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notizia del 04/07/2010 messa in rete alle 22:00:46
Mani gelesi sulla morte di Vincenzo Napolitano
Era il 23 maggio del 1992, mentre le tv di gran parte del paese erano sintonizzate sui notiziari che, in maniera frenetica, descrivevano l'attentato subito dal magistrato palermitano, Giovanni Falcone, a Riesi un vero protagonista della locale amministrazione veniva ucciso.
A cadere fu Vincenzo Napolitano (nella foto), già assessore ai lavori pubblici e sindaco del centro nisseno fino a sei mesi prima di trovare la morte. La vittima era uno che contava, un notabile della locale Democrazia Cristiana.
A diciotto anni dal fatto, gli inquirenti ritengono di aver dato una definitiva soluzione al caso.
Ad uccidere Napolitano, infatti, sarebbero stati due baby-killer gelesi, Nunzio Cascino e Francesco Vella, coordinati dall'attuale collaboratore di giustizia, Crocifisso Smorta, dietro il necessario placet dei fratelli Davide, Daniele ed Alessandro Emmanuello.
La richiesta, però, sarebbe pervenuta direttamente da Riesi: a chiamare, infatti, sarebbero stati Pino e Vincenzo Cammarata, indiscussi signori della locale cosa nostra.
L'ex primo cittadino doveva morire perché accumulava, solo per sé, i proventi delle mazzette versate dagli imprenditori impegnati in diversi lavori pubblici, appoggiando i “ribelli” guidati dai fratelli Salvatore e Calogero Riggio, legati alla stidda gelese ed agrigentina.
A Riesi, in quel periodo, per lavorare si doveva passare dalle famiglie del posto: il 10% dell'intero importo dei lavori spettava al sindaco e ai gruppi della criminalità organizzata.
La colpa di Napolitano, però, sarebbe stata l'eccessiva attitudine ai profitti generati dal “settore”.
Il 10% si trasformava nel 3% per cosa nostra, il resto veniva trattenuto alla fonte dall'esponente dello scudo crociato: troppa autonomia, a quanto pare, doveva essere punita.
Il gruppo degli Emmanuello sarebbe stato contattato per il tramite di Salvatore Fiandaca, inviato dai Cammarata in terra ligure, ove incontrò i fratelli gelesi, da tempo presenti a Genova.
Un coordinamento destinato a distruggere le fonti di profitto gestite dai Riggio, e dunque della stidda.
A quanto emerge dalle indagini, Vincenzo Napolitano avrebbe avuto rapporti con diversi imprenditori interessati ad operare nella zona, fra questi Andrea e Pietro Di Vincenzo, gestori di un grande gruppo economico, ancora oggi sotto la luce dei riflettori accesa dagli inquirenti nisseni.
Una parte dei guadagni assorbiti dal politico riesino, inoltre, sarebbero stati dirottati verso la “causa” dei latitanti Carlo Marchese e Francesco Annaloro, nel mirino dei fratelli Cammarata poiché luogotenenti di Salvatore e Calogero Riggio.
Una storia di mafia, politica, estorsioni, mazzette e morte: dopo diciotto anni, gli inquirenti ritengono di averla decifrata fino in profondità.
Autore : Rosario Cauchi
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