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Corriere di Gela | Piano industriale e ruoli istituzionali
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notizia del 12/02/2011 messa in rete alle 22:55:45
Piano industriale e ruoli istituzionali

Per mesi si è parlato a Gela di piano industriale. L’incontro del 4 febbraio presso la regione siciliana, presente l’Eni con le sue società Enimed e Raffineria di Gela, ha segnato un esito nell’ambito degli accordi di lungo periodo tra Eni e la Regione. Eppure per mesi i sindacati, il sindaco, il consiglio comunale, le parti sociali hanno tentato un’interpretazione del piano industriale della raffineria per trarre auspici e indicazioni. Spesso con esiti limitati.

Tutti infatti parlano di sviluppo ed investimenti, concentrandosi sulle cifre che l’Eni vuole investire nei prossimi anni, ed usano tale indicatore, incrociato al più con i dati di occupazione, come parametro di valutazione delle intenzioni industriali della multinazionale petrolifera. Tale modo di valutare i vantaggi sul territorio comincia a presentare delle limitazioni, basti pensare che esistono investitori che rilevano aziende, vi investono per portarle ad un livello di presentabilità, e le rivendono per ricavare il massimo utile.

A questo si aggiunge un comportamento puramente reattivo dell’istituzione comunale che, pur essendo la prima interfaccia territoriale, non ha ancora trovato un protocollo di comunicazione con la raffineria; ne è prova che lo strumento principe rimane quello delle sessioni monotematiche del consiglio comunale, massima espressione di reattività agli eventi, che producono esiti quali richieste di convocazioni, generiche dichiarazioni di allarme o, nei casi più concitati, di ultimatum mai efficaci.

Insomma tutto tranne che l’attuazione di un metodo di confronto e di conoscenza routinario verso l’insediamento industriale che rappresenterebbe un modo per passare da un atteggiamento reattivo ad uno proattivo.

Da un’analisi complessiva si può dire che la presenza industriale dell’Eni a Gela, ed in generale in Sicilia, pone problemi di ruolo più che di prospettiva industriale. L’affermazione merita un chiarimento.

La prima deduzione che scaturisce dal recente accordo tra Eni e Regione sta proprio nel fatto che l’Eni ricerca accordi a lunga scadenza (vedasi la poliannualità nella gestione della diga foranea e dello sfruttamento dei pozzi in Sicilia) perché il business petrolifero è un business a cicli poliennali ampi. La Regione invece chiede royalties, chiede cioè ossigeno per le casse pubbliche ancor più oggi di ieri. E cosa chiede, di contro, il Comune di Gela? Cosa chiedono i sindacati? Ecco quindi che il tema dello sviluppo si traduce in un problema di ruolo.

Infatti la possibilità di incidere sul piano industriale della raffineria è pressoché nullo. Soprattutto se si considera che il piano industriale della raffineria è una derivazione subordinata del piano industriale di Eni nell’ambito della divisione della Raffinazione e pertanto deve tenere conto di fattori strategici mondiali. Si consideri inoltre che un piano industriale ha carattere quadriennale ma la velocità delle congiunture porta a innesti e interventi che ormai non riescono neppure a consolidare un piano industriale annuale e pertanto il confronto con l’evolversi della realtà di business è continuo ed incessante.

Ciò che le controparti del territorio devono cercare è di centrare il loro ruolo, esserne consapevoli e attrezzarsi per esercitarlo autorevolmente.

In merito al ruolo della istituzione comunale, prima interfaccia territoriale verso la raffineria, si può dire che esso consiste nel presidiare almeno i seguenti temi: gestione e prevenzione degli impatti ambientali e della salute della popolazione, primo requisito che va gestito con centri di competenza interni alla macchina comunale, perché tale tema non può essere totalmente esternalizzato o delegato. Un assessorato o una commissione permanente deve dialogare autorevolmente con l’industria pesante e scambiare le informazioni vitali al monitoraggio del tema. In secondo luogo il tema della ricaduta economica sul territorio perché, se stiamo passando da una fase di espansione ad una di consolidamento, certamente le ricadute occupazionali e di mantenimento dell’indotto subiranno una compressione, è inutile nascondercelo. Pur tuttavia il mantenimento di livelli occupazionali almeno non inferiori alle altre raffinerie di simile complessità dovrà essere mantenuto. A seguire, la macchina comunale deve saper declinare anche il tema della sostenibilità, tema nient’affatto secondario. Definire i livelli di sostenibilità da perseguire, in quanto la sostenibilità non è un indicatore digitale: o c’è o non c’è. E’ un indicatore che va valutato e tarato in funzione delle prospettive di sviluppo che la comunità cittadina, rappresentata dalla istituzione comunale, vuole perseguire e questa sostenibilità va discussa e verificata con l’area industriale.

Non è un caso che la raffineria elabori annualmente un bilancio sociale annuale, reso pubblico, che chiarisce gli interventi sul territorio e sull’ambiente. Su questi processi il comune dovrebbe innestarsi, perché sono processi codificati nel linguaggio e nel metodo e, magari, invece di concentrarsi su documenti di consuntivo, lavorare per documenti di pianificazione concertata, utili per il rapporto tra popolazione e azienda petrolifera. Tale ruolo rilancerebbe un’immagine comunale e cittadina più interessata ai risultati anziché agli ultimatum, assumendo anche un’autorevolezza di controparte che sta dentro i temi.

Il ruolo dei sindacati locali sembrerebbe noto: salvaguardare l’occupazione in termini numerici e recentemente anche in termini territoriali (mi riferisco alla salvaguardia dell’indotto locale a seguito delle politiche di contenimento). In realtà un nuovo elemento si sta aggiungendo nelle contrattazioni: la fase espansiva della raffinazione ha ormai fatto il suo corso, il business si può consolidare ma forse non può più espandersi. Nasce pertanto il tema dello sviluppo e della creazione di posti di lavoro che non potrà più essere ricercata dentro la raffineria. Nasce quindi la necessità di capire quali nuovi business potrà attrarre il nostro territorio e quali sinergie possono innescarsi con l’attuale assetto produttivo territoriale. Questo è un tema nuovo ove anche le forze sindacali dovranno interrogarsi perché proprio loro vivono a stretto contatto con le logiche industriali.

In sintesi è bene che ognuno faccia la propria parte, possibilmente innescando proattività invece che reattività e soprattutto stando dentro i temi ed invocando il ruolo di altre controparti dopo aver assolto al proprio. E’ ormai chiaro che la crisi va guardata in faccia prendendo consapevolezza di ciò a cui si dovrà rinunciare e cosa si dovrà ricercare con caparbietà per assicurare dignità e sussistenza alle comunità territoriali rappresentate.


Autore : Sebastiano Abbenante

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