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notizia del 21/11/2006 messa in rete alle 15:47:51
Ma come si diventa tutor antimafia?
La voglia e la necessità, per gli imprenditori gelesi, di liberarsi dall’oppressione del pizzo, sono quanto mai pressanti. Su questo credo che siamo tutti d’accordo. Per aiutare chi è deciso a venirne fuori, a Gela opera l’Associazione antiracket, collegata al circuito delle associazioni antiracket dell’intero Paese. E anche questo va bene.
Come se non bastasse (ed in effetti non basta) Gela ha da quattro anni un Sindaco che sulla battaglia al racket ha creato la sua immagine mediatica. Magari dimenticando le battaglie per lo sviluppo, per l’occupazione, per l’ambiente, per la viabilità, ecc., ma comunque sull’antiracket, e questo gli va riconosciuto, si è dato un gran da fare.
Ma adesso rischio di non capire bene gli sviluppi, se è vero, come è stato annunciato da Tano Grasso qualche giorno fa, che Gela, assieme a Lamezia Terme e Napoli, diventa parte di un progetto sperimentale del Ministero dell’Interno che prevede l’istituzione dei “tutor” antiracket ed antimafia, col compito di aiutare le imprese “straniere” ad allocarsi nel territorio senza problemi.
Intanto c’è da capire quali titoli e quali requisiti siano necessari per divenire “tutor antimafia”, perché non mi pare che sul tema vi siano specifici corsi universitari o master della Bocconi o di altre emerite università.
Ma soprattutto c’è da capire quale lavoro svolgerà il “tutor antimafia”. Comunicherà agli imprenditori che vogliono stabilirsi a Gela i nomi degli esponenti delle cosche mafiose? O tratterà, per conto dell’azienda, con le cosche stesse, per indurre mandanti ed esecutori a non disturbare l’imprenditore e a non chiedere il “pizzo”?
O magari si limiterà a curare l’immagine aziendale, facendo veicolare il messaggio che l’azienda non paga e quindi va sostenuta?
Vabbè, chissenefrega, tanto i fondi vengono dal Ministero e qualche giovane in odore di antimafia e con le giuste amicizie antiracket riuscirà a trovare occupazione, e questo basti per fugare ogni ragionevole dubbio.
Ma un altro dubbio mi arrovella, e stavolta viene dal ministro Livia Turco, che con un decreto di qualche giorno fa ha raddoppiato la dose minima di spinelli che è possibile portare con sé per uso personale: calcolata sul “principio attivo” della cannabis, equivale a circa venti “spinelli”.
Ora, è fin troppo evidente che se quattro amici vogliono terminare un’allegra serata con uno spinello, avranno con loro quattro, cinque spinelli o poco più, quelli che servono al momento. Se ne hanno venti, è chiaro che qualcuno, tra loro, li spaccia.
Ecco quindi l’ipocrisia del ministro: legalizzare lo spaccio di droghe leggere “spacciandolo” per un provvedimento di apertura.
Sarebbe stato più trasparente, a questo punto, liberalizzare lo spinello ed assumersi le proprie responsabilità, incluse le critiche dei più conservatori. Certamente meglio delle solite italiche furbizie.
Autore : Giulio Cordaro
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