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Corriere di Gela | L’intellighenzia gelese e le sue trasformazioni
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notizia del 11/03/2011 messa in rete alle 21:14:15
L’intellighenzia gelese e le sue trasformazioni

Gela, oggi, ha un’intellighenzia cittadina? Ha cioè un gruppo sociale che sia rappresentativo di un modo originale di analizzare, esporre, rappresentare e interagire con il sociale? E di converso, se esiste una intellighenzia, questa è presente nell’impegno politico della città?

Non sono domande astruse perché, piaccia o no, i cambiamenti si innescano partendo da minoranze illuminate o profondamente attive che riescono a creare una massa critica e a orientare il pensiero e l’azione di una popolazione. Pertanto, parlare di una intellighenzia cittadina significa parlare anche della capacità di cambiamento dell’intera città e della popolazione che vi vive.

Certamente Gela ha avuto illustri intellettuali che, nel fare politica per la città, hanno espresso il loro impegno di illuminati amministratori e di rappresentanti politici. Figure come il Prof. Vincenzo Giunta, il Prof. Giovanni Altamore e, tra i viventi, il Prof. Aldo Scibona, il Preside Luciano Vullo, sono alcuni dei rappresentanti di una minoranza illustre e pensante di Gela. Intellettuali che hanno unito militanza politica ed impegno cittadino. Assieme a loro va annoverata un’altra minoranza di cittadini, che pur non militando nella politica attiva, si sono distinti nelle professioni, nell’università e persino nello sport. Ognuno di loro ha comunicato con gli scritti, con la parola anche comiziata, con l’azione amministrativa, con il semplice stile di comportamento integro e coerente, insomma una minoranza osservata e rispettata che ha dato il meglio che l’intelligenza gelese può dare. Ma oggi cosa è cambiato rispetto a questa minoranza intellettuale ed impegnata? Sono insorti dei mutamenti che ne permettono una continuità o sono emerse delle fratture che hanno cambiato la caratterizzazione di tale minoranza intellettuale?

Qualche riflessione può essere abbozzata tentando di concatenare alcune analisi della attuale situazione sociale e politica gelese, situazioni che di fatto determinano il sorgere o l’eclissarsi di queste minoranze o, in certa misura, la loro trasformazione.

Cominciamo con il dire che oggi la città continua ad esprimere personalità di rilievo: scrittori, docenti universitari, manager, sportivi fanno ancora parlare di sè e dimostrano che Gela, con i suoi 90.000 abitanti, è città che partorisce anche eccellenze. Ma qualcosa è cambiata se è vero che la città, pur partorendo qualità intellettuale, non sempre se ne avvantaggia. Pare che ciò che sia cambiato è che tali intelligenze si tengano dovutamente lontane dall’impegno civile e politico.

La minoranza di intellettuali impegnati nelle sorti della città è sempre più sparuta, non per mancanza di coraggio verso l’impegno ma, forse, per mancanza di attrattiva che la politica oggi esercita, con danno per se stessa e per il vantaggio collettivo. E’ evidente ormai ai più che spesso si auspica la presenza di personaggi di valore che si impegnino per la città, non personaggi potenti ma di ampia valenza intellettuale, che poi è quella che crea maggiori ricadute nel lungo periodo, perché il legame intellettuale ha un contagio verso chi pensa ed innova e quindi innesca processi virtuosi di selezione sociale per il bene comune.

In sintesi, oggi manca una intellighenzia che si presti alla politica per Gela e a migliorare il futuro cittadino. Perché ciò accade? Ci sono processi globali in atto che determinano tale deriva?

Forse si. Tentiamo di ipotizzare alcune cause.

