|
notizia del 18/04/2009 messa in rete alle 22:07:51
Ancora sul Piano-Casa
Le osservazioni dell’architetto Scicolone al mio articolo sul Corriere di Gela del 4 aprile scorso mi danno l’opportunità di chiarire meglio la mia posizione sui modi di riqualificare le aree S. Ippolito, Margi, Settefarine e non solo. Mi perdonerà Scicolone se riprendo in modo puntuale alcune sue osservazioni, ma lo spirito con cui intento confutarne alcune è di gratitudine per un confronto franco e di buon livello disciplinare.
Condivido l’osservazione di Scicolone quando afferma che il fallimento dell’urbanistica moderna non è da ricercarsi nella presunta “incapacità degli architetti e degli urbanisti di redigere buoni piani”, ma piuttosto e spesso nell’incapacità che ha la politica di assumere decisioni strategiche e coraggiose.
La presunta incapacità imprenditoriale, invece, è da collocarsi nelle medesime difficoltà che incontrano i progettisti nell’età moderna e che lamentano sempre più l’assenza di una committenza illuminata e avveduta, pubblica o privata che sia.
Per tornare alle mie proposte sul Corriere di Gela (ma ne ho scritto anche su Vision) rilevo che si tratta di un aspetto specifico della riqualificazione urbana: la necessità di sostituire alcuni volumi esistenti nel costruito compatto gelese con standard pubblici e privati nelle aree più degradate della città. Da qui l’attenzione a procedure mirate e innovative, al rispetto del diritto di proprietà che pur esiste nei nostri ordinamenti e agli incentivi in grado di avviare il volano del rinnovamento, ma anche al rigore e alla contrarietà senza condizioni sull’operare abusivo nell’edilizia che rende impossibile governare i territori. Si tratta di scopi raggiungibili solo attraverso la demolizione e la ricostruzione in altri siti, di ciò che è malsano e a rischio sismico. Si tratta di proposte che escludono espressamente il centro storico il cui recupero potrà avvenire attraverso linee d’azione simili, ma metodologicamente differenti affinché la salvaguardia della memoria e dell’identità della città siano garantite. La proposta di trasformare le terrazze in sottotetti è perciò l’aspetto più marginale della proposta, volta piuttosto a realizzare dove è possibile i vuoti urbani necessari alla città perché possa ospitare i servizi di cui abbisogna e acquisire nuova vitalità. Ciò che vado affermando ormai da qualche tempo è in relazione casuale con il Piano Casa governativo, si tratta infatti di proposte e metodiche attuabili dai Comuni fin dalla redazione dei Piani Regolatori, indipendentemente da ciò che faranno le Regioni rispetto alle proposte nazionali.
Scrive Scicolone: “Gela ha già avuto la possibilità di sfruttare una proposta che andava in tale direzione. Il Piano “Caronia”, forse l’unico Piano Particolareggiato capace d’incidere profondamente sull’assetto urbano della nostra Città”.
Riprendo questo concetto non tanto per confutare primogeniture, che mi appassionano poco, ma per evidenziare i limiti del Piano Caronia, limiti figli del suo tempo che sono alla base della mancata realizzazione di quel progetto e che oggi è necessario conoscere per far si che una nuova proposta non ripercorra i medesimi errori e abbia i crismi dell’incisività vera perché in grado sul serio di generare trasformazioni.
Il Piano Caronia prevedeva la demolizione e la ricostruzione di un vasto territorio gelese edificato fin dai primi anni sessanta. Quel Piano è lodevole per le intenzioni, ed ha il merito di aver immaginato una città diversa e migliore di quella che si era realizzata negli anni del petrolchimico. Non indicava però le procedure amministrative, tecniche, economiche e normative necessarie a rendere realizzabile il progetto. Il Piano particolareggiato prevedeva di acquisire la proprietà di una grande parte del patrimonio immobiliare privato attraverso l’esproprio, procedura che richiede costi pubblici elevatissimi e, vista la rilevanza dimensionale del costruito, costi politici e sociali altrettanto consistenti. Si trattava (e si tratta) di un patrimonio immobiliare eccessivamente frazionato la cui proprietà non era stata coinvolta nel progetto e probabilmente non lo fu perché scarsamente interessata se non ostile alla cessione di ciò che aveva costruito con fatica. Non era dato sapere in quale modo sarebbe stato possibile reperire le ingenti risorse finanziarie, non solo per acquisire l’enorme patrimonio privato coinvolto nel progetto, ma anche per demolirlo, ricostruirlo e riassegnarlo, o per l’assenza di indicazioni sul dove “parcheggiare” gli abitanti di quei quartieri negli anni della demolizione e della ricostruzione. Ma i limiti erano anche del “Piano particolareggiato” in quanto tale che ha mostrato, in ogni parte d’Italia, limiti sulla capacità dello strumento di realizzare le previsioni.
La proposta sugli incentivi volumetrici per recuperare standard e rinnovare il costruito dell’ultima espansione residenziale è semplice, poco pretenziosa, ma forse proprio per questo, meglio percorribile. Rende ottimisti una constatazione: contrariamente a tante città italiane, con grandi edifici più o meno recenti la cui proprietà è frazionata in più appartamenti all’interno dello stesso fabbricato, a Gela, gran parte delle costruzioni, che insistono nelle aree di espansione a nord della città, appartiene, da cielo a terra, allo stesso proprietario o alla stessa famiglia. Per questo sussistono qui le condizioni perché, con adeguati incentivi, permute perequative ben delineate e con opportune norme guida, si giunga alla demolizione volontaria di una parte del costruito e su questi vuoti, come il caso avrà voluto, progettare e costruire gli standard e un nuovo profilo della città.
Non basta ormai indicare nei Piani Regolatori gli obiettivi della trasformazione o zonizzare le aree, occorre anche definire i modi attraverso i quali quegli obiettivi possono concretizzarsi. Il non farlo fa rischiare, anche alle proposte più accattivanti, l’ingresso trionfale nel mare delle utopie. Basti pensare che il vecchio PRG di Gela prevedeva l’allargamento dell’allora Corso Vittorio Emanuele.
Lo stesso approccio sembra seguire il PRG in corso di discussione a Gela. Esso indica, per esempio, la formazione di una piazza di fronte al cimitero monumentale, ma non indica i modi per acquisire i fabbricati da demolire. Ci sono aspetti economici connessi con questo processo, la volontà dei residenti di lasciare le proprie abitazioni e quella politica di volere attivare procedure espropriative a fronte della indisponibilità degli stessi proprietari alla cessione volontaria delle proprie abitazioni, sulla reperibilità dei fondi necessari per l’acquisto, per la demolizione e per il rifacimento di strade, piazza e giardini. Ogni proposta che non voglia essere pura accademia deve quindi prefigurare il modo per consentire alle Pubbliche amministrazioni di raggiungere con sufficiente ragionevolezza gli obiettivi indicati.
Apprendiamo da notizie giornalistiche, che il RIR da allegare al Piano in discussione è pronto e che fra breve sarà pronta (?) anche la Valutazione Ambientale Strategica (VAS) e che quindi si può procedere all’adozione del PRG. Sarebbe utile che il dibattito si indirizzasse anche sui contenuti di questo PRG, sul come è cambiato a seguito della VAS e sulle prospettive territoriali di domani.
Autore : Francesco Salinitro
» Altri articoli di Francesco Salinitro
|
|
|
In Edicola |
|
Cerca |
Cerca le notizie nel nostro archivio. |
|
|
|
|