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notizia del 22/06/2007 messa in rete alle 22:08:00
I clericali al governo arruolano persino Dante
Sono commissario esterno di Storia e Filosofia al Liceo Classico “Carafa” di Mazzarino e vorrei proporre alcune riflessioni sul tema dantesco, rifilato ai ragazzi nella prima prova scritta del 20 giugno scorso degli esami di Stato di quest’anno. Intanto, ecco quello che ha detto il viceministro dell’Istruzione Mariangela Bastico (Ds) sulle ragioni della sua scelta: “L'analisi del testo è stata proposta sul Canto XI de "Il Paradiso" di Dante Alighieri, sugli splendidi versi relativi alla figura di San Francesco. Ho scelto il Poeta sommo, quello per il quale tanti esponenti della cultura mondiale guardano all'Italia e imparano la lingua italiana; il Poeta sommo che ha avuto, anche per merito della geniale interpretazione di Roberto Benigni, una straordinaria divulgazione in questo ultimo anno, suscitando passioni ed entusiasmi nei ragazzi e nei cittadini”.
La Bastico non dice la verità: la traccia su Dante è quanto di più bassamente ideologico si potesse concepire, con l'aggravante che ormai, in vista del nascente Partito Democratico, la propaganda clericale si fa con una melassa buonista e apologetica davvero indigeribile. Sorvoliamo sulla recente visita del Papa ad Assisi; sorvoliamo sull'attuale scontro politico-culturale intorno alla laicità dello Stato e alle ingerenze della Chiesa negli affari legislativi di uno Stato sovrano; sorvoliamo pure su tutto, ma quello che resta inequivocabilmente è un uso strumentale della poesia di Dante da parte dell'ala clericale della coalizione di governo, di cui il cattolicissimo Fioroni è un esponente di spicco. Intanto, tutta questa retorica petulante sul valore della povertà, proveniente da quel mondo politico oligarchico e ingordo descritto mirabilmente da Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo ne La casta, suona ipocrita e offensiva nei confronti dell'esercito di cittadini ormai ridotti alla fame o a una precarietà a tempo indeterminato. Per non dire poi del modo subdolo in cui vengono orientati l'interpretazione complessiva e i cosiddetti approfondimenti del terzo e ultimo punto della traccia:
“Nella ricostruzione della vicenda di san Francesco, Dante ha condensato un ampio capitolo di storia religiosa del nostro Medioevo. (...) Richiamandoti anche, se lo ritieni, ad illustrazioni figurative del santo, che ricordi, esprimi le tue considerazioni sull’importanza degli ordini religiosi, francescano e domenicano, nella storia della Chiesa e nella diffusione del messaggio evangelico nel mond”.
Capito? Infinocchiato dalla bellezza della poesia, il giovane candidato è invitato a esprimere le 'sue' considerazioni sull' “importanza” dei due ordini religiosi, in violazione delle più elementari regole della neutralità nella costruzione di un quesito da sottoporre a un campione (sono cose che alle mie studentesse del Liceo pedagogico spiego al primo anno). Inzaccherati dalla melassa dantesco-francescana, quanti studenti delle classi terminali saranno stati in grado di ricordarsi che (soprattutto) i domenicani, ma anche i francescani, già da un paio di decenni prima che nascesse Dante, avevano il “privilegio” dell'Inquisizione? E quanti diplomandi, oggi, hanno letto almeno Il nome della rosa, che tra l’altro mette in scena gli scontri feroci tra i due ordini? Sul tutto, poi, aleggia l’incredibile strafalcione (subito ravvisato da molti studenti) contenuto nel cappelletto esplicativo che precede i quesiti, dove si afferma che Tommaso D’Aquino (un domenicano) illustra a Dante la vita e l’opera di Francesco d’Assisi (canto XI) e di Domenico di Guzman (canto XII), quando qualsiasi maturando sa che ad illustrare a Dante la figura di Domenico sarà Bonaventura da Bagnoregio (un francescano). A pensar male, si potrebbe osservare che, annullando la famosa costruzione a chiasmo cercata da Dante per auspicare un maggior dialogo tra i due ordini monastici in conflitto, al Ministero abbiano voluto annacquare le cose per fare emergere la figura di Tommaso, dato che il tomismo è ultimamente molto rivalutato in Vaticano... Ma queste sono illazioni: quello che è fuor di dubbio è la figuraccia senza precedenti sul padre stesso della nostra lingua e della nostra cultura letteraria.
E veniamo, per finire, a una chicca che dimostra quanto siano fuori dal mondo certi governanti, che ancora tradiscono al massimo un sadismo nozionistico che ricorda certi bersagli polemici della Lettera a una professoressa di Don Milani. Leggiamo il punto 2.3 della traccia:
“Interpreta letteralmente l’espressione dei versi 49-50 «questa costa, là dov’ella frange / più sua rattezza», con la quale si indica la posizione topografica di Assisi”.
Ebbene, qui i casi erano due: o uno si ricordava dettagliatamente la spiegazione dei versi, e allora l'interpretazione letterale del passo era facilissima, oppure non se la ricordava. Se uno non se la ricordava, poteva aiutarsi col vocabolario, e qui i casi erano altri due: o aveva fortuna e trovava citato l'identico passo dantesco per l'illustrazione del secondo significato del lemma ormai defunto (per esempio lo riportano il Devoto-Oli e il Gabrielli), oppure, se aveva ad esempio un vecchio Zingarelli, non trovava molti lumi alla voce "rattezza". Questo significa che la risposta a una domanda assurdamente tecnica di linguistica storica (si tratta di decifrare un modo stranissimo e linguisticamente antidiluviano e ricercato di descrivere una discesa che si fa meno ripida) è affidata più al caso e alla memoria che all'intelligenza del ragazzo. Viceversa, la risposta a un quesito 'interpretativo' e di approfondimento, come abbiamo visto, è ideologicamente orientata verso una lettura apologetica e da catechismo della storia della Chiesa, che naturalmente e sentitamente ringrazia questi nostri mediocri governanti più clericali dello stesso clero.
Autore : Marco Trainito
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