Il terreno di coltura della generazione per la quale si sono citati i nomi precedenti apparteneva ad un’Italia ove la politica era ispirata da ideologie sociali o dottrine religiose, comunque da fedi laiche o sacre. Era un’Italia ove l’orizzonte della politica era ampio e complessivo. Si prometteva e si combatteva per un modello di società, più giusta, equa, che supportasse i bisogni e fosse proiettata al progresso continuo. La politica prometteva progetti di lungo periodo, a volte a costo di battaglie dure e impegnative. E il popolo capiva tali messaggi, li faceva propri, li declinava nel quotidiano. Era cioè una politica che progettava assetti sociali. In questo i simboli giocavano un ruolo rappresentativo di primo piano: vessilli, gesti, parole, stili di comportamento parlavano per conto della politica. Gli intellettuali erano gli interpreti più rappresentativi di tali piani sociali di lungo periodo, interpretavano i bisogni della gente proiettandoli nel futuro assetto che la loro parte politica auspicava e costruiva. Rendevano cioè declinate e comprensibili le teorie sociali più complesse o le fedi più enigmatiche. Il loro ruolo era riconosciuto e auspicato. Non è un caso che tali intellettuali provenissero dal mondo della scuola e dell’insegnamento. Perché proprio tale mondo manteneva aperte le vie di apprendimento sui grandi pensatori e sugli innovatori.

Oggi qualcosa è cambiata, nel momento in cui la politica ha perduto ideologie e fedi, la politica ha, insomma, ristretto il suo orizzonte. Pensare ad un nuovo assetto sociale è diventato quasi incompatibile con i tempi che ognuno di noi è disposto ad attendere per migliorare la propria condizione insieme a quella degli altri. La politica che prefigurava scenari di una nuova società si è appiattita all’amministrazione del presente.

Oggi fare politica significa solo fare amministrazione e le due cose non sono identiche anche se fortemente intercorrelate. Gli intellettuali che provenivano dal mondo dell’insegnamento hanno ceduto il passo ai laureti in legge che, per loro bagaglio professionale, si muovono più speditamente con le leggi italiane che imbrigliano l’amministrazione di ogni istituzione pubblica. E’ per questo che ne troviamo un gran numero nella politica militante. Si sono così avvicinati gli orizzonti e fare una buona politica oggi significa solo fare una buona amministrazione.

Certo, la modernità ha spazzato via tutte le ipotesi più azzardate di cambiare il sociale, ma, nel contempo, ha soppresso anche un ragionevole modo di lavorare, passo dopo passo, per cambiamenti complessivi e non contingenti. Non si contempla più un mondo di possibilità illimitate. Gli intellettuali non mediano più tra una forma di società auspicata ed un popolo disposto ad ascoltarli. Un’altra variabile ha mutato l’atteggiamento degli intellettuali: le piazze virtuali. Oggi l’accesso al confronto può avvenire direttamente da casa, tramite la finestra della rete informatica cui, quasi tutti, accediamo. Oggi i movimenti si organizzano e si confrontano su tale nuovo media. La piazza fisica rimane una finestra di interazione solo per i periodi elettorali. Le analisi sui temi si leggono, si studiano e si scambiano su internet o sui social network. E pur tuttavia la politica vuole ancora misurarsi nelle piazze fisiche e misurarsi con le scelte globali che riguardano tutti.

L’intellettuale oggi si ritrova a dover maneggiare non solo saperi, come era un tempo, ma anche competenze, ossia capacità acquisite e declinate su aree diversificate. Il leaderismo, ad esempio, che si vorrebbe fare passare per una attitudine di pochi, è diventato una competenza perché studiata nei minimi particolari per applicarla in politica e nelle aziende.

Ci dovremmo quindi aspettare che gli intellettuali di oggi, della nostra Gela, siano un nuovo tipo di intellettuali, non più mediatori delle ideologie sacre o laiche, ma, probabilmente, innovatori nel pensiero e nell’azione, in una parola “contaminatori di genere”, ossia coloro che riescono ad incrociare saperi e tecniche per obiettivi sociali credibili e mantenibili.

Riusciranno tali nuovi intellettuali a vedere nella politica cittadina un’attrazione? Di contro, riusciranno i gelesi ad affezionarsi alle emergenti figure di questa minoranza che la città continua certamente a partorire? Tutto dipenderà da quanto ci vogliamo bene: riconoscere un’èlite è sempre difficile ma è l’unico meccanismo conosciuto per produrre cambiamenti e innovazione.


Autore : Sebastiano Abbenante

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