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Corriere di Gela | La città ha reso omaggio al sacrificio di Giordano simbolo della lotta al racket
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notizia del 17/11/2012 messa in rete alle 22:17:42

La città ha reso omaggio al sacrificio di Giordano simbolo della lotta al racket

A vent’anni esatti da quel tragico 10 novembre 1992, la città nelle sue massime espressioni ha ricordato il commerciante Gaetano Giordano (nella foto), ucciso in piena guerra di mafia per essersi rifiutato di pagare il pizzo al racket.

Un concerto in sua memoria, celebrazioni liturgiche, momenti di riflessione e di grande commozione.

La morte di Giordano divenne una pietra miliare, segnando finalmente l’inizio di una vera controffensiva dello Stato alle organizzazioni mafiose che seminarono morte e terrore per quindici anni, dal 1987-1992.

Ne parla la moglie, signora Franca.

A mente più fredda, giorni dopo la commemorazione del ventennale della barbara uccisione di Geaetano Giordano, siamo andati a trovare la vedova, sig.ra Franca Evangelista. «L’uccisione di mio marito è stata decisa a sorte – ha dichiarato Franca Evangelista, moglie di Gaetano Giordano – tramite estrazione tra una decina di nomi. Allora erano pochissimi i commercianti che, come mio marito avevano avuto il coraggio di denunciare. Inoltre non esistevano associazioni antiracket in grado di tutelarci. Si era sparsa facilmente la notizia che un profumiere con la moglie del nord aveva rifiutato di sottomettersi a ricatti di estorsione» Gaetano Giordano non era certo un eroe, era proprietario di un noto negozio del centro storico di Gela. Sapeva che obbedire alla leggi della mafia gli avrebbe evitato situazioni spiacevoli a lui e alla sua famiglia. Conosceva anche la storia di Libero Grassi, della sua azione solitaria contro una richiesta di pizzo, che lo aveva portato alla morte nel ‘91, ma poco gli importava.

«Denunciare la richiesta di estorsione – ha affermato la vedova Giordano – ci sembrava la cosa più naturale da fare. In realtà non immaginavamo che sarebbe andata a finire in quel modo, altrimenti avremmo continuato la nostra attività altrove».

Giordano sapeva che per sottrarsi alla sudditanza del potere criminale era necessaria una rivoluzione partecipata da parte di tutti gli imprenditori e commercianti che avrebbero dovuto gridare no ai propri estorsori. E il suo estorsore era un ragazzino Ivano Rapisarda, noto come Ivano Pistola, che si atteggiava da duro e non sopportava rifiuti. Alle numerose minacce e all’incendio del negozio, seguì la denuncia da parte del commerciante che portò all’arresto del giovane estorsore. Ma cosa nostra non perdona e pareggiò i suoi conti. Cinque colpi di pistola e la fine un uomo normale, un imprenditore, un padre di due figli e un marito affabile, che aveva 55 anni.

«Mio marito – ha aggiunto la signora Evangelista – era sceso dall’auto per facilitare il parcheggio a mio figlio Massimo (nella foto a destra – ndr) allora poco più che adolescente. Stavano facendo dei lavori lungo la strada e c’erano dei cumuli di materiale. Gaetano fu colpito con cinque colpi alla schiena. Mio figlio solo ferito, fortunatamente».

Dopo la morte di Giordano vi fu un periodo di silenzio. Ma la nascita di associazioni antiracket, tra cui quella dedicata al commerciante, ha fatto crescere le denunce collettive di estorsione, danneggiamento e minaccia. Anche se sono tanti ancora a scegliere la sudditanza.

«Non credo sia paura, credo sia un fatto di costume – ha commentato Franca Evangelista – è un silenzio dato dal quieto vivere. Ci si ribella solo quando la tassa da pagare all’antistato diventa troppo alta».

Gli esecutori del delitto Giordano sono stati arrestati lo stesso anno con l’operazione antimafia “Abele”, grazie al collaboratore di giustizia lo stiddaro Roberto di Giacomo, che portò alla scoperta del libro mastro del racket avvenuto nel sottotetto di una palazzina popolare di Scavone, il bronx di Gela. Ricordiamo che la faida di Gela tra Stidda e Cosa Nostra costò alla città 120 morti ammazzati e centinaia di feriti.

