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notizia del 18/03/2012 messa in rete alle 21:41:10
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La psicosi schizoaffettiva
Insisteva a farmi guardare la macchiolina nell’ ecografia che il ginecologo aveva refertato il giorno prima. «Ecco dottore è qui il bambino, non lo vede? Questo è mio figlio». Io non vedevo nulla, ma stando a lei non c’era alcun dubbio: quello era suo figlio e lei era incinta! Riusciva perfino a bloccarsi le mestruazioni, per darmi una ulteriore prova della sua gravidanza. “Anna” – la chiameremo così per convenzione – nella macchiolina vedeva quello che il suo cuore voleva vedere, un figlio. Inutile erano le mie perplessità, i miei “non saprei, non so, non vedo nulla”… era sicura che fosse incinta.
Arrivava in reparto portandosi dietro mille cose, mille giocattolini della sua infanzia, ma soprattutto bamboline di stoffa, di tutte le misure, lei che era snella e magra, la pelle chiarissima, il seno piccolo. Ascoltava la musica dal suo lettore mp3, le piacevano le canzoni di Baglioni, e poi bigliettini con frasi d’amore, cioccolatini, piccoli peluches, orsetti, panda, ecc. pur non essendo più una adolescente, ormai più vicina ai trenta che ai venti anni. Anna coltivava i gusti e le passioni delle ragazzine adolescenziali. Figlia di genitori consanguinei, la madre in terapia con psicofarmaci, un fratello ed una sorella in terapia con antipsicotici e lei curata per psicosi schizoaffettiva, con allucinazioni acustiche, perseguitata dalle voci, inquieta, a volte aggressiva, instabile.
Nascondeva il viso dal lato destro, si vergognava, e piegava il collo, sorridente, affettuosa… aveva gridato e chiesto aiuto quella notte, terrorizzata che nessuno sentisse, che nessuno potesse salvarla. Quella volta Anna ebbe paura, tanta paura di morire, lì dentro, sola e carbonizzata. Portava tanti piccoli regalini, e voleva un figlio per non restare sola al mondo, dopo che la sorella aveva tentato il suicidio, senza riuscirci, una famiglia disturbata, tutti in quella casa erano più o meno disturbati.
Aveva picchiato sulla porta, gridando e piangendo, mentre respirava il fumo acre, e tossiva, e gli occhi le piangevano e le bruciavano; le fiamme avevano invaso la stanza e lambivano il suo corpo e la sua tenera pelle di adolescente, bianca e delicata. Le fiamme, sempre più alte, avevano ormai raggiunto il suo corpo, quando arrivarono i soccorsi, l’odore di carne bruciata si spandeva nel reparto e viso, e collo e petto, e gambe, e mani erano morse dalle ustioni di terzo grado.
Anna era una fumatrice accanita, si consolava dalle angosce delle voci perseguitanti aspirando tutta la sigaretta sino al filtro. Quella notte si era addormentata con la sigaretta accesa e non aveva avvertito il bruciore alle dita, non aveva avvertito il dolore alle mani, sotto l’effetto degli psicofarmaci. Anna dormiva un sonno profondo, e si svegliò, le lenzuola arse dalle fiamme, si svegliò, e vide, vide le fiamme e si sentì morire. E picchiando sempre forte sulla porta gridò: «non voglio morire, salvatemi, aiuto…!».
Era bello in primavera andare in bicicletta per i viali di un campagna odorosa, in trazzere polverose…
Autore : Francesco Lauria - medico chirurgo,specialista in Psichiatria
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