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Corriere di Gela | Violenza sulle donne, riflessioni allo «Sturzo»
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notizia del 30/11/2012 messa in rete alle 21:46:08

Violenza sulle donne, riflessioni allo «Sturzo»

Il 25 novembre si è celebrata la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Una data importante scelta in onore delle sorelle Mirabal, attiviste della Repubblica Dominicana, uccise il 25 novembre 1961 per la loro opposizione al regime dittatoriale. Le vittime in Italia sono circa 150 dall’inizio dell’anno, una piaga sociale che diventa sempre più grave. Ma femminicido e discriminazione si consumano in mille modi: dalla violenza perpetrata da parte di padri, mariti e colleghi di lavoro a quella subita a cause di pratiche incivili come l’infibulazione.

Per tale occasione nella nostra città è stato bandito a fine ottobre un concorso per la realizzazione di uno spot contro l’abuso fisico e psicologico sulle donne, rivolto a tutti gli studenti delle scuole superiori della città, da parte delle organizzazioni per i diritti delle donne Fidapa, Inner Wheel e Scroptimist. I vincitori sono stati premiati il 27 novembre presso l’Istituto di istruzione superiore Luigi Sturzo di Gela, nel corso della manifestazione per rivendicare il diritto di essere donne, in presenza delle presidenti dei tre club service, dell’assessore alla pubblica Istruzione e alle Pari Opportunità Marina La Boria, al vicesindaco Fortunato Ferracane, il regista Andrea Burrafato che ha valutato dal punto di vista tecnico i video degli studenti, e la psicologa Stefania Pagano che ha dato una valutazione dal punto di vista emozionale agli spot realizzati.

«La scuola – ha dichiarato il dirigente scolastico Angela Scaglione – ha il compito principale di educare alla convivenza civile, al rispetto degli altri e al controllo delle proprie emozioni. Il nostro istituto da tre anni mostra una grande sensibilità nei riguardi di un tema così importante come la lotta agli atti di violenza contro il genere femminile. È necessario – ha continuato il dirigente – che manifestazioni del genere non siano solo celebrative, ma occasione di espressione e di confronto tra gli studenti che, nell’atto della creazione di un video, possono esprimere le proprie emozioni e le proprie sensazioni».

Le vittime sono di ogni età, religione, razza, Paese, classe sociale. Non si parla esclusivamente di abusi fisici e di violenza psicologica ma anche di stalking, cioè comportamenti reiterati di tipo persecutorio, reato inserito nel 2009 nel codice penale. E come dimenticare i tanti fatti di cronaca di donne assassinate dagli ex mariti o conviventi, che in precedenza avevano denunciato, purtroppo senza risultato, le ripetute molestie. È il dramma della violenza legato all’amore che finisce, la violenza che avviene all’interno di una relazione sentimentale. Delitto che qualcuno si ostina a definire passionale, piuttosto che delitto d’odio, di possesso violato, di vendetta.

«Nella nostra città – ha asserito Graziella Condello, presidente della Fidapa di Gela – mancano gli sportelli antiviolenza, al fine di aiutare donne vittime di prevaricazione fine a se stessa o strumentale al raggiungimento di uno scopo. Il mondo dell’associazionismo e del volontariato, in questi anni, è intervenuto generosamente, ma i centri antiviolenza e i centri di ascolto in Italia restano insufficienti e ricevono pochi finanziamenti».

La violenza domestica non viene ancora percepita come un crimine. Invece questi sono omicidi di una crudeltà estrema da parte dell’uomo contro la donna, in quanto donna. Dove predomina l’idea maschile di relazione con le donne, basata sul possesso e sulla subordinazione femminile al potere maschile. Complice di tutto questo è il contesto sociale patriarcale. È successo alla giovane gelese Emanuela Vallechi uccisa nel 2010 dal marito, una furia omicida scattata dalla gelosia e dalla imminente separazione. Morire di coppia, più di quanto le donne tra i 16 e i 44 anni non muoiano di incidenti o di cancro. Essere uccise in famiglia più di quanto non si venga uccise dalla malavita. Morire davvero oppure solo dentro, di botte, di stupro, di sevizie psicologiche, mentre un contagocce di denunce segnala poco e niente di un oceano che nessuno è grado di esplorare.

«Spesso – ha affermato l’assessore Marina La Boria – tra la denuncia e l’arresto passa molto tempo in cui le donne vengono lasciate sole. Sarebbe necessario incentivare gli investimenti per creare strutture in grado di ospitare donne senza o con figli, per essere seguite nelle varie fasi di indagini. Molte donne che subiscono violenze temono di denunciare i propri aguzzini per paura di ripercussioni. Bisognerebbe che le varie istituzioni svolgessero un lavoro sinergico, per consentire alle vittime di essere allontanate dal nucleo familiare e per arrivare ad un mondo, speriamo non utopistico, nel quale una donna possa condurre un’esistenza priva di angosce ed affanni».

L’assessore La Boria ha sottolineato l’importanza della Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, firmata nel settembre scorso dal ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Elsa Fornero. Tale convenzione riconosce come grave violazione dei diritti umani ed elemento di discriminazione tutte le forme di violenza sulle donne: la violenza domestica, quella sessuale, lo stupro, il matrimonio forzato, i delitti commessi in nome del cosiddetto “onore” e le mutilazioni genitali femminili, che costituiscono una grave violazione dei diritti umani delle donne e delle ragazze e il principale ostacolo al raggiungimento della parità tra i sessi.

«L’aspetto più innovativo del testo – ha commentato l’assessore La Boria – consiste nel fatto che nel giudicare colui che si è reso reo di un delitto nei confronti di una donna, nessun governo può tirare fuori attenuanti di carattere religioso o tradizionale».

Nel corso della manifestazione sono stati proiettati gli spot realizzati dagli studenti gelesi. Ventisette video della durata di un minuto ciascuno. Ventisette modi diversi per far sentire la propria voce e far sì che la gente non ignori ciò che succede spesso sotto i nostri occhi e per prevenire il silenzio che spesso accompagna tali episodi. Il primo posto è andato agli studenti dell’Istituto Maiorana. In un momento in cui il welfare tradizionale non riesce più a far fronte in maniera efficace a tutte le esigenze, le istituzioni devono necessariamente riflettere sull’opportunità di nuove modalità di collaborazione tra pubblico e privato. Inoltre è necessario che il cambiamento avvenga dalla cultura, dall’educazione, dalle leggi, dall’insegnamento alla parità dei sessi. Una cultura che deve essere rispettosa della dignità di donne e uomini.


Autore : Filippa Antinoro

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