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Corriere di Gela | Sicurezza e ricatto lavorativo
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notizia del 08/02/2009 messa in rete alle 22:45:18
Sicurezza e ricatto lavorativo

Mercoledì 28 Gennaio 2009, ore 22,00, Isola 13 dello Stabilimento Petrolchimico di Gela, sede dell’azienda Ecorigen: l’operaio licatese Salvatore Vittorioso (nella foto) si appresta alla conclusione del suo estenuante turno di lavoro (dalle 6,00 alle 14,00 ed ancora fino alle ore 22,00), l’ultima mansione da svolgere consiste nell’avvio di un forno, necessario per il ciclo di rigenerazione dei catalizzatori e degli oli esausti, attività principale della propria azienda, all’improvviso, quasi a volerlo strappare in malo modo da tutti i suoi pensieri non attinenti al lavoro (avvertire del ritardo la moglie preoccupata, evitare di interrompere bruscamente il riposo del piccolo figlio al momento del ritorno a casa), una violenta esplosione genera il distacco del pesante portellone, senza lasciare alcuna possibilità di salvezza al giovane lavoratore, letteralmente travolto da questo.
La causa del decesso, come emerge dall’autopsia eseguita sul cadavere, è da rintracciarsi nelle gravissime lesioni riportate al cranio, nonché alle ustioni propagatesi sull’intero corpo: la morte è intervenuta all’istante, “risparmiandogli” ulteriori sofferenze.

Al 2 Febbraio il numero complessivo di decessi verificatisi sul posto di lavoro, solo nella Regione Sicilia, si situa a dieci, dato preoccupante, caratteristico di un fenomeno molto più grave, in termini di vite rubate, di quelli legati alla criminalità organizzata ed alla delinquenza comune.
L’avvio delle indagini ed il sequestro dell’azienda sono stati immediati; si registra l’emissione dei primi tre avvisi di garanzia nei confronti dei responsabili della Ecorigen (la cui maggioranza azionaria è detenuta da un gruppo francese), voluti dal Sostituto Procuratore Monia Di Marco, coordinata dal Procuratore Capo Lucia Lotti. Purtroppo la società Ecorigen, tra i leaders mondiali nel proprio settore di competenza, non è certamente nuova alla ribalta mediatica: nel Giugno scorso, infatti, l’azienda decise di irrogare un provvedimento di sospensione (della durata di tre giorni) per mancata produttività, ai danni di Maurizio Giglio, capoturno oltre che responsabile per la sicurezza, colpevole di aver imposto il blocco di un impianto al fine di poterne accertare il corretto funzionamento.
Altri dipendenti della medesima società, giunti al limite della sopportazione, stimolati dal tragico evento, hanno, in questi ultimi giorni, denunciato svariati episodi di inosservanza delle più elementari misure di sicurezza (dall’assenza delle maschere di protezione, alla violazione delle ordinarie procedure di manutenzione degli impianti), supportati dai sindacati, non del tutto presenti finora, tanto da ledere in primo luogo gli interessi di tutti i lavoratori “deboli”, poiché titolari di contratti a tempo determinato, di conseguenza maggiormente ricattabili.

Ma la precarietà, intesa in senso ampio, alla stregua di una vera e propria condizione esistenziale, coinvolge la maggior parte dei dipendenti (sia a tempo indeterminato che a tempo determinato) delle ditte dell’indotto, spesso costretti a sopportare orari di lavoro a dir poco sfiancanti, come capitato al povero Salvatore Vittorioso il 28 gennaio.
L’assenza di interventi risolutivi su questi temi si deve, in primis, alla mancanza di significative denunce: il loro numero è sempre molto limitato, a causa di una realtà emersa pienamente in questi giorni, anche dalle parole di molti lavoratori, i quali hanno spesso descritto la sussistenza di un vero e proprio ricatto lavorativo, che li trasformerebbe in vittime di un drammatico circolo vizioso, destinato ad indebolire strutturalmente la loro condizione.
Si tratta di un fenomeno tipico delle più importanti realtà economico-industriali del Meridione (la Fiat di Termini Imerese, gli altri impianti petrolchimici ubicati in Sicilia), consistente nell’imporre ai lavoratori condizioni non conformi a quelle fissate nei contratti collettivi stipulati a livello nazionale, facendo leva sulla completa assenza di reali alternative occupazionali.

La scelta prospettata è dunque la seguente: accettare turni di lavoro più lunghi e faticosi sotto la minaccia, nel caso di rifiuto, di un’immediata sostituzione, facilitata spesso dall’assenza di regolari contratti, prassi assai diffusa, specie nei periodi di fermata degli impianti, e non facilmente monitorabile.
La reazione dell’autorità giudiziaria (sulla scorta del caso torinese della ThyssenKrupp) e quella delle istituzioni, anche a Gela, non si è fatta attendere: lo stesso sindaco Crocetta oltre a dichiarare il lutto cittadino in concomitanza con i funerali di Salvatore Vittorioso, ha inoltre deciso la costituzione di una speciale commissione, con il compito di monitorare il rispetto delle necessarie misure di sicurezza da parte di tutti i soggetti economici operanti sul territorio, minacciando la chiusura di ogni attività che non si conformi ad esse.
La speranza è che non ci si limiti a sterili comunicati stampa, ma si sappia intervenire in profondità, coinvolgendo l’intero tessuto sociale: nella convinzione che debba essere il lavoro per l’uomo e non l’uomo per il lavoro.


Autore : Rosario Cauchi

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