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notizia del 01/10/2007 messa in rete alle 09:55:48
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La Sicilia letteraria nel nuovo libro di Matteo Collura
Narrare. Narrare per raccontare e raccontarsi, come esigenza vitale, di sopravvivenza, per se stessi e gli altri.
Così possiamo intendere l’operazione che compie Matteo Collura (nella foto)in questo nuovo tesoro letterario, licenziato da pochi giorni da Longanesi. Il titolo è “L’isola senza ponte – Uomini e storie di Sicilia –“.
Un libro ove si vorrebbero che non comparisse la parola fine; che i capitoli fossero inesauribili, come le vicende degli uomini e delle cose che vi sono narrate; appartenenti a questo nostro spicchio di terra incastonato fra due azzurri, anche nei giorni tempestosi.
Narrare, ripercorrendo la storia, romanzata e non, degli scrittori siciliani più illustri, almeno una parte di essi; per scoprirne le varianti interpretative critiche che, in ogni caso, rappresentano l’humus della vera Sicilia letteraria.
Cioè “cosmo, misura e traslato di tutto” scrive con responsabile partecipazione interiore, Matteo Collura in uno dei suoi passaggi. Un libro, L’isola senza ponte, per rileggere la storia della Sicilia e dei “maestri” che continuano a possedere la sapienzialità delle “verità”, condite di sogni, di atmosfere uniche, di essenze pungenti, quasi di origine araba più che greca. Una carrellata meticolosa la sua, che spazia fra romanzieri e anime del romanzo, sempre presenti e pressanti nei loro fremiti, depurati da egoistici utilitarismi. Collura è un amante di quel che scrive; e ne è una testimonianza la conclusione del capitolo “L’abisso nel corpo della donna”, riferito a Vitaliano Brancati, dove dichiara: “Strani percorsi sceglie la letteratura. E forse per questo chi la frequenta e l’ama crede che sia l’unica verità possibile”.Ed una delle tante verità possibili dell’Autore è anche quella di considerare la Sicilia “non più metafora di agrodolce commedia umana, ma di una tragedia senza rimedio e senza alternative in un mondo che ha tradito tutte le giuste “rivoluzioni” e che sembra spinto dal solo motore della corruzione. Della società e delle coscienze individuali”. In tale filosofia ricognitiva si è sviluppata anche la sua precedente produzione letteraria in volume, non disgiunta dalla professione giornalistica presso il Corriere della Sera.
Il libro, pagina dopo pagina, si rivela intriso di essenzialità lessicali, di ricerche certosine, di suggestione veristiche, di estasi contemplative di una natura prettamente siciliana, di svelamenti pittorici dovuti ai pennelli dei nostri artisti, fra arenarie delle colonne doriche e misteri catacombali. Si assaporarono viepiù, spigolando nella storia antica e contemporanea, i testi cari ai siciliani ed ai lettori di oltre Stretto. Non c’è ambiguità negli scritti di Matteo Collura; semmai c’è la consapevolezza di operare non in contrapposizione ad una certa critica tradizionale, ma in un contesto collaborativo e chiarificatore sulle cose e sugli autori della Sicilia.
E’ difficile coagulare lettura e critica nei potenziali fruitori del libro; altrimenti non saremmo dovuti essere classificati da un certo Pirandello “Uno, nessuno e centomila” di cara memoria.
La libera interpretazione, sorretta dalla cultura e dall’amore per le pagine, (non effimera, a pillola, televisiva, rotocalchesca) è, ai giorni nostri, patrimonio e privilegio di pochi scrittori, pochissimi; Collura è uno di questi; e ci sarà una buona ragione per essere stato amico di Leonardo Sciascia e Gesualbo Bufalino. Matteo Collura vive lontano dalla Sicilia, dalla sua Agrigento, dal continente a tre punte dove è nato; vive fra le nebbie e i bulloni insaporiti dai panettoni: ma qua si rifugia appena può per rivivere le gesta dell’umanità che si tramandano dalle pagine a lui care. E si ubriaca di immensità dalla balaustra del Caos: là dove chiacchierano le ceneri di Pirandello, col sottofondo del mare realmente nostrum. Nel libro non manca una circostanziata rappresentazione della nostra città. “Se oggi passa da Gela, l’impianto petrolchimico appare come una ferrosa, fumosa e assurda Manhattan. Certo, questa, asfissiata dai fumi industriali e imbrattata dal cemento, non è la Sicilia che si aspettava di trovare chi vi giunge da altre latitudini, ma non è neanche una Sicilia nuova: è il luogo che compiutamente esprime il fallimento socio-economico di una regione… il fuoco di paglia dell’industrializzazione che ha lasciato il posto alla cenere della delusione… e cova il disinteresse dello Stato… e se qualcosa rimane ancora in Sicilia del mondo verghiano, esso è in gran parte riconducibile alla distanza siderale che intercorre tra il cittadino e lo Stato”.Una realistica, amara interpretazione che si ricollega alla industrializzazione del dopoguerra a Porto Empedocle col “miracolo” Montecatini. Collurra non finisce mai in questo suo romanzo di parlare della propria terra, “di evocarla, di confrontarla, di allontanarla o chiamarla a sé”. Ed è vero anche che si tratta di un’isola “che potrà mai essere collegata con un ponte, per la semplice ragione che è impossibile collegare un continente a un altro, anche servendosi delle tecniche ingegneristiche più strabilianti ed efficaci”.
Quasi un editto da parte di Matteo Collura.Leonardo Sciascia l’avrebbe sottoscritto, fra gli ombrosi oliveti della Noce racalmutese.
Autore : Federico Hoefer
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