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notizia del 25/10/2009 messa in rete alle 21:42:16
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L’istituto “Michelangelo” verso il commissariamento?
A pochi giorni dal clamore prodotto dall'operazione “Atena”, condotta dalla compagnia di Gela della Guardia di Finanza, l'ingresso dell'antico Educatorio Regina Margherita, edificio scelto dai gestori dell'istituto d'istruzione paritario “Michelangelo” quale sede di attività, non consegna agli avventori immagini di un totale “rompete le righe”, tradizionali, invece, nei casi di sequestri seguiti ad azioni perpetuate dalle forze dell'ordine: al contrario si nota un costante dinamismo, indotto, peraltro, dalle diverse esperienze formative ospitate al suo interno. Di certo gli arresti di Emanuele Cassarino, gestore dell'istituto, e di Luigi Rizzari, dirigente scolastico del medesimo, hanno contribuito all'attivazione di un processo di completa rivoluzione dell'organigramma societario: destinato ad essere diretto da commissari che verranno nominati entro poche settimane.
L'istituto paritario “Michelangelo Buonarroti” è stato da subito descritto facendo leva sulla classica definizione di “diplomificio”, agevolata da risultanze investigative assolutamente chiare, lontane da ogni possibile fraintendimento.
Il sistema venuto alla luce non può, purtroppo, dirsi eccezionale, collocandosi all'interno di una casistica assai radicata, fatta di episodi sempre più frequenti aventi quali protagonisti le stesse strutture paritarie di formazione scolastica.
La lettura dei resoconti investigativi dà adito ad inevitabili conclusioni, attinenti principalmente il degrado del sistema di educazione, sempre più alla mercé di meri bisogni economici ed al contempo distante dagli originari valori. Una simile tendenza è ancor più palese all'interno dei confini di quell’immenso territorio costituito dagli istituti paritari, retti quasi esclusivamente dai versamenti effettuati dagli iscritti, gran parte dei quali appartenenti a specifiche categorie: lavoratori, ex studenti, soggetti in ritardo con i normali piani di studio. In questa prospettiva la vicenda del gruppo facente capo alla “Michelangelo ” di Gela sembra rispettare tutti i cliché emersi da indagini del medesimo segno: docenti compiacenti, iscrizioni anomale, frequenza quasi nulla, complicità da parte degli esaminatori, lauti pagamenti, rapporti poco chiari tra controllori e controllati. Ma cosa accadeva di fatto tra i corridoi dello storico edificio?
Un ex studente della scuola, intenzionato a mantenere l’anonimato, ricostruisce la sua esperienza, avviatasi a seguito di due consecutive bocciature infertegli dai docenti dall’stituto statale per geometri, tali da indurre i genitori a dirottarlo alla “Michelangelo”.
Il programma descrittogli al momento della prima visita alla sede prescelta prevedeva di recuperare ben tre anni nel corso di un unico ciclo di studio, da sancire attraverso un esame di fine anno svolto in città oppure in altra sede del gruppo; la frequenza tradizionale venne da subito accantonata e sostituita da presenze ben distribuite nel corso dei mesi, a distanza di diverse settimane le une dalle altre.
Lo studente, non teme di ammetterlo, si venne a scontrare con uno stato di fatto totalmente opposto a quello cui era stato abituato dalla frequenza della “scuola mattutina”, come scherzosamente descrive il precedente istituto per geometri a confronto con quello paritario nel quale poteva capitare di frequentare lezioni tenute anche nel corso delle ore pomeridiane; il rapporto con i docenti, poi, era assolutamente impensabile se trasportato all'interno delle mura della scuola pubblica: “facevano tutto quello che era più comodo per me e per gli altri iscritti, capitava spesso che di fronte ad una classe con tre o quattro alunni presenti il relativo registro venisse comunque aggiornato nella sua totalità, indicando anche coloro che in realtà non avevano preso parte alla lezione”.
“Non esistevano impegni extrascolastici, le uniche esercitazioni svolte si realizzavano in classe, normalmente sotto precisa dettatura dei docenti, di modo da poter raggiungere un risultato soddisfacente e presentabile”.
La composizione della classe era, peraltro, assai variabile: all'anonimo studente capitava, infatti, di trovarsi nel medesimo banco insieme ad altri allievi mai visti in precedenza, e addirittura taluni si “materializzavano” per la prima volta solo al momento dell'esame finale, nonostante le loro presenze venissero quotidianamente registrate nel corso degli incontri frontali. L'apice venne, però, raggiunto proprio nel corso della prova conclusiva, che nel suo personale caso doveva prestarsi al recupero di tre anni: taluni compagni di avventura giunsero del tutto impreparati all'appuntamento, nonostante i test svolti nei mesi precedenti dicessero ben altro, fino al punto di non disporre di matita e righe, elementi non certo secondari in un esame per il conseguimento della licenza di scuola media superiore per l'indirizzo geometri, in ogni caso superato dagli stessi con una “brillantezza” indotta dal dinamico supporto prestato dagli insegnati intervenuti. Gli allievi della scuola, però, non erano gli unici capaci di intuire ciò che di “irrituale” si verificava tra i banchi della “Michelangelo Buonarroti”: vittime del sistema pensato dai componenti del gruppo attivo tra Sicilia e Calabria erano, ancora, alcuni insegnanti che vi prestavano servizio. Una di loro, riuscita a svelare per tempo i meccanismi imbastiti dai dirigenti, descrive, anch’essa in forma anonima, l’entusiasmo con il quale accettò quello che si profilava come primo incarico, necessario per ottenere punti in graduatoria ed ambire, così, ad una stabilizzazione tanto agognata; da subito ebbe sentore di rilevanti difformità, soprattutto quando venne informata dell’esigenza di non tenere in considerazione la reale presenza in aula e di dover provvedere alla registrazione di tutti gli iscritti anche se assenti.
Altra raccomandazione: comunicare in anticipo ai propri alunni il contenuto di interrogazioni e verifiche in aula, magari preannunciandogli la personale disponibilità ad affrontarle in collaborazione.
L’assenza di qualsiasi tutela contrattuale, inoltre, si sommò a tutte le altre prove acquisiste nei mesi di servizio inducendola ad abbandonare anticipatamente l’impegno assunto, a differenza di altri colleghi che, pur avendo contezza della metodologia d’insegnamento prevalsa in quei “luoghi di formazione”, optarono per la soluzione di sposarla pur di raggiungere l’obiettivo prefiguratosi.
Tra abbondanti versamenti e rare presenze si insinuava un’unica certezza: la promozione.
Autore : Rosario Cauchi
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