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Corriere di Gela | Cantina sociale, lunga e triste storia
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notizia del 15/09/2013 messa in rete alle 14:14:11
Cantina sociale, lunga e triste storia

Qualche giorno fa. Transitando per la Via Venezia, ho avuto un tuffo al cuore alla vista di una vasta area libera. In quell’area, per mezzo secolo, insisteva la Cantina Sociale, storica cooperativa che è stata una pietra miliare (e poteva esserlo ancor di più) per l’agricoltura gelese.

Quanti ricordi sono riaffiorati alla mente! Era il 1979, e dopo due anni di praticantato da un commercialista milanese, ero rientrato a Gela. Quello di curare la contabilità della Cantina Sociale fu uno dei primi incarichi che mi vennero affidati. La struttura era chiusa da un paio d’anni, c’erano parecchi debiti, ma con entusiasmo gli amministratori dell’epoca decisero la riapertura, il conferimento dell’uva da parte dei soci viticoltori, la lavorazione del mosto. Nel 1980 ne divenni vicepresidente, con l’intento di spendermi in prima persona per il risanamento finanziario della cooperativa.

Ma i debiti pregressi erano notevoli, e occorreva un’iniezione di liquidità per permettere alla struttura di continuare ad operare. In qualità di vicepresidente, mi rivolsi allora a Totò Placenti, all’epoca assessore regionale, il quale, compresa la difficile situazione, mi fissò un appuntamento all’Ente di Sviluppo Agricolo.

Andai a Palermo nel gennaio 1981: due giorni di incontri, presentazione di documenti contabili, trattazione di problemi legali. Alla fine il parere positivo: a fronte di circa 300 milioni di debiti, l’Esa, attraverso il fondo di rotazione, avrebbe concesso alla Cantina Sociale 250 milioni utili a dilazionare i debiti e a permettere una tranquilla ripresa dell’attività. Rientrato a Gela col risultato ottenuto, convocai immediatamente gli amministratori e i sindaci della Cooperativa per comunicare la lieta novella, ed iniziai a preparare l’ulteriore documentazione richiesta dall’Esa per concedere il prestito. Ma il prestito dell’Esa non fece in tempo ad arrivare, perché uno dei creditori nel frattempo aveva presentato al Tribunale di Caltanissetta istanza di fallimento, per un importo di 15 milioni di lire (importo facilmente gestibile dalla cooperativa). Il Presidente, ricevuta la convocazione dal Tribunale, senza avvisare nessuno, andò a Caltanissetta riferendo al Giudice delegato che la cooperativa non aveva possibilità di pagare. Così, dopo qualche settimana, arrivò, inaspettata, la sentenza che dichiarava il fallimento della Cantina sociale.

Nessuno volle denunciare il Presidente, già avanti negli anni, nessuno volle opporsi all’istanza di fallimento: così fu posta fine alla breve vita della Cantina sociale, la cui chiusura è stata voluta per giochetti politici tra fazioni interne all’allora Pci e a diatribe tra Pci e Psi.

Oggi non esiste più neanche il fabbricato, non esistono i silos pieni di vino, la stessa viticoltura gelese è ridotta a ben poca cosa rispetto a trent’anni fa. Ma è giusto, credo, che la storia della ingloriosa fine della Cantina sociale venga ricordata, affinchè non si ripetano gli stessi errori, errori che ricadono sulle spalle degli agricoltori gelesi. Lavorare seriamente per ottenere risultati economici validi è una cosa, distruggere l’esistente per beghe politiche non è bene per nessuno. Auguriamoci che i nostri esponenti politici, a qualunque livello, se ne ricordino sempre.


Autore : Giulio Cordaro

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