito che si costituisce così rapidamente, ma grossi errori di comunicazione per eventi elettorali che su questo si basano.
Bene, un’analisi del voto che produca richiami all’assunzione di responsabilità sugli esiti, può certamente starci, non foss’altro per un principio di etica politica. Ma questa non è parte dell’analisi è solo una reazione legittima se non ovvia. L’analisi, che non può considerare solo fattori locali, non è stata neanche accennata e non si vedono tracce di tentativi che identifichino gli errori di strategia che ha condotto il Pd verso questo pericoloso trend.
Va subito detto che non devono spaventare le migrazioni di “notabili” che escono dal partito approdando a formazioni non ben definite o da rifondare tramite nuove alleanze. Questo era prevedibile come effetto fisiologico del “bradisismo” di un partito che nasce con una vocazione strategica tale da influenzare l’arco parlamentare italiano. E forse è anche un bene per il lungo periodo.
Altro deve preoccupare molto di più. Oggi il PD non ha saputo imporre il proprio “piano di comunicazione”, in un momento in cui la coalizione al governo ha consolidato i suoi strumenti di comunicazione, le sue metafore, i suoi media, ed il rinforzo ai significati. Il PD, a tutti i livelli, è deficitario di una comunicazione efficace verso l’elettorato, si potrebbe dire che non possiede la “velocità” con cui la coalizione di destra “bombarda” il paese di proposte di riforma che stanno segmentando l’Italia in zone prospere e zone depresse. Il PD non ha saputo caratterizzare il proprio riformismo come “riformismo sociale” e non si è speso neanche per comunicarlo in forma semplice ed efficace. Il cosiddetto governo ombra ha un senso se incalza e comunica un riformismo alternativo a quello del governo svelando tutte le ricadute ed i benefici. Senza colmare questo aspetto sostanziale non c’è partita, ogni tentativo di ricercare nei vecchi leader o nella costituzione di correnti una soluzione risulta un tentativo parziale di uscire dal guado.
Anche per il Pd si può chiedere di far ritornare Lippi ad allenare la squadra, ma non sarà l’allenatore blasonato a riscattare i consensi perduti, senza capire che oggi, più di ieri, è in atto una guerra di comunicazione pervasiva e spietata rispetto alla quale il consenso, sia consapevole che blandamente consapevole, è l’obiettivo irrinunciabile, a maggior ragione in un momento in cui il cittadino più che guardare alla propria condizione aspira e si identifica con quella dei pochi fortunati.


Autore : Sebastiano Abbenante

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