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notizia del 18/04/2009 messa in rete alle 22:08:36
Migrazione, agricoltura e arcaicità
La notizia è connotata da tutti i tipici crismi della cronaca giudiziaria locale: si è in presenza, infatti, di un'operazione condotta dal locale commissariato della Polizia di Stato, tesa ad impedire, a seguito di denuncia presentata dalla vittima, un tentativo di estorsione. Una nuova risposta alla violenta rapacità delle organizzazioni criminali gelesi? L'ultima disperata richiesta di sostegno da parte di un esercente locale?
Niente di tutto ciò; in quest'occasione siamo tenuti alla disamina di eventi per certi aspetti assolutamente desueti, ma che in verità costituiscono solo la nitida trasposizione di esistenze sommerse, che ci sfiorano, quasi inosservate. I personaggi di una vicenda, comune nella narrativa novecentesca, ma priva di qualsiasi risvolto letterario, sono due cittadini romeni: il bracciante agricolo, Romeo Calin, ed una sua giovane connazionale, Petronela Lupu, anch'essa operante nel medesimo settore.
L'uomo avrebbe imposto alla sua vittima il pagamento di 270 euro quale essenziale contropartita per poter ritornare a disporre del passaporto sottrattole. L'accaduto non appare prestarsi a minuziose interpretazioni: la dinamica, che spetterà alle autorità competenti definire nei minimi dettagli, si caratterizza, invece, per taluni particolari di tragica attualità.
Siamo innanzi alle conseguenze di una sempre più marcata marginalizzazione del fenomeno migratorio, da non considerare solo alla luce delle sue implicazioni giuridiche, ma soprattutto quale catalizzatore di destini, solo in minima parte, esposti al pubblico dibattito.
Romeo Calin e la destinataria della sua illecita condotta vivevano nel nostro territorio, avrebbero potuto essere inquilini di abitazione di nostra proprietà, ma anche nostri dipendenti; nonostante ciò, però, il loro era un rapporto estraneo alla quotidiana routine di una società votata al consumo e alla mediaticità: era, in verità, fondato sull'esercizio di un diritto di proprietà, vantato dal padrone (Calin) nei confronti della sua giovane schiava.
L'uso di un siffatto vocabolo non deve, del resto, sorprendere o scioccare; la schiavitù si realizza quando un individuo riesce, imponendo la propria autorità (fisica, mentale, economica), a soggiogare un proprio simile, il quale, conseguentemente, perde ogni autonomia, e con essa la consapevolezza della propria condizione umana.
Tutto questo si svolge oggi, 2009, nelle campagne meridionali (quelle gelesi e dell'intero comprensorio non sfuggono al fenomeno), un tempo arena privilegiata dei movimenti di emancipazione, ed attualmente mutate, il più delle volte, in luoghi di detenzione per individui giuntivi a causa di bisogni non soddisfabili in patrie, abbandonate per necessità, ma pur sempre rimpiante.
Parliamo principalmente di manodopera proveniente dall'est europeo (Polonia, Romania, Ucraina, Moldova) e dal nord Africa (Tunisia, Algeria, Marocco), operante anche all'interno delle aree rurali locali.
La storia di Petronela assomiglia a quella di molte sue connazionali, facilmente individuabili nell'istante del loro arrivo in città, quando enormi pullman della compagnia Atlassib, reduci da estenuanti viaggi, sostano nello spiazzale della stazione ferroviaria, per consentire ai passeggeri giunti a destinazione di scendere ed immergersi nella loro nuova vita.
Siamo innanzi ad una donna giunta in Italia per far fronte ad insanabili necessità economiche: attratta da promesse di un lavoro certo ed estremamente sicuro, ma ben presto ridestatasi dal sogno di una migliore condizione, a causa di un caporale pronto ad imporle la propria “legge”, fino al punto da sequestrarle tutti i documenti in suo possesso e costringerla a vendere il proprio corpo.
Al duro lavoro nei campi (rigorosamente in nero) si sommava, così, l'obbligo della prostituzione, all'interno di un contesto privo dei tratti della modernità, ed assimilabile all'arcaicità dei rapporti intercorrenti tra il dominus e le pertinenze di sua spettanza (schiavi compresi).
Lo status quo appena delineato è, purtroppo, diffuso nel settore agricolo, ove, al merito di tante imprese (grandi e piccole), si affianca la vergogna di imprenditori disposti ad “istituzionalizzare” il caporalato ed il lavoro in nero, pur di disporre, aldilà della stato di generalizzata crisi, di un maggior profitto.
Siffatto meccanismo viene ad innescarsi a discapito della manodopera migrante, massicciamente presente nel territorio locale; la giovane bracciante romena ha, però, trovato in sé il coraggio di denunciare: il suo esempio dovrebbe essere seguito anche da tutti quei lavoratori migranti (soprattutto se extracomunitari e privi di regolare permesso di soggiorno), i quali, denunciando le vessazioni subite, potrebbero disporre delle agevolazioni riconosciute dall'articolo 18 del decreto legislativo n. 286/1998, che prevede il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, fra questi anche lo sfruttamento del lavoro irregolare.
Gela e l'intero meridione non possono giustificare l'altrui sfruttamento facendo leva su una totalizzante crisi economica.
Autore : Rosario Cauchi
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