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notizia del 18/07/2011 messa in rete alle 09:02:14
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Peppe D’Onchia giornalista tv col «vizietto» dei documentari rastrella premi in tutt’Italia
Il collega Peppe D’Onchia, attualmente direttore di Canale 10, era da tempo che aveva in mente di realizzare un documentario che fosse la testimonianza visiva di un periodo storico tragico che Gela visse a cavallo degli anni ottanta e gli inizi degli anni novanta, annoverandola alle cronache nazionali come la «città dell’inferno», così definita da Giorgio Bocca, mafia-ville, città di frontiera ed altri epiteti in negativo. Pensava ad un documento che non fosse solo rappresentazione visiva di fatti di sangue, ma che ad essi si accompagnassero commento e interviste ai protagonisti di quel periodo: forze dell’ordine, magistratura e collaboratori di giustizia. A dargli l’input fu il bravissimo Francesco D’Aleo curatore del montaggio, col quale alla fine decisero di imbarcarsi in una avventura che li ha gratificati entrambi tantissimo. Con D’Onchia ci siamo incontrati nel suo ufficio di Canale 10 dove ci ha parlato a lungo del suo reportage, come la sua idea pian piano ha cominciato a prender corpo: dapprima una visione approfondita delle immagini di quelle tragiche giornate catturate dal fedele operatore di ripresa di Canale 10 Antonio Burgio, collaborato da Andrea Smecca, una lettura alle cronache giornalistiche e quindi la scelta delle sequenze, la scrittura del testo, con una sapiente selezione delle musiche di sottofondo, per completare poi con i personaggi da intervistare. Un lavoro certosino che lo ha fatto fremere e soffrire quando assieme a tutto lo staff che gli ha collaborato, ha assistito alla “prima” in onda su Canale 10 sintonizzata in digitale con tante altre emittenti.
Lui, fumatore incallito, quella giornata lasciò il portacenere colmo di cicche. E’ sempre un po’ complicato quando un giornalista deve intervistare un collega. Spesso le domande vengono anticipate dallo stesso interlocutore, come è accaduto quando D’Onchia mi intervistò per il periodico Vision da lui diretto. Quasi una rivincita automatica, sicchè si parte con una domanda che racchiude anche un po’ il giudizio sul suo lavoro, ma lui taglia corto soffermandosi sui preliminari del progetto esaltandone la caratura grazie alla tecnica del montaggio, sapientemente costruito dal montatore D’Aleo. E così parte dal come gli è nata questa idea e delle motivazioni che lo hanno spinto a ricordare quel momento tragico e luttuoso della nostra città. Un ricchissimo materiale filmato archiviato nella videoteca di Telegela – aveva detto a se stesso – non poteva restarsene dormiente, ma avrebbe dovuto parlare secondo una sceneggiatura ben definita e che aveva già scritta nella mente. C’era da pensare alle autorizzazioni, alle autorità che avrebbe dovuto intervistare, ai collaboratori di giustizia. Non è stata cosa facile, ma alla fine la macchina si è messa in moto e si è arrivati in dirittura d’arrivo. A montaggio ultimato ha dovuto fare un lavoro di revisione e di rifinitura che gli ha sottratto molto tempo, ma che si è rivelato necessario ripagandolo per il successo ottenuto. Gli è valso anche un premio che è andato a ritirare a Bari lo scorso anno.
Due gli episodi forti che ricorda: l’incontro a Roma con il collaboratore di giustizia Celona ed un evento che gli ha procurato una certa angoscia rivelatasi alla fine insussistente. Del primo ne parla con entusiasmo, del secondo veramente preoccupante invece e col senno di poi, col sorriso tra le labbra. Tralasciando i particolari che si riferiscono alle numerose autorizzazioni, permessi, attese, l’aspetto più importante è l’intervista al collaboratore di giustizia, con la quale D’Onchia riesce a mettere a nudo il personaggio in tutti i suoi aspetti psicologici, i reati di cui si rese responsabile ed il riconoscimento del suo errore pagato con il carcere. Ci racconta che tecnicamente stava andando tutto a monte. Durante il viaggio in aereo il blocco ottico della telecamera aveva subito un guasto del quale si sono resi conto poco prima che l’intervista iniziasse. Le immagini di Celona erano risultate totalmente sfocate ritraendone il viso completamente offuscato. Un effetto che fortunatamente coincideva con la volontà del collaboratore di giustizia di apparire in video proprio col volto oscurato. Un piccolo inconveniente, poi corretto e che ha consentito di andare avanti nelle riprese e nelle altre interviste.
Che impressione ha ricevuto D’Onchia da quella intervista? Si è trattato di un calcolo o di vero pentimento? Celona lo ha ribadito a chiare lettere – rimarca il collega – sostenendo che “se dovesse rinascere non si macchierebbe più di quei delitti commessi, anzi, quasi rivolto a chi ancora delinque, è necessario ravvedersi e collaborare con lo Stato e con la giustizia per liberare Gela dal male che tuttora dilaga”. Il racconto del collaboratore di giustizia è crudo e per certi tratti anche raccapricciante per via degli episodi narrati. Non per nulla ad inizio reportage viene ricordato che la visione è consigliata esclusivamente ad un pubblico adulto e non impressionabile. Mentre scorrono le immagini Celona racconta il suo coinvolgimento nella guerra di mafia, la legge ferrea delle cosche e le condanne a morte ad opera di killer di professione. Qualunque trasgressione si pagava con la morte.
L’altro episodio meno piacevole è coinciso col ritorno a Gela. Ce lo racconta dopo avergli chiesto se ci sono stati momenti di tensione e di paura riconducibili al tema trattato. Sono ancora vivi i ricordi di quei giorni dove il diritto di cronaca si scontrava con le minacce agli operatori d’informazione, le loro auto incendiate dolosamente e tante altre forme di intimidazione. Ebbene, D’Onchia ci parla di uno strano tintinnio simile ad una marmitta bucata di motoscooter che lo perseguitava fin sotto casa nei giorni successivi al suo rientro a Gela.
Concludiamo la nostra intervista con la domanda: Gela è veramente una città di mafia? Il collega risponde categoricamente di no. C’è stato un momento in cui la mafia è approdata a Gela con i morti ammazzati che si contavano settimanalmente, ma si tratta di un fenomeno al di fuori del nostro contesto. Per lui c’è soprattutto delinquenza comune e minorile come accade in tante altre città a vocazione industriale.
Il «chi è» di Giuseppe D’Onchia
Giuseppe D’Onchia è nato Gela trentanove anni fa. Nel 1999 ha sposato la signora Maria Grazia Scicolone che gli ha regalato due bambini: Nicolò che compirà 9 anni ad agosto e la piccola Gloria che farà sei mesi a luglio. Nasce come cronista sportivo ventun’anni fa, ma il passo è breve ed approda presto in Tv dove continua la sua vocazione di giornalista sportivo che perfeziona e si arricchisce di altre esperienze occupandosi di cronaca nera e giudiziaria quando Telegela passa sotto la direzione di Giacomo Cagnes.
Da qualche anno è direttore di Canale 10 subentrando a Franco Infurna. Due iniziative giornalistiche portano la sua firma “Vi racconto cosa nostra” e “Le confessioni del padrino”. Due cortometraggi narrati con frammenti filmati originali ripresi durante la guerra di mafia a cavallo degli anni 1988 e ’90-91. Interviste asciutte ed essenziali per far parlare gli altri: il collaboratore di giustizia Emanuele Celona e varie autorità. I testi li ha scritti Peppe D’Onchia ed il montaggio porta la firma di Francesco D’Aleo. Un lavoro dove sceneggiatura e montaggio si fondono perfettamente, dove in un continuo crescendo, chi ha vissuto quel periodo ritorna indietro nella mente chiedendosi come Gela abbia potuto vivere momenti così luttuosi e sanguinari. Messi in onda da Canale 10, hanno sortito grande successo di critica e di pubblico. Proprio lo scorso anno D’Onchia a Bari ha ricevuto una menzione speciale nell’ambito del “Premio Giornalisti del Mediterraneo”, patrocinato dalla Presidenza della Repubblica.
Autore : Nello Lombardo
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