«Dopo la morte di mio marito – ha asserito Franca Evangelista – ho continuato a lavorare ma ridimensionando l’attività. Mi pesava entrare in quel negozio che era stata la causa di tutto. I primi anni mi faceva male anche stare in casa. Andare via da Gela per me avrebbe significato morire due volte: perdere mio marito e perdere l’attività»

Le iniziative in ricordo delle vittime di mafia si sono raddoppiate negli ultimi anni. Sabato scorso il comune di Gela ha organizzato una manifestazione per non dimenticare il commerciante brutalmente ucciso. L’evento ha visto la partecipazione del neo eletto presidente della Regione, Rosario Crocetta, di Renzo Caponetti, presidente dell’associazione antiracket di Gela, del senatore Giuseppe Lumia, del Procuratore della Repubblica Lucia Lotti, del Gip Lirio Conti. Ma la prevaricazione mafiosa non ha mai smesso di imporre le sue leggi, e le ha esportate fuori dalla Sicilia. Imponendo al centro, come al nord pizzo e usura,

inquinando le istituzioni democratiche. Limitando la nostra libertà di cittadini. Che si tratti di mafia, camorra o ‘ndrangheta non fa differenza. Lo scopo è arricchirsi in maniera spropositata sulla pelle e la vita della gente onesta.

Hanno scritto

«Gentilissima signora Evangelista – Giordano, chi le scrive sono Rocco Bassora ed Antonio Anzaldi, Siamo due gelesi che, purtroppo, negli anni scorsi si sono macchiati di numerosi crimini, tra cui lo spaccio di droga e le estorsioni. Abbiamo pagato con la giustizia le nostre colpe, le nostre tante colpe. Indietro non si può tornare, ma se ce ne fosse la possibilità, non faremmo più quello che abbiamo fatto.

Lei potrebbe dirci che oramai quello che è fatto è fatto. E ha ragione soltanto a pensarlo. Ma, ci creda, rinneghiamo assolutamente il passato. Un passato fatto di sangue, di soprusi, di galera. Ci sentivamo i migliori, i più forti. Eravamo considerati i picciotti di Gela. Facevamo paura quando ci presentavamo in un negozio. Tutti avevano paura. Eravamo i migliori, ci sentivamo anzi ci facevano sentire i migliori. Ma basta, con quella vita abbiamo chiuso. Siamo cambiati e, giorno dopo giorno, attraverso l’umiltà vogliamo far ricredere la popolazione.

Ci stiamo apprestando ad istituire un’associazione di “ex detenuti”, Vogliamo una nuova vita fatta di lavoro, di amicizia, del saper stare insieme. Suo marito aveva un ideale: non pagare il pizzo. Si era ribellato ai clan; si era ribellato a tutto e a tutti. Un esempio. Ci creda: siamo cambiati, Gela è cambiata e insieme faremo in modo che non si ritorni più ai tempi bui di una volta. Vogliamo una nuova vita. Per le nostre mogli, per i nostri bambini, per Gela tutta. Noi sabato prossimo, se lo vorrà, vorremmo essere presenti al convegno previsto al Comune. Vogliamo essere presenti per ascoltare gli interventi dei relatori. In questi anni ci è mancato l’ascolto; ci è mancato tutto perché – come le scrivevamo – ci sentivamo i migliori. Ma i migliori del nulla. La vita è bella ed il consiglio che diamo è uno solo: viviamola giorno dopo giorno. E chiediamo scusa per tutto quello che abbiamo fatto”.

to l’omicidio. La sfida è che le associazioni debbono evitare che si riproducano le situazione di isolamento: quando c’è l’associazione nessuno viene toccato. Mai più Libero Grasso, Giovanni Panunzio e Gaetano Giordano».

letta durante la cerimonia commemorativa da Don Luigi Petralia


Autore : Filippa Antinoro

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