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Corriere di Gela | La sindrome geloa
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notizia del 19/02/2012 messa in rete alle 17:41:44
La sindrome geloa

La recente polemica sul viaggio a Bruxelles dei nostri esponenti politici gelesi potrebbe essere relegata ad un evento di costume e alla solita polemica cittadina sui costi della politica. Pertanto meriterebbe quell’attenzione passeggera che si presta agli eventi comportamentali anziché ai processi sociali in atto. Invece tale evento è un formidabile paradigma per ribadire un’analisi, constatare un assetto comportamentale e infine decifrare qualche causa che lega la città a se stessa, rallentandone l’evoluzione.

Il fatto è di per sé canonico.

Un gruppo di consiglieri ed esponenti politici, che copre tutto lo schieramento partitico cittadino, accetta un invito per una trasferta conoscitiva al Parlamento Europeo, trainato dalla presenza dell’ex sindaco Rosario Crocetta che a Bruxelles fa gli onori di casa, esercitando il ruolo di parlamentare europeo, peraltro apprezzato e conosciuto per aver innalzato la soglia di attenzione sui temi della malavita organizzata.

La comitiva parte, partecipa alle visite guidate, alterna convivialità a momenti di approfondimento e, alla fine della trasferta, pubblica le foto su un social network. Da qui si scatenano le recriminazioni ed i sospetti di un’ampia platea di concittadini che leggono, nell’evento, l’ennesimo sberleffo della “politica” che vive su un pianeta ben diverso da quello frequentato dal popolo rappresentato. Questa la sequenza generale degli eventi.

Di per sé canonica, quasi virginale nella sua sequenza fattuale. Eppure i fatti celano un pensiero cittadino che si ripete, coinvolgendo sia i rappresentanti politici che i rappresentati.

Vediamo un po’ i contorni e traiamone delle piccole lezioni.

Pare che tali visite guidate siano pagate dal bilancio del Parlamento Europeo e su questo c’è da crederci. Pare corretto che il Parlamento sostenga la propria istituzione facendola conoscere “de visu”. In una società civile, occidentale e laica per giunta, è del tutto normale, anzi apprezzabile, destinare dei fondi per promuovere la conoscenza delle istituzioni comunitarie. Sembrerà un superfluo, abituati come siamo alla concretezza indotta dall’austerità imperante, ma mantenere attiva un’azione immateriale che incida sulla consapevolezza dei nostri rappresentanti, circa le sovrastrutture politiche che ci rappresentano, non è cosa affatto banale. Ben vengano le occasioni di consapevolizzazione, anche se hanno un costo, sono investimenti a lungo termine che possono avere un valore. Anzi, nel caso di Gela, assumono un significato ulteriore. Ho sempre sostenuto che la nostra cittadina è città chiusa, arroccata nel proprio particolare, nel proprio commercio, nel proprio ritorno immediato e nella sublimazione della gelesità (attenzione “sublimare” è un atto di eccessività). Gela progredirebbe più velocemente se si aprisse, se acquisisse metodi ed iniziative esterne a Gela, in altre parole si contaminasse. Purtroppo molte corporazioni vogliono che Gela si arrocchi e difenda ciò che non esiste più.

Mi capitò, in un articolo, di affermare provocatoriamente che il sindaco di Gela dovrebbe svolgere un ruolo di ministro degli esteri della nostra cittadina, appunto a significare il tentativo di aprirla a prospettive nuove che possono venire dall’esterno, in altre parole promuovere la città e le sue opportunità, soprattutto in un’epoca di globalizzazione.

Tali iniziative, a costi già pianificati, non vanno pertanto scoraggiate. Ovviamente devono essere consequenziali ad una politica di apertura che oggi non s’intravede. Politica di apertura che non è stata declinata, ad oggi, da nessun arco politico cittadino. Non se ne vede traccia (liberalizzare la nostra cittadina potrebbe essere una politica utile in un periodo di austerità e compressione).

Cos’è, però, che ha guastato l’opportunità comunitaria? Una semplice mancanza di tatto, che risulta non essere solo “di tatto”, ma indicativa di una blanda consapevolezza di quale sia la situazione generale. L’aver reso pubbliche le foto conviviali della trasferta ha indotto, nell’immaginario collettivo cittadino, l’innesco della più recondita antipolitica che fa leva su un’immagine di una classe dirigente cittadina che antepone il convivio all’impegno, il passatempo allo sforzo, la rilassatezza alla preoccupazione propositiva. Insomma, pubblicare le foto ha dimostrato la superficialità con cui si tratta la condizione dell’opinione pubblica in questo frangente, così difficile e deprimente per il lavoro e il welfare cittadino. Sottovalutare questi aspetti non è più un peccato veniale o di stile, è indicatore di una superficialità di approccio che non può più essere sottovalutata in un contesto in cui la disuguaglianza sociale e di condizione si è esasperata. La storia insegna che quando una collettività soffre, gli stili diventano sostanza. Maria Antonietta, regina consorte di Francia, nella primavera del 1775, durante la sommossa denominata “guerra della farina”, ebbe a dire: “Se non hanno pane, che mangino brioches”. La ghigliottina segnò la fine dell’illustre sovrana, portando a compimento la fine dell’Ancien régime. La storia non va dimenticata neanche a Gela.


Autore : Sebastiano Abbenante

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