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notizia del 29/08/2009 messa in rete alle 20:56:22
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Mura di Caposoprano, cronologia degli eventi
Uno dei “tesori” di Gela sono le fortificazioni greche meglio conosciute acome “Mura Timoleontee”. Queste massicce costruzioni, che un tempo servirono a proteggere la città dai Cartaginesi, furono scoperte nel 1948 e da allora costituirono un elemento di grande pregio per la città. Qualche tempo fa per via di lavori all’interno degli scavi e per via dell’erosione, l’ingresso al pubblico per la visione di questo reperto fu chiuso, e solo a giugno di quest’anno grazie alla costruzione di una nuova protezione è stato possibile rivisitarle.
Per conoscerle meglio abbiamo intervistato l’archeologa Maria Milvia Morciano, che dopo aver scritto la sua tesi di laurea sulle “Mura di Caposoprano”, nel 1995 durante il suo dottorato di ricerca presso l’Università di Firenze, ricevette l’incarico, da parte di due illustri personaggi – i docenti universitari Giovanni Uggeri e Dieter Mertens – di riprendere le ricerche sulle fortificazioni, e soprattutto di rivederne i sistemi di conservazione e di restauro, da sempre molto discussi. La ricerca durò due anni e i risultati furono poi pubblicati nella rivista scientifica “Ancient Journal of Topography”.
– Dovendo spiegare a non addetti ai lavori, quali furono i risultati delle tue ricerche cosa diresti?
«La cronologia sostenuta da Piero Orlandini, che le pone in epoca Timoleontea è stata confermata, mentre ho potuto dimostrare che non si tratta di fortificazioni a doppia tecnica, cioè zoccolo in pietra e alzato in crudo, ma semplicemente di due fasi distinte, dove i mattoni crudi sono stati frutto di un restauro frettoloso e posteriore che, tra le altre ad esempio, ha sacrificato le belle scale di accesso all’originario camminamento di ronda, mettendole fuori uso come nei restauri moderni».
– Negli anni le fortificazioni sono state oggetto di numerosi restauri, cosa pensi di questi interventi?
«La storia degli interventi è lunga e descriverli uno per uno sarebbe difficile. Basterà accennare ai primi operati da Franco Minissi negli anni ’60, che furono risolti con una fodera di lastre in vetro temperato, legate alla struttura con perni in lega, che l'attraversavano serrandola in modo compatto. Per assicurare una maggiore protezione vi era anche una tettoia in ondulex fissata al suolo da tiranti d’acciaio, assicurati a piattaforme interrate. Questa fu sostituita da una copertura in cemento gettata direttamente sopra le strutture antiche. Lo stesso materiale è stato impiegato per riempire i vuoti presenti nella tessitura dei mattoni, specie sul versante orientale, dove la cortina raggiunge l’altezza massima, integrata o sostenuta da tamponamenti e pilastri. Quest’ultimo intervento, con il suo peso, ha gravato la struttura danneggiandola gravemente. Ma purtroppo ancora molti altri sono stati negli anni gli interventi cha hanno concorso al danneggiamento delle fortificazioni. Ad esempio, i bellissimi alberi di eucalitpto che regalano frescura e fruscii di foglie furono tacciati di compromettere la stabilità e l’integrità delle mura fin dalle fondamenta con le loro lunghe radici»
– Con la nuova tensostruttura le mura sono state riaperte al pubblico cosa ne pensi?
«Oggi è stata annunciata la costruzione di una tensostruttura che dovrà correre lungo tutto il percorso del fronte fortificato, riparandolo dagli agenti atmosferici. In pratica si è tornato, mi auguro con forme più leggere e gradevoli, alla soluzione originaria della vecchia tettoia in ondulex, che era stata tolta perché considerata un orrore per l’estetica del paesaggio. Purtroppo l’arte del restauro è fatta anche di scelte difficili e compromessi necessari e mentre nutro molte perplessità sulla scelta fatta di togliere i vetri che proteggevano le mura, non posso che essere d’accordo con una copertura che si rivela quanto mai necessaria».
– Infine, dato il fatto che hai vissuto a Gela per quasi due anni, che ricordo ti è rimasto? «Gela è stata un luogo dove ricordo di aver vissuto momenti spiacevoli, ma anche grandi gioie. Certo, la gioia della scoperta, come quando presi letteralmente al volo una pallottola accartocciata che gli operai non potevano certo riconoscere e che in realtà era una placchetta di piombo decorata da un cinghiale. O la tristezza, quando vidi crollare porzioni di crudo dove non c’erano più le lastre. Ma non solo studio e archeologia a Gela. A dispetto di chi ne vede l’emblema di un meridione degradato e mal costruito, ho visto angoli di assoluta bellezza. La piana color oro arrivando dal Castelluccio, il colore del cielo e del mare che d’inverno ha sfumature nuove ogni giorno. Le dune lungo le spiagge, altro oro e ancora oro la sabbia fine. Le note musicali su un’inferriata di una casa, i trionfi dei dolci, o delle architetture barocche delle chiese. E la gente: alle volte un po’ ombrosa, con un fondo di malinconia sempre negli occhi. Le ragazze fiere e bellissime a passeggio sul lungomare. L’amore di un cuoco che prepara piatti di pesce degni di un re. Gente che anche dopo tanto tempo non si dimentica di chi li ha conosciuti. E sempre generosi e attenti, con quell’accento un po’ ispido, un po’ burbero non risparmiano gesti di gentilezza e cordialità».
Un resoconto archeologico esemplare ed un ancor più interessante ricordo della città, costituiscono un monito a quanti, soprattutto fra i cittadini, tendono a criticare Gela e disamorarsi di lei per gli spiacevoli fatti di criminalità e di vandalismo che spesso la interessano. Quando invece Gela per assurgere a nuova vita avrebbe soltanto bisogno di essere rivalutata e utilizzata al meglio.
Autore : Alessandra Cascino
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