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notizia del 02/10/2006 messa in rete alle 23:47:47
Pagarono da vivi, continueranno a farlo da morti
La Sicilia, magico scenario di antichi e terribili miti, diviene oggi "l'isola che non c'è"di molti extracomunitari disposti a barattare la propria patria con una realtà ignota pur di scacciare dalla loro quotidianità il fragore della guerra e i rantoli della fame. Malauguratamente, una volta partiti, non tutti riescono a palpare il loro sogno di libertà perché muoiono prima ancora di aver toccato la terraferma. Questa drammatica e, purtroppo, frequentissima esperienza, 1' 11 settembre dell'estate 2005 ebbe come protagonisti undici clandestini nordafricani che, insieme con ben altre 250 persone, avevano lasciato la Libia per raggiungere le coste siciliane. Il peschereccio di fortuna sul quale si erano imbarcati li abbandonò, infatti, in balìa delle onde prima di arenarsi a 50 metri dalla spiaggia di contrada Desusino, a 15 chilometri da Gela. Nella foga di raggiungere a nuoto il nuovo mondo, gli undici giovani, tre dei quali eritrei e otto egiziani, non riuscirono a farsi largo tra la folla e annegarono. Il sindaco di Gela Rosario Crocetta li definì "i nostri fratelli venuti dal mare" e non mancò dì garantire loro una dignitosa tumulazione presso il cimitero cittadino di Farello. Tuttavia, per i tre immigrati di origine eritrea, Salomon Teare, Mìchael Amanuel e Tadese Abera, nessuno dei quali superava ì trent'anni, le calamità non culminarono quella sciagurata notte ma continuano tutt'oggi poiché, mentre i corpi esanimi delle otto vittime egiziane rientrarono subito in patria grazie all'intervento del consolato, le loro salme vengono ancora richieste dai cari che vorrebbero sentirne la vicinanza nei momenti di preghiera e di sconforto.
A tal fine la spesa da affrontare sarebbe dì circa 6.200 euro, cifra di cui queste povere famiglie sottosviluppate non poterono, e non possono, assolutamente farsi carico, nonostante il Comune di Gela sì impegnò a coprire il 50 % della somma complessiva imbattendosi poi in non pochi impedimenti legati prima all'assenza di un'apposita voce di spesa nel bilancio, oggi alla tardiva approvazione del bilancio stesso. Pertanto l'Ufficio Immigrati del suddetto Comune ha inaugurato una vera e propria campagna di solidarietà, cui stanno partecipando anche i commercianti gelesi, al fine dì raccogliere ì fondi che permetteranno alle spoglie di questi sfortunati sognatori di riposare in pace nella terra che ha loro dato i natali. Passi significativi sono stati mossi anche dalla comunità eritrea siciliana che ha dichiarato dì aver racimolato circa la metà dei soldi. Intanto Iared, fratello maggiore di Salomon Teare, è giunto a Gela dove sta dando testimonianza dei disagi che affliggono la sua famiglia e non le consentono di ricondurre la salma di Salomon a casa, ad Asmara. "Mia madre mangia solo per sopravvivere e non fa che piangere vicino al letto di mio fratello" ha raccontato Iared mentre dal suo viso traspariva forte il desiderio di porre fine a questa triste vicenda tornando a casa con il simulacro del fratello su cui piangere. Ben più complicata è invece la situazione per gli altri due defunti eritrei i cui cadaveri non sono ancora stati ufficialmente riconosciuti dal momento che nessun congiunto ne ha confermato l'identità.
Ne consegue la paradossale impossibilità di rimpatriarli. Quindi, anche se la generosità e il buon cuore dei cittadini gelesi riuscissero a risolvere l'aspetto economico dalla questione, la burocrazia continuerebbe a comprometterne il buon esito. E' dunque fondamentale adoperarsi su più fronti per poter chiudere serenamente questo triste capitolo delle storia gelese. E nell'auspicio che la città possa lenire il clima di amarezza e costernazione che avvolge le tante altre madri che bramano le spoglie dei loro figli aldilà del mare, viene spontaneo domandarsi: quanti altri sospiri di morte dovranno udire le nostre coste prima che venga resa giustizia e dignità a questi popoli?
Autore : Anastasia Virgadaula
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