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notizia del 07/11/2010 messa in rete alle 15:23:57
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Intervista all’assessore Ferracane
Un dibattito fecondo.
Da alcune settimane, su questo giornale, si svolge un interessante dibattito su temi legati all’economia sociale, alla crisi del welfare state, allo sviluppo dell’impresa sociale; il tutto visitato in un’ ottica locale e alla luce delle dichiarazioni dell’assessore Ferracane che ha annunciato un mutamento di rotta nella gestione dei servizi sociali nella nostra città. Personalmente ho cercato di dare un modesto contributo alla discussione; ringrazio invece per i loro contributi Luciano Vullo e Giuseppe Montemagno che hanno proposto interessanti spunti di riflessione sull’universo sociale in generale e su quello locale in particolare. Il risultato concreto di questo confronto potrebbe essere, come scrive nel suo articolo Peppe Montemagno, “un patto di collaborazione tra Comune e Terzo Settore per la crescita sociale e quindi economica del territorio”.
Per concludere il dibattito ho dunque invitato l’assessore Ferracane a ribadire le linee di azione che adotterà l’amministrazione nel settore degli interventi sociali. Per quanto mi riguarda ritengo necessario e utile che su tutti gli argomenti di interesse collettivo si sviluppino confronti che potrebbero solo giovare all’azione dei nostri amministratori politici. Personalmente mi impegno a partecipare anche in futuro a dibattiti pubblici, su questo giornale e altrove, sempre in un’ottica critica ma allo stesso tempo propositiva.
– Come cambieranno i servizi sociali nel nostro Comune?
«L’indirizzo è molto chiaro, bisogna abbandonare la logica assistenzialistica sia per i fruitori dei servizi che per i soggetti erogatori degli stessi. In altri termini ci sarà sempre meno spazio per chi non vuole lavorare e aspetta solo il contributo pubblico. Anzitutto distingueremo il volontariato dall’impresa sociale. Nel primo caso l’amministrazione sosterrà quanti in modo del tutto gratuito assistono coloro che sono più sfortunati; nel secondo caso il Comune collaborerà, anche come soggetto in rete, nei progetti presentati e attuati dal privato sociale che dando servizi ai cittadini contribuiranno a creare occupazione. Inoltre saranno rinnovati e adeguati i regolamenti comunali dei servizi sociali, vecchi anche di venti anni».
– Recentemente è stato presentato il piano di zona. Di cosa si tratta?
«Il piano di zona è un programma triennale che fa riferimento al distretto socio-sanitario numero 9 (Gela, Butera, Mazzarino e Niscemi) inserito nell’ambito della legge quadro 328 del 2000, prevede diversi interventi a favore dei soggetti svantaggiati (disabili, anziani, soggetti a rischio di devianza, tossico dipendenti ecc..) per garantire loro un’adeguata qualità di vita, pari opportunità, ridurre le condizioni di disagio sociale, cioè recuperare talune categorie di soggetti al diritto di cittadinanza scongiurandone la marginalità sociale. Il finanziamento complessivo previsto, fondi regionale e comunali, è di circa cinque milioni di euro».
– Sembra di capire che si vuole andare oltre il piano di zona…
«L’obiettivo è quello di basare gli interventi su principi di integrazione e sussidiarietà: creare opportunità di lavoro per le fasce deboli; favorire l’integrazione di soggetti destinati altrimenti a rimanere ai margini della società. Nello stesso tempo bisogna selezionare i soggetti erogatori di servizi collettivi».
– In che modo?
«Gli strumenti che si vogliono utilizzare sono: lo sviluppo dell’impresa sociale; l’accreditamento; i buoni lavoro. L’impresa sociale deve pensare e agire nell’ottica propria dell’impresa stando dentro il mercato sociale, mettendosi in rete e partecipando a missioni di sviluppo del territorio. L’accreditamento permette all’amministrazione di riconoscere ai soggetti del privato sociale una serie di requisiti capaci di certificare la qualità delle prestazioni rese. I buoni lavoro consentono di dare un sostegno economico ai soggetti che sono in difficoltà in momenti di crisi, facendo svolgere loro prestazioni occasionali in lavori prettamente manuali anche in occasione di manifestazioni o eventi».
– Come si fa impresa sociale?
«Per fare impresa bisogna avere la mentalità imprenditoriale, questo sembra ed è una cosa ovvia. Dove la cultura d’impresa non c’è bisogna crearla, il progetto Urban n.o.s.e. – in cui il Comune di Gela è capofila di nove città di diversi stati europei e che abbiamo con caparbietà recuperato – mira a definire una rete di incubatori d’imprese sociali e sostenere lo start–up di nuove iniziative di imprenditorialità sociale. L’obiettivo principale del progetto è quello di creare e sostenere nel nostro territorio una vera economia sociale. In questo senso organizzeremo delle iniziative per favorire la conoscenza degli strumenti per fare impresa sociale».
– Avremo quindi una nuova cultura dei servizi sociali?
«È finito il tempo dei sevizi sociali “bancomat” da utilizzare da parte di un certo privato sociale promettendo in cambio un eventuale tornaconto elettorale per il politico di turno. È arrivato il momento di cambiare questa logica e spostare l’attenzione sul cittadino-utente, il sistema dei titoli d’acquisto, ad esempio, permette a chi ha bisogno dei servizi sociali di rivolgersi a strutture accreditate che allo stesso modo della pubblica amministrazione può fornire i servizi richiesti. Le possibilità che può dare l’economia e l’impresa sociale sono notevoli, coniugando civiltà e lavoro. Migliorare le condizioni di vita dei cittadini e, sotto vari aspetti, l’ambiente in cui viviamo creando nuova occupazione. Una scommessa difficile ma non impossibile».
Autore : Emanuele Antonuzzo